T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 07-02-2011, n. 1112 Procedimento e provvedimento disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, il ricorrente impugna la determinazione ministeriale del 7 luglio 2007 con la quale la direzione generale per il personale militare gli ha irrogato la sanzione di stato della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi dell’art. 34 della L. n. 1168/1961, e, per l’effetto, la cessazione dal servizio permanente ai sensi dell’art. 12, lett. f) della medesima legge.

L’interessato deduce un unico, articolato motivo di gravame per eccesso di potere (violazione del principio di imparzialità).

Come seguono le censure:

1)il fatto commesso dal ricorrente non presenta profili di gravità tali da giustificare l’applicazione della massima sanzione di stato;

2)il ministero non sembra aver tenuto conto dell’esiguo ammontare delle somme oggetto di appropriazione;

3)non è stata presa in considerazione l’avvenuta restituzione di tutto il danaro;

d)nessun rilievo sembra avere assunto la mitezza della pena detentiva comminata;

d)neppure è stata ritenuta degna di nota la ragione determinativa del fatto di reato rappresentata nel procedimento disciplinare;

e)la sanzione consegue automaticamente alla condanna penale senza autonoma valutazione dei fatti;

f)è stato violato il principio di proporzionalità e gradualità della sanzione;

g)in altre situazioni simili il ministero è intervenuto con sanzioni disciplinari più lievi.

Con memoria depositata il 17 novembre 2010, il ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza del 17 dicembre la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato.

Dalla documentazione versata in atti si evince che:

il ricorrente è stato condannato dal tribunale militare, con sentenza n. 133 del 23 novembre 2006, per il reato di truffa militare, aggravata e continuata;

divenuta irrevocabile la sentenza, l’amministrazione, ha avviato, in data 22 febbraio 2007, gli atti di accertamento disciplinare nei confronti del militare conclusosi con il deferimento dell’inquisito alla commissione di disciplina;

la commissione di disciplina ha ritenuto, nella seduta del 13 giugno 2007, l’appuntato "non meritevole di conservare il grado;

il direttore generale del personale militare, sulla scorta degli atti del procedimento disciplinare, tenuto conto della gravità dei fatti commessi dall’appuntato ricorrente, si è determinato nei contestati sensi.

In via generale, il Collegio osserva che i reati dei quali si è reso colpevole il ricorrente (truffa militare, aggravata e continuata) sono così palesemente idonei ad incidere sul contenuto minimo del rapporto fiduciario che deve intercorrere fra l’Istituzione militare ed i suoi dipendenti nonché sui rapporti esterni con la collettività (decoro, immagine, prestigio, lealtà) da rendere inutile una giustificazione particolarmente diffusa del provvedimento di destituzione, dovendo anzi essere adeguatamente giustificata la decisione di non applicare la sanzione più grave al militare che si sia reso colpevole dei reati in questione.

Ciò posto, le censure sono comunque tutte destituite di giuridico fondamento.

Il ricorrente lamenta difetto di istruttoria, incompleta ed incongrua rappresentazione dei fatti, violazione del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione, difetto di motivazione in rapporto all’iter logico seguito per arrivare all’irrogazione della sanzione massima. Si duole della incongrua valutazione dei fatti rispetto alla misura della sanzione la quale, a suo dire, avrebbe dovuto essere – giusta ragioni che avevano indotto il militare a commettere i fatti contestatigli – ben più lieve di quella in concreto applicata.

E’ accaduto che il sig. M., nella qualità di appuntato dell’Arma dei Carabinieri in servizio permanente, all’epoca dei fatti addetto al Comando Stazione Carabinieri per l’Aeronautica militare di Borgo Piave (LT), "con più azioni di un medesimo disegno criminoso, con artifizi e raggiri consistiti nel rappresentare verbalmente e per iscritto esigenze connesse al servizio, tali da determinare il proprio invio in missione fuori sede, chiedeva ed otteneva, senza averne titolo, dal servizio amministrativo del reparto di appartenenza, anticipi in danaro relativi a dieci certificati di viaggio per un totale di euro 6.475,00". "Tale comportamento" – prosegue il direttore generale – "è da ritenersi biasimevole sotto l’aspetto disciplinare in quanto contrario ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare ai doveri del giuramento prestato ed ai doveri di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei Carabinieri, nonché altamente lesivo del prestigio dell’Istituzione. I fatti disciplinarmente accertati sono di rilevanza tale da richiedere l’applicazione della massima sanzione disciplinare di stato".

Come seguono le considerazioni del Collegio:

le presunte (peraltro non documentate) cattive condizioni economiche e di salute della moglie del ricorrente non possono giustificare né attenuare la gravità della mancanza commessa, consistente nella fraudolenta appropriazione di somme in danno dell’amministrazione;

ben avrebbe potuto, il militare rivolgersi all’Arma e, per il tramite dei suoi uffici amministrativi, reperire, secondo le agevolazioni previste per i dipendenti pubblici e quelle specifiche per gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, le disponibilità economiche di cui egli avvertiva il bisogno.

La sanzione disciplinare inflitta al ricorrente e la pedissequa cessazione dal servizio sono esenti da manifesta irrazionalità e/o sproporzione.

Esse s’appalesano, altresì, precedute da regolare istruttoria procedimentale (comunque, incontestato svolgimento del relativo iter formale), esplicitata valutazione dei fatti, non implausibile giudizio di relazione tra i fatti medesimi e la sanzione applicata.

