Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 10-02-2011, n. 4830

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.I.P. del Tribunale di Cassino, con sentenza in data 10/7/2009, dichiarava D.S.F. e D.C.A. colpevoli dei reati, in concorso, di truffa continuata, estorsione, minaccia, e li condannava, previa concessione delle attenuanti generiche, dichiarate prevalenti per il D.C. e equivalenti per il D. S., all’aggravante della riunione dei correi, alla pena, per il D.S., di anni cinque di reclusione e Euro 600 di multa e per il D.C. alla pena di anni tre di reclusione e Euro 300 di multa. La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 8 marzo 2010, in riforma della sentenza, appellata dagli imputati, riteneva assorbiti i reati di truffa in quelli di estorsione, riducendo la pena al D.S. ad anni quattro di reclusione e Euro 500 di multa e al D.C. ad anni due, mesi quattro di reclusione e Euro 260 di multa, confermando, nel resto, la sentenza. Proponevano autonomi ricorso per cassazione i difensore di entrambi gli imputati;

nell’interesse di D.S.F. venivano dedotti i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata analisi della condotta minacciosa del D.S.;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per genericità della motivazione in relazione al reato di estorsione in danno di S.W. relativa al prelievo coattivo di due puledri, contestato al capo c);

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione in relazione al motivo di appello n. 6 sulla inattendibilità della parte offesa P., che ha rilasciato le sommarie informazioni raccolte dalla P.G.;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione in relazione ai motivi di appello nn. 7 e 8, circa l’estorsione in danno di P.B., posta in essere con minacce per costringerlo a riconsegnare l’Alfa Romeo 166 (capo g) e la violenza ex art. 611 c.p. in danno di P.B.;

e) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza di motivazione in ordine alla disparità di trattamento tra i due imputati con riferimento all’aumento di pena per la continuazione.

Il difensore di D.C.A. deduceva i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di estorsione in danno di S.W. contestato nei capi a) e b), non avendo la Corte territoriale considerato il ruolo occasionale dell’imputato senza alcun contributo causale allo svolgimento degli eventi;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per genericità della motivazione in relazione al reato di estorsione in danno di S.W. relativa al prelievo coattivo di due puledri, contestato nel capo c), in mancanza di alcun contributo del prevenuto alla commissione del reato;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del reato sud e) e f), avendo acquistato, insieme alla moglie, l’Alfa Romeo 159 dal D.S., come documentato dalla scheda dei pagamenti e della copia delle matrici di assegni;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione alla sussistenza del reato sub g);

e) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. non avendo la Corte territoriale riconosciuto il ruolo assolutamente marginale del prevenuto.
Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili.

1) Con riferimento ai primi due motivi del D.S. e a quelli proposti dal D.C., ad eccezione dell’ultimo, vengono proposte censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

La Corte di Appello di Roma, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia il comune modus vivendi di entrambi gli imputati che subordinavano i prestiti richiesti da persone in difficoltà economiche alla cessione di beni di loro proprietà al fine di appropriarsene; in particolare, a fondamento dell’accusa, vengono ritenute attendibili le dichiarazioni delle persone offese che hanno anche confermato in dibattimento le rispettive accuse, ricostruendo analiticamente le condotte dei coimputati (pag. e e 3 sentenza), con significativi riscontri alle dichiarazioni delle parti lese, quali la disponibilità della Mercedes in capo a un conoscente del D.S. che gli aveva riferito di averla acquistata dal P., il quale, però, aveva negato la circostanza, avendo solo svolto il ruolo di intestatario formale della stessa, su pressione del D.S. e la circostanza che i cavalli dello S. erano stati trovati nella disponibilità del D.S., mentre l’Alfa 159 era nella disponibilità della moglie del D.C.. Viene posta l’accento anche alla condotta minacciosa posta in essere dal D.S. che ha indotto sia lo S. che il P. a cedere le rispettive autovetture per effetto dello stato di soggezione creato dall’atteggiamento aggressivo dell’imputato (pag. 7 sentenza);

vengono evidenziate, con riferimento al D.S., la sussistenza della fattispecie di reato ascritta, desunta dalle circostanze ambientali connotate da minacce ai familiari delle parti offese e dal coinvolgimento di altre persone nelle sue azioni, quali il coimputato D.C., la consorte del fratello, ponendo in risalto la personalità sopraffattrice del D.S., l’ingiustizia delle pretese, le particolari condizioni soggettive della parte offesa S., persona di particolare impressionabilità. La condotta minacciosa del D.S., sia pure affermata dalla Corte, desunta dal complessivo comportamento posto in essere dall’imputato (con particolare riferimento al prelievo coattivo dei due cavalli dello S. e alla minaccia dei familiari delle proprie vittime), non è, comunque, rilevante ai fini della sussistenza dei reati ascrittigli, fondata su elementi probatori certi, quali, in particolare, le dichiarazioni della parte offesa.

Anche con riferimento al ruolo, asseritamente occasionale, svolto dal D.C., e con riferimento ai primi due motivi di ricorso del predetto, trattasi di argomentazioni generiche e, quindi, inammissibili, avendo dovuto, invece, il ricorrente specificare quale fosse la condotta del prevenuto al fine di dedurne la valutazione relativa all’assenza del contributo causale allo svolgimento degli eventi di cui ai capi d’imputazione.

La Corte territoriale ha evidenziato che il D.C. si è fatto tramite tra lo S. e il D.S., contribuendo al perfezionamento dell’operazione relativa al trasferimento della Mercedes, essendo stata sottoscritta nel suo ufficio la dichiarazione di vendita della Mercedes al P.; inoltre lo stesso ha richiesto allo S. la consegna dei puledri minacciando di non erogargli la somma di Euro 30.000 se non avesse consegnato gli animali; per gli ulteriori addebiti a carico del prevenuto, per semplicità espositiva, si fa riferimento alle valutazioni della Corte territoriale indicate a pag. 10 e 11 della sentenza.

Anche con riferimento alla intestazione dell’Auto 159 alla moglie del D.C., (nonostante le parti della permuta fossero il P. e il D.S.) la stessa è avvenuta su espressa richiesta del D. S., secondo cui, in mancanza della sottoscrizione del passaggio di proprietà di tale autovettura, non sarebbero stati consegnati al P. i documenti di circolazione dell’Alfa 166, a dimostrazione, secondo la Corte territoriale, di un accordo tra i due imputati finalizzato ad estorcere la vettura in questione, essendo il D.C. l’effettivo destinatario dell’auto della quale mirava a impossessarsi, essendo stata, tra l’altro, nella sua disponibilità, tramite la formale intestazione a favore della moglie. Gli argomenti proposti dal ricorrente D.C. o sono generici e, quindi inammissibili, come ad esempio, le censure di cui al quarto e quinto motivo di ricorso o costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

E’ indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa (Cass., sez. 3, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez. 4, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349 e la successiva conforme) che, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916; Cass., sez. 6, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m.

198250; Cass., sez. 2, 26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Numelter, m. 201251; Cass., sez. 3, 20 settembre 1995, Azingoli, m. 203155), non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Cass., sez. 6, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m.

208912, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2, 13 maggio 1997, Di Candia, m. 208229, Cass., sez. 1,11 luglio 1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3, 26 novembre 1997, Caggiula, m.

209404). A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità. Nel caso di specie i Giudici di merito, come già evidenziato, hanno sottoposto ad attento controllo le dichiarazioni della vittima, valutate nel contesto delle emergenze processuali, ed estendendo il vaglio anche ad altri elementi, già indicati, che, pur se giuridicamente non necessari, è stato ritenuto corroborassero ab externo il contenuto delle propalazioni accusatorie.

L’utilizzazione della fonte di prova è stata, quindi, condotta dai Giudici del merito nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza delle persone offese dal reato e con adeguata motivazione, che si sottrae a censura in questa sede.

E’ appena il caso di aggiungere che l’esattezza delle suddette valutazioni, non può formare oggetto di contestazione in questa sede, essendo notoriamente preclusi alla Corte di legittimità l’esame degli elementi fattuali e l’apprezzamento fattone dal giudice del merito al fine di pervenire al proprio convincimento. In conclusione si tratta di reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di secondo grado, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.

