Cass. civ. Sez. I, Sent., 21-03-2011, n. 6324 Ricorso

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Svolgimento del processo

G.G. proponeva nell’ottobre 2006 alla Corte di appello di Torino domanda di equa riparazione in relazione alla irragionevole durata di un giudizio civile di danni ad un appartamento, instaurato nel 1992 dinanzi al Pretore di La Spezia nei confronti (anche) di suo padre A. nella qualità di amministratore pro tempore di un Condominio, definito in primo grado con sentenza depositata nel 2004, avverso la quale pendeva appello.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 30 marzo 2007, ritenuto che il ricorrente non era legittimato a chiedere l’indennizzo per la durata irragionevole di un procedimento del quale non lui, bensì il suo genitore (peraltro, evocato nella sola qualità di amministratore del condominio) era stato parte, e che il danno patrimoniale diretto che egli assumeva aver subito non era ricollegabile alla durata del procedimento stesso, respingeva il ricorso.

Avverso tale decreto il G. ha proposto ricorso a questa Corte, affidato a unico motivo. Resiste il Ministero con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione

1.- Il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, erronea e falsa applicazione di norme di diritto ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6 p. 1, CEDU), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5).

2.- Deve preliminarmente rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel marzo 2007, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6 che ha introdotto l’art. 366 bis c.p.p.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica- l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1-2-3- 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis:

Cass., S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto- che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 3.- Il ricorso in esame non è conforme a tali disposizioni. Infatti, l’illustrazione dell’unico motivo si conclude con la seguente esposizione del quesito di diritto: "Dica codesta Ecc.ma Corte se, ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, comma 1 CEDU e della Legge Pinto n. 89 del 2001, art. 2, il Giudice nazionale, nell’accertare la sussistenza della violazione della durata ragionevole del processo, debba considerare discrezionalmente la tempistica ritenuta congrua ai fini dell’individuazione della lesione del diritto alla ragionevole durata, ovvero debba uniformarsi alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e conformemente a quest’ultima attribuire rilievo al complessivo periodo di tempo necessario affinchè il diritto di credito azionato dal ricorrente trovi concreta attuazione. Risponde con un si o con un no?". Trattasi all’evidenza di quesito che, oltre che generico, si mostra inconferente, come tale assimilabile al quesito mancante (cfr. ex multis Cass. S.U. n. 11650/2008), non essendo riferito alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, che non attiene affatto alla questione della durata del procedimento presupposto da considerare ai fini della individuazione della lesione denunziata, bensì alla insussistenza nel ricorrente della legittimazione ad agire.

La declaratoria di inammissibilità ne deriva dunque di necessità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore del resistente, che liquida in Euro 600,00 oltre le spese prenotate a debito.

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