Ed invero, la determinazione impugnata è stata coerentemente motivata e logicamente graduata alla luce delle risultanze istruttorie e della accertata condotta riprovevole; altrettanto correttamente essa è stata ricondotta sotto il rispettivo paradigma normativo degli artt. 12, lett. f) e 34, n. 6 della L. n. 1168/1961.

In particolare, risulta per tabulas che nel procedimento disciplinare:

a)si è tenuto esplicitamente conto delle memorie difensive presentate per conto del ricorrente dal suo legale di fiducia alla commissione di disciplina;

inoltre, si è dato atto:

b) che tali memorie, per il loro contenuto, sono risultate ininfluenti poiché non capaci di apportare elementi a discolpa dell’interessato;

c)del grado di rilevanza delle mancanze commesse rispetto al danno causato all’immagine, al decoro, al prestigio ed alla dignità dell’Istituzione e dell’uniforme indossata;

d)della incompatibilità dei fatti accertati con la permanenza in servizio nell’Arma dei Carabinieri;

e)della irrimediabile compromissione del rapporto di fiducia tra la p.a. ed il suo dipendente.

f)della fraudolenza e degli artifizi utilizzati nella consumazione dell’illecito.

Del tutto evidente ed obbiettiva, dunque, l’autonoma valutazione dei fatti e del comportamento tenuto dal militare effettuata in modo del tutto avulso da qualunque condizionamento da parte del giudizio penale.

Neppure, poi, possono assumere rilievo, ai fini della asserita illegittimità della determinazione impugnata, talune circostanze addotte dal ricorrente quali: la disparità di trattamento, l’avvenuta restituzione del danaro, la mitezza della pena detentiva comminata, le attenuanti generiche concesse dal giudice penale, il contrasto tra il giudicato penale e la misura disciplinare sotto il profilo della diversa valutazione di gravità dei fatti.

Le elencate circostante affatto non dequotano le mancanze sanzionate.

Ritiene il Collegio, che la valutazione dei fatti contestati e la scelta della sanzione disciplinare da infliggere al militare sia espressione dell’ampia discrezionalità di cui è titolare la pubblica amministrazione e sia quindi sottratta al sindacato di legittimità, salvi i macroscopici casi di contraddittorietà e/o di evidente sproporzione tra i fatti contestati e la sanzione inflitta (C.d.s. sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 142). Nel caso in esame, l’obiettiva consistenza dei fatti in contestazione appare sorreggere congruamente la valutazione che di essi ha fatto l’amministrazione e la scelta che ne è conseguita, e ciò indipendentemente da ogni (per vero generico) raffronto con altri soggetti le cui (ignote e non documentate) posizioni – presumibilmente valutate dall’amministrazione rispetto a circostanze e situazioni anche storicamente diverse – sono ontologicamente non comparabili con quella del ricorrente.

La circostanza di avere risarcito il danno all’erario, segno anche di pentimento, operano come attenuanti nel giudizio penale ma costituiscono, nel diverso procedimento disciplinare, elementi rimessi alla valutazione discrezionale dell’amministrazione procedente nella graduazione della sanzione. E nel caso di specie, non pare al Collegio che l’amministrazione, nell’applicare la sanzione di "stato" abbia fatto – alla stregua di quanto sopra argomentato – mal governo di questa sua discrezionalità.

Quanto al rapporto (id est, asserito contrasto) tra entità della pena inflitta dal giudice penale e misura disciplinare, l’autonomia dei due procedimenti rende improponibile qualsivoglia comparazione tra le due pronunce in termini di contraddittorietà, contrasto ed incoerenza valutativa sulla gravità dei fatti.

Immune da vizi di macroscopica irrazionalità valutativa s’appalesa, infine, anche il giudizio di relazione tra i fatti e le conseguenze che l’amministrazione ne ha tratto. Si ribadisce che la valutazione dei fatti contestati ad un militare, ai fini della loro rilevanza disciplinare, appartiene alla sfera di discrezionalità dell’Amministrazione stessa sicché, fatte salve le ipotesi di manifesta irrazionalità o sproporzione – nella fattispecie non sufficientemente comprovate – non vi è ulteriore spazio per il sindacato del giudice amministrativo in ordine alla scelta di comminare una determinata sanzione disciplinare.

Con memoria depositata il 17 novembre 2010, il (nuovo) difensore del ricorrente, nel riportarsi alle originarie censure e meglio articolandole in punto di fatto e di diritto, introduce un nuovo profilo di doglianza: l’amministrazione, nel determinarsi nei divisati sensi, non avrebbe tenuto conto dei precedenti di carriera del ricorrente.

Si tratta, come detto, di una nuova censura introdotta per la prima volta con memoria difensiva, perciò tradiva e per giunta neppure notificata a controparte, come tale inammissibile.

In disparte quanto sopra, essa s’appalesa comunque infondata.

Il Collegio non coglie, infatti, elementi di contraddittorietà e/o illogicità tali da fondare il ragionevole sospetto di abnormità e/o sproporzione della sanzione inflitta. Dalla documentazione allegata non sembra emergere la figura di un militare dal profilo particolarmente elevato. Ed invero, tra le schede valutative del ricorrente non mancano attenuazioni di giudizio come "nella media" e "superiore alla media".

In conclusione, per tutto quanto sopra esposto ed argomentato, il ricorso in esame non è meritevole di accoglimento e va, pertanto, respinto.

La mancata costituzione in giudizio del Ministero della Difesa esime il Collegio dalla pronuncia sulle spese processuali.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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