Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 10-02-2011, n. 4827

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 22 febbraio 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Roma, in data 4 gennaio 2007, appellata da G.G., dichiarato colpevole dell’ipotesi lieve di ricettazione di cui all’art. 648 cpv. c.p., di una Vespa Piaggio 50, di provenienza furtiva, e condannato alla pena di mesi cinque di reclusione e Euro 700 di multa, pena interamente condonata.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) mancanza dell’elemento psicologico del reato, errata qualificazione giuridica del fatto, falsa applicazione dell’art. 648 c.p.. b) estinzione del reato per intervenuta prescrizione sia nell’ipotesi riconosciuta dalla Corte territoriale di cui all’art. 648 cpv. c.p. sia nel caso di derubricazione nella fattispecie contravvenzionali di cui all’art. 712 c.p..
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Per la configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, e la prova dell’elemento soggettivo del reato può trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede (Sez. 4, Sentenza n. 4170 del 12/12/2006 Ud. (dep. 02/02/2007) Rv. 235897).

A tal proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede, (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

2) Con riferimento alla eccepita prescrizione del reato, preliminarmente, si deve osservare che nella presente fattispecie, decisa con sentenza del tribunale in data 4.1.2007, si applicano – L. 5 dicembre 2005, n. 251, ex art. 10, comma 3 modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 393 del 23/11/2006 – le nuove regole sulla prescrizione, comunque, più favorevoli all’imputato.

Il ricorrente si è limitato a riformulare le medesime questioni già correttamente e esaurientemente disattese dalla Corte territoriale, L’ipotesi attenuata di ricettazione prevista dall’art. 648 c.p., comma 2 non configura una autonoma previsione incriminatrice, quanto una circostanza attenuante speciale, destinata ad incidere sul regime sanzionatorio del reato-base, secondo quel rapporto di "specie" a "genere" che si realizza fra la fattispecie circostanziata e quella semplice di reato, per la presenza di qualche requisito specializzante (nella specie, la particolare tenuità del fatto criminoso).

Ne discende che, ai fini dell’applicazione del nuovo regime della prescrizione, quale risultante dal testo novellato dell’art. 157 c.p. (che impone di aver riguardo "alla pena stabilita per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale"), bisogna aver riguardo alla pena stabilita per il reato base, e non per l’ipotesi attenuata.

Quindi, ai fini della prescrizione, si deve far riferimento alla pena di otto anni prevista per la ricettazione semplice di cui all’art. 648 c.p., comma 1 aumentata fino a 10 anni in forza degli eventi interrottivi, ex art. 160, comma 3, c.p. Il ricorrente riconosce che il dies a quo del termine di prescrizione decorre dal 21 novembre 2000, e tale termine di matura il 21.11.2010;

quindi, l’eccezione di intervenuta prescrizione – contenuta nella memoria difensiva – è manifestamente infondata. Invero, anche senza tener conto delle eventuali cause di sospensioni, il reato non si era prescritto quando è stata pronunziata la sentenza impugnata (22.2.2010) data alla quale bisogna fare riferimento essendo stato dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Inammissibilità che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. maturate successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso. (Si veda fra le tante: Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. – dep. 22/04/2004 – Rv. 228349).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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