Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-03-2011, n. 6358 Responsabilità civile per ingiurie e diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.P., quale tutore di E.P., propone ricorso per cassazione, fondato su sei motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato l’appello del P. contro la pronuncia di primo grado, che aveva rigettato la sua domanda al risarcimento dei danni e alla riparazione pecuniaria nei confronti del giornalista F.I. per averlo questi apostrofato, in articoli apparsi sul (OMISSIS), come " (OMISSIS)".

I.F. resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 – 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata in quanto la Corte di appello avrebbe escluso la portata diffamatoria degli articoli di I.F. "sulla base di documenti successivi alla pubblicazione degli stessi e comunque mai prodotti dall’ I. medesimo", mentre, con il secondo motivo, si duole della violazione dell’art. 2697 cod. civ., in quanto la sentenza avrebbe rigettato la domanda "sulla base di un quid che al momento della pubblicazione degli articoli non esisteva". 2.1.- I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili in ragione della loro genericità, non essendo specificato quali siano i "documenti successivi alla pubblicazione" degli articoli" o il "quid che al momento della pubblicazione degli articoli non esisteva", sulla cui base la decisione – secondo la prospettazione del ricorrente – sarebbe stata adottata.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, "in particolare dell’art. 595 cod. pen.", in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante la circostanza, tale viceversa da escludere la veridicità della notizia,che la sentenza di condanna definitiva del P. sia successiva alla pubblicazione degli articoli.

3.1.- Il terzo motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi. Il giudice di appello ha infatti ritenuto irrilevante la circostanza sul rilievo (non censurato) che "l’oggetto della domanda è riferito solo agli epiteti "(OMISSIS)". 4.- Con il quarto motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata quanto alla esclusione della portata diffamatoria del termine "boia", rilevando che i giudici di primo e secondo grado hanno fornito, al riguardo, due motivazioni diverse e che, in ogni caso, non risulterebbe "agli atti di nessun procedimento nè di nessuna indagine, giudiziaria o storica che sia, che il suo lavoro avesse in qualche modo a che fare con le esecuzioni capitali". 4.1.- Il quarto motivo è infondato.

Non sussiste alcun vizio di motivazione nel mero fatto che i giudici di primo e di secondo grado interpretino diversamente una determinata circostanza di fatto. La sentenza di appello, d’altro canto, si fonda – con congrua motivazione – su quanto dichiarato in conclusionale dallo stesso attore.

5.- Con il quinto motivo, ancora sotto il profilo del vizio di motivazione, il ricorrente assume che il termine "boia", anche ipotizzando che sia stato utilizzato in senso letterale, avrebbe comunque portata diffamatoria, come emergerebbe, in particolare, "dalla lettera degli articoli" oltre che "in sè e per sè dall’utilizzo del visto sostantivo". 5.1.- Il quinto motivo è inammissibile, sia per difetto di autosufficienza, non essendo riportato il contenuto degli articoli asseritamente diffamatori, sia perchè comunque si chiede il riesame, da parte del giudice di legittimità, della portata diffamatoria del termine "boia", portata diffamatoria già esclusa, con congrua motivazione, dal giudice di merito, cui competeva la questione, sulla base del significato letterale del termine, quale risultante dal Lessico Universale Treccani.

6.- Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 596 bis c.p. (recte: art. 596) cod. pen., che preclude all’autore della diffamazione di provare la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa.

6.1.- Il sesto motivo è infondato, atteso che la decisione si fonda non sulle prove addotte dall’ I., ma sulle dichiarazioni dello stesso P..

7.- Il ricorso va dunque rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 3.700, di cui Euro 3.500 per onorati, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 3.700, di cui Euro 3.500 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *