T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 07-02-2011, n. 1181 Esclusioni dal concorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sussistono i presupposti per la definizione immediata della causa e di ciò è stato fatto avviso alle parti.

Con il ricorso in esame, il ricorrente impugna il provvedimento n. 014222 datato 28/9/2010 con il quale la direzione generale del personale militare gli ha comunicato l’esclusione dal concorso pubblico per il reclutamento di 4242 VFP4 nell’esercito, marina e aeronautica a cagione di una condanna alla pena di mesi due di reclusione ed euro 50,00 di multa per delitto non colposo di cui agli artt. 110, 624, 625 nn. 5 e 7 del codice penale; decreto divenuto esecutivo il 1 ottobre 2003.

Come seguono le censure:

a)la commissione non ha tenuto conto che il fatto commesso è di estrema tenuità, tale da non sollevare alcun serio dubbio circa l’idoneità caratteriale, psicologica e psicoattitudinale del candidato, risalente nel tempo, unico ed isolato, che non incide sulle qualità morali e di condotta del soggetto;

b)il bando non faceva alcun cenno alla inammissibilità delle domande presentate da coloro nei cui confronti fossero stati emessi decreti penali di condanna;

c)il decreto aveva perso definitivamente efficacia per il decorso del quinquennio;

d)difetto di motivazione;

e)sviamento, difetto di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza.

Il ricorso è infondato.

Prima di entrare nel merito della controversia, giova premettere che non spetta a questa autorità giudiziaria svolgere un giudizio di valore e/o di merito sui presupposti fondanti la responsabilità penale del ricorrente, ancor più in mancanza di una querela civile di falso avverso i verbali con i quali i carabinieri avevano accertato l’infrazione commessa dal ricorrente ed il cui contenuto (id est, dichiarate false generalità) ha dato la stura all’imputazione dei reati ascritti al sig. Biglietto.

Ed invero, rileva, nel presente giudizio, il solo fatto storico della esistenza di un decreto penale di condanna.

Ciò che si chiede al giudice amministrativo è di stabilire se correttamente l’intimata amministrazione ha escluso il concorrente dal concorso sulla base di un decreto penale di condanna.

Il ricorso è infondato.

In conformità ai precedenti di questa stessa Sezione (cfr per tutte sentenza 21/10/2010, n. 32936), il Collegio osserva che il decreto penale di condanna va equiparato alla sentenza di condanna ai fini dell’esistenza del fatto da valutare come significativo dell’esclusione. Anche se non produce gli stessi effetti della sentenza passata in giudicato, esso ha pur sempre valore decisorio dell’esistenza del fatto penalmente contestato (T.A.R. Liguria, sez. II, 15 aprile 2002, n. 432). L’art. 460 c.p.p. prescrive che il decreto debba contenere l’enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate nonché la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata. Una volta esecutivo, l’accertamento contenuto nel decreto è perciò suscettibile di essere utilizzato per tutte le valutazioni conseguenti, senza la possibilità di discussione del suo valore probatorio in analogia al giudicato esterno (Cass. civile, sez. lav., 9 giugno 1981, n. 3733; 27 aprile 1981, n. 2539).

Con riguardo agli effetti che il decreto penale di condanna può avere sulle vicende amministrative si è pronunciato nello stesso senso anche Consiglio di stato, sez. IV, n. 7195/2006 (in una vicenda relativa ad una gara d’appalto).

Le considerazioni sviluppate dall’Alto consesso possono valere avuto riguardo anche ai concorsi pubblici attesa la medesima ratio che accomuna i due tipi di procedimento, entrambi a valenza competitiva e/o selettiva.

Anche la giurisprudenza penale ha equiparato il decreto penale di condanna, quanto anche agli effetti che ne possono derivare sul piano amministrativo, alla sentenza di condanna (cfr. Cass. Penale, sez. III, 22 maggio 2007 n. 24265).

Né potrebbe convincentemente sostenersi che il decreto penale di condanna non fa stato nei giudizi civili e amministrativi; ed invero, l’affermazione, del caso, sarebbe inconferente vertendosi, nella fattispecie, in ambito di procedimento amministrativo e non giurisdizionale.

Si ignora se il candidato si sia opposto o meno al decreto penale di condanna. Ma se anche questo fosse accaduto – nella prospettiva di conseguire l’assoluzione piena e rimuovere per tal via il pregiudizio arrecatogli dalla pronuncia penale -, la circostanza non rimuoverebbe l’ostacolo alla partecipazione concorsuale ostandovi, in tal caso, sempre e comunque, l’esistenza storica e giuridica del decreto penale di condanna (assimilato alla sentenza), ancorché quest’ultimo meramente inefficace a seguito dell’opposizione e fino alla sua decisione.

Si può ben dire, dunque, che l’impugnato provvedimento è stato legittimamente adottato sul presupposto della impossidenza in capo al ricorrente di un preciso requisito indicato nel bando di concorso.

Ebbene, accertata, in via ricognitiva, la carenza di siffatto requisito, niente altro doveva fare l’amministrazione se non procedere alla esclusione del candidato, senza alcuna valutazione di interessi (pubblici) in gioco essendosi esaurita, siffatta discrezionalità, ad un livello più alto e generale di esercizio (bando di concorso).

L’attività in parola, in altri termini, era del tutto vincolata nell’an e nel quid, non residuando all’amministrazione margini di discrezionalità. Ed è noto che in ambito di attività vincolata l’unico vizio che rileva è l’errore nella decisione, ovvero la non corrispondenza dell’atto alla fonte paradigmatica di riferimento: verifica di conformità che ben può fare anche il giudice recando ad oggetto, questo tipo di giudizio, non più l’atto bensì il fatto a fronte di una attività non valutativa né opinabile.

Nel caso di specie, il ricorrente, come sopra detto, è stato escluso per impossidenza di un requisito soggettivo. Il giudizio portato all’attenzione del Collegio (con un’azione sostanzialmente di accertamento) ha confermato la corrispondenza dell’atto al suo paradigmafonte di riferimento, sicché, le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno dell’errore assertivamente commesso dall’amministrazione non hanno trovato fondamento.

In conclusione, il ricorso in esame è infondato e va, pertanto, respinto mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese processuali che si liquidano in Euro 1.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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