Dalla ritenuta attendibilità dell’accusa discende, quindi, l’esatta affermazione della sussistenza dei contestati delitti, i cui elementi costitutivi sono stati tratti in gran parte dalle dichiarazioni delle parti offese.

2) Con riferimento agli altri motivi del ricorso del D.S., la Corte ha logicamente motivato la sussistenza del reato di estorsione in danno di S.W. (secondo motivo) con riferimento, oltre al profitto, evidente, anche all’ingiustizia del danno, considerata la mancata consegna di somma di denaro al venditore della Mercedes nonostante la sottoscrizione del formale passaggio di proprietà del suo veicolo, apparentemente al P., ma in realtà al D. S.. La Corte ha, sia pure implicitamente, con riferimento al terzo motivo di ricorso, ritenuto l’attendibilità del teste P. che, a fronte della cessione della sua auto, è stato costretto a versare, mensilmente, da (OMISSIS), Euro 300 a titolo di interessi per il prestito della somma di Euro 1500, senza mai ricevere la documentazione necessaria al passaggio di proprietà dell’Alfa 166, nonostante la vendita dell’Alfa 159 alla moglie del D.C. fosse stata prospettata come condizione per ottenere i documenti in questione ed essendo stato, successivamente, costretto dall’atteggiamento minaccioso degli imputati a restituire l’Alfa 166, subendo anche minacce da parte del D.S. al fine di indurlo a ritirare la denuncia sporta nei confronti del D.C..

In sintesi l’illegittima richiesta di restituzione della somma versata, la prospettazione della mancata consegna dei documenti di proprietà dell’Alfa 166 ed il recupero forzoso, preceduto da minacce, della stessa auto, unitamente all’iniziativa giudiziaria sollecitata dal P., si inquadrano, in base alla coerente e logica valutazione della Corte territoriale, nel complesso unitario disegno perseguito degli imputati di ottenere "gratuitamente" e per effetto della condizione di assoggettamento indotta con minacce nel P., la disponibilità, sia di fatto che giuridica, dell’Alfa 159 di quest’ultimo.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, "in conformità al disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), , il difetto di motivazione valutabile in cassazione può consistere solo in una mancanza (o in una manifesta illogicità della motivazione stessa), ma esclusivamente se il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato; il che significa che deve mancare del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e che non può costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto ad emettere il provvedimento" (Cass. Sez. 2, sent. 3438 del 11.6.1998, dep. 27.6.1998 rv 210938).

I giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione; non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza si è puntualmente attenuto ad un coerente, ordinato e conseguente modo di disporre i fatti, le idee e le nozioni necessari a giustificare la decisione del Tribunale, che resiste perciò alle censure dei ricorrenti in punto omessa o insufficiente motivazione, anche con riguardo al quarto motivo di ricorso, concernente l’estorsione in danno di P.B. per costringerlo a riconsegnare l’Alfa Romeo 166, nonchè la violenza ex art. 111 c.p. in danno del medesimo (cfr pag. 9 e 10 sentenza) In ogni caso, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "in tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in cassazione solo perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità" (Cass. Sez. 1 sent. 3385 del 9.3.1995, dep. 28.3.1995 rv 200705).

Ricondotte perciò le doglianze al vizio di motivazione, è necessario ricordare che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (Sent. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794) "l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciarle, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento".

"L’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali". (Sez. U Sent. 47289 24.09.2003 -10.12.2003 rv 226074, Petrella).

Con riferimento alla determinazione della pena la Corte territoriale, confermando il giudizio di comparazione già effettuato dal Tribunale tra la condotta di ciascuno imputato, ha determinato una diversa pena per ciascuno.

In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278).

La pena base individuata per ciascun imputato deve ritenersi, quindi, adeguata, valutata anche la concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti per il D.C. e equivalenti per il D. S., alla contestata aggravante e a tutti i criteri ex articolo 133 c.p. valutati dal giudice di primo grado.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *