Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-03-2011, n. 6554 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto la richiesta di condanna al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale, proposta dalle società sopra indicate – rispettivamente proprietaria dei locali ed impresa produttrice di mobili da cucina operante negli stessi – a seguito degli allagamenti verificatisi nello stabilimento industriale a causa della non corretta esecuzione delle opere di urbanizzazione e di deflusso delle acque.

Il Tribunale adito respingeva la domanda. La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza depositata il 24.09.08, accoglieva la domanda delle società, limitatamente al danno emergente, nei termini quantificati dalla C.T.U. del geom. B., esauriente e fondata sui riscontri e le verifiche necessarie. Quanto alla causa degli allagamenti, la Corte rilevava che secondo la C.T.U. del geologo P. – esauriente e priva di vizi logici, con rilievo planimetrico eseguito dal perito, che aveva puntualmente risposto ai rilievi del Comune – il fosso di raccolta acque piovane aveva una sezione tale per cui necessariamente si verificava un ristagno nella porzione centrale in corrispondenza della proprietà SI.MA.LO.,ove si raccoglievano tutte le acque scaricate nel fosso, a prescindere dalla durata ed intensità della pioggia, sicchè il piazzale della società avrebbe subito allagamenti anche se realizzato un poco più alto: solo con la realizzazione della riprofilatura del fosso e la costruzione dello scatolare (successiva agli eventi in causa) sarebbe stato eliminato il rischio di allagamento della proprietà della società e di quelle adiacenti.

Propone ricorso per cassazione il Comune sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria; resistono le società con controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con il primo motivo, il Comune lamenta omessa insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della realizzazione, in modo corretto o meno, delle opere di urbanizzazione relative allo smaltimento delle acque nella zona ove ha sