Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 10-02-2011, n. 4856 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 10/03/2010, la Corte di Appello di Lecce dichiarava inammissibile per decadenza l’istanza, ex art. 175 c.p.p., comma 2, di restituzione nel termine per proporre appello, proposta da B.A..

2. Avverso la suddetta ordinanza, il B., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione dell’art. 175 c.p.p. sotto i seguenti profili:

1. per avere la Corte territoriale deciso de plano senza fissare l’udienza camerale;

2. per non avere correttamente applicato la norma in questione che fa decorrere il termine per proporre l’istanza nel termine di trenta giorni da quello in cui ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento che intende impugnare. Sostiene il ricorrente che, nella fattispecie, non si era verificata alcuna decadenza perchè, solo in data 11/02/2010, data in cui venivano ritirate le copie relative alla sentenza a seguito del quale era stato emesso nei suoi confronti l’ordine di carcerazione, era venuto a conoscenza del procedimento al quale era stato sottoposto e nell’ambito del quale era stato dichiarato contumace ed irreperibile. E’ dalla suddetta data, quindi, che la Corte territoriale avrebbe dovuto far decorrere il termine di decadenza confondendo l’inizio dell’esecuzione con la conoscenza effettiva dei motivi per i quali v’era titolo privativo della libertà personale. Di conseguenza "a meno di non pretendere la redazione di un ricorso al "buio", solo l’11 febbraio 2010 si poteva avere contezza di tutta la situazione, ivi compresa la declaratoria di contumacia, di irreperibilità e di quant’altro utile al fine di stabilire una idonea linea difensiva".
Motivi della decisione

3. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di nullità del procedimento per avere la Corte deciso de plano: sul punto, infatti, va data continuità a quella giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale nel procedimento per la restituzione in termini, sulla relativa istanza il giudice competente provvede "de plano", a meno che non sia in corso un procedimento principale con rito camerale, nel qual caso sulla predetta istanza decide nelle medesime forme. Infatti, la suddetta procedura si giustifica per la mancanza di un espresso richiamo all’art. 127 c.p.p.: SS.UU. 14991/2006 Rv. 233418. 4. Il fatto che ha dato origine alla presente procedura è il seguente: – il ricorrente veniva condannato in contumacia con sentenza del 4/12/1995 n 329/1995, dal Tribunale di Lecce, alla pena di anni quattro, mesi otto di reclusione ed L. 2.500.000 di multa per reati di rapina aggravata;

– l’estratto contumaciale veniva notificato, presso il difensore d’ufficio;

– in data 24/07/2009 veniva eseguito ordine di esecuzione della pena relativo al cumulo delle seguenti pene: a) sentenza g.u.p. Tribunale di Lecce n 366/1994; b) sentenza Tribunale di Lecce 4/12/1995 n 329/1995; c) sentenza g.u.p. Tribunale di Pesaro;

– la richiesta di rimessione nel termine per appellare la sentenza del Tribunale di Lecce venne depositata il 26/02/2010;

– la Corte di Appello ha respinto la suddetta richiesta rilevandone la tardività rispetto alla data (24/7/2009) in cui l’istante aveva "certamente" avuto conoscenza della sentenza che intendeva impugnare.

Alla stregua della cronologia dei suddetti fatti, la tesi del ricorrente deve ritenersi manifestamente infondata.

Va premesso che, indubbiamente, in via di stretto diritto, il ricorrente si trova nelle condizioni per essere rimesso in termini sulla base della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità: ex plurimis Cass. 11/02/2010, Ndue Arturi.

Il problema che, in realtà, pone il presente procedimento non è tanto, quindi, di verificare se il ricorrente avesse o meno diritto ad essere rimesso in termini ma se l’istanza sia stata presentata entro il termine di decadenza di trenta giorni da quello in cui ebbe conoscenza del provvedimento che intendeva impugnare, ossia la sentenza del Tribunale di Lecce.

La soluzione della questione, passa attraverso l’esatta comprensione della locuzione "effettiva conoscenza" di cui all’art. 175 c.p.p., comma 2 bis che questa Corte di legittimità ha inteso quale sicura consapevolezza della pendenza del processo e precisa cognizione degli estremi del provvedimento (autorità, data, oggetto), collegata alla comunicazione di un atto formale, che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si sia verificata (Cass., Sez. 1, 11 aprile 2006, ric. Zaki Aziz, alias Joudar Khalil, cit;

Cass., Sez. 1A, 9 maggio 2006, n. 20036, ric. El Aidoudi, rv. 233864;

Cass., Sez. 1A, 9 febbraio 2006, n. 14272, ric. Coppola; Cass., Sez. 2A, 14 febbraio 2006 ric. Ahmed ed altri, n. 15903).

Nella prospettiva dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, la "conoscenza effettiva" del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel "merito" (Cass., Sez. 1A, 21 febbraio 2006, Dioum B., rv. 233514). Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, "avvisare qualcuno delle azioni penali rivoltegli costituisce un atto giuridico di tale importanza da dover corrispondere a condizioni di forma e di sostanza idonee a garantire l’esercizio effettivo dei diritti dell’accusato", non essendo sufficiente "una conoscenza vaga e non ufficiale" (sent.

Corte eur. dir, uomo, 12 ottobre 1992, T. c. Italia; sent. Corte eur. dir. uomo 18 maggio 2004, Somogyi; sent. Corte eur. dir. uomo 9 giugno 2005, R.R. c. Italia).

Orbene, come risulta dallo stesso ricorso, il ricorrente sostiene che in data 24/07/2009 venne eseguito un ordine di carcerazione che conteneva il cumulo di pena relativo a tre condanne delle quali solo una, ed esattamente quella del Tribunale di Lecce, gli era ignota.

E’ chiaro, quindi, che fu proprio al momento della notifica dell’ordine di carcerazione che il ricorrente venne a conoscenza di essere stato carcerato anche per una condanna riportata a seguito di un procedimento del quale non aveva avuto conoscenza essendo stato dichiarato irreperibile e l’estratto contumaciale notificato al difensore di ufficio.

Tanto bastava per proporre immediatamente istanza di rimessione in termini, non essendo necessario, come sostiene il ricorrente, acquisire tutti gli elementi necessari per evitare di redigere un ricorso al "buio", atteso che tale necessità si pone per il giudizio di merito e non già per la redazione dell’istanza per rimessione in termini per la quale è sufficiente, stante anche l’inversione dell’onere probatorio di cui all’art. 175 c.p.p. comma 2, allegare di non avere avuto conoscenza del provvedimento che s’intende impugnare.

Infatti, l’art. 175 c.p.p., comma 2, richiede due soli requisiti: 1) L’imputato non deve avere avuto conoscenza del procedimento o del provvedimento; 2) l’imputato non deve avere volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione.

La prova dei suddetti requisiti non è più a carico dell’imputato (come nel previgente testo), in quanto, ora, è l’autorità giudiziaria che è tenuta a compiere ®ogni necessaria verifica-. La nuova disciplina ha, quindi, introdotto una vera e propria inversione dell’onere probatorio, nel senso che non spetta più all’imputato dimostrare di avere ignorato l’esistenza del procedimento o del provvedimento senza sua colpa, ma è l’autorità giudiziaria che deve provare, sulla base degli atti di causa, che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e che abbia volontariamente rinunciato a comparire (Cass., Sez. 1A, 21 febbraio 2006, n. 10297, Halilovic, rv. 233515; Cass. Sez. 1A, 2 febbraio 2006, n. 7403, Russo, rv. 233137; ass., Sez. 5A. 18 gennaio 2006, n. 6381, Picuti, cit). E’, pertanto, del tutto fuorviante sostenere che occorsero quasi sei mesi dalla sicura conoscenza del provvedimento che si intendeva impugnare per approntare una linea difensiva.

5. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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