Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 10-02-2011, n. 4858 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 3.6.2010, il Tribunale della Libertà di Genova rigettava l’istanza di riesame proposta da T.R. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip del Tribunale di Chiavari il 15.5.2010 a seguito della convalida del fermo di polizia giudiziaria per i reati di furto e rapina.

Ha personalmente proposto ricorso per Cassazione il T., deducendo con un primo motivo il vizio di violazione dell’art. 273 c.p.p., per avere i giudici territoriali ritenuto la gravità indiziaria nonostante le esaustive spiegazioni da esso ricorrente fornite in ordine ai suoi contatti con uno dei presunti complici, e relativamente ai suoi movimenti in (OMISSIS) il giorno della rapina.

I giudici avrebbero anzi travisato le sue dichiarazioni, interpretandole nel senso della negazione di entrambe le circostanze, e avrebbero errato nell’interpretazione in chiave accusatoria delle sue comunicazioni telefoniche con il D.G., le cui dichiarazioni sarebbero inoltre del tutto inverosimili, nella parte in cui lo coinvolgerebbero nel fatto. Tanto sarebbe peraltro confermato dalla localizzazione delle "celle" interessate dalle conversazioni, dalla circostanza che egli si sarebbe recato autonomamente in (OMISSIS) con il proprio scooter e dal mancato rinvenimento degli indumenti che secondo il D.G. sarebbero stati abbandonati nei pressi del mezzo, senza considerare l’interesse del D.G. ad accusare altri per scagionare se stesso.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la mancanza o l’illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui avrebbe ritenuto la corrispondenza degli indumenti e del casco indossati da uno dei rapinatori, secondo la descrizione di alcuni testimoni oculari, e le caratteristiche di tali capi risultanti dalle riprese effettuate dal sistema di video sorveglianza installato presso l’esercizio rapinato.

Ala stregua dell’ultimo, subordinato motivo di censura, i giudici territoriali sarebbero incorsi infine, secondo il ricorrente, nel vizio di violazione dell’art. 274 c.p.p. in ordine alla concreta scelta della misura cautelare, escludendo l’applicazione di misure meno afflittive sulla base di una ingiustificata accentuazione del peso dei suoi precedenti penali a scapito delle indicazioni da lui fornite sul proprio corretto stile di vita attuale.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Circa la gravità indiziaria, infatti, il ricorrente popone in sostanza un’alternativa valutazione di merito rispetto delle risultanze istruttorie rispetto alle argomentazioni dei giudici territoriali, peraltro in larga parte basata su riferimenti solo per relationem a fonti processuali (come nel caso della presunta divergenza tra le indicazioni dei testimoni sull’abbigliamento indossato dai rapinatori e le caratteristiche di quelli sequestrati nei confronti dell’imputato; di scarso rilievo sarebbe, poi, la questione della sfumatura del colore degli inserti di un paio di scarpe, secondo una certosina notazione difensiva, il blu o il nero essendo entrambi colori scuri).

Specie riguardo agli standard probatori tipici della fase cautelare, caratterizzabili da minor forza dimostrativa rispetto a quelli occorrenti per un pieno giudizio di colpevolezza, non si presta quindi a censura la valorizzazione da parte dei giudici territoriali, dell’accertata presenza dell’imputato sul luogo della rapina e dei suoi ripetuti contatti telefonici con il complice fino a poche ore prima dell’esecuzione del delitto, circostanze valutate dal tribunale anche alla luce delle dichiarazioni sostanzialmente accusatorie del correo, che peraltro implicano anche costui nella vicenda.

Correttamente, infine, i giudici territoriali hanno ritenuto l’esistenza di esigenze di cautela sostanziale così intense da richiedere l’applicazione della più grave misura coercitiva, non solo sulla base dei numerosi precedenti penali dell’imputato, ma anche dell’oggettiva gravità del fatto in contestazione, mentre l’impegno in una onesta attività lavorativa, addotto dal ricorrente, non lo avrebbe comunque trattenuto dal crimine.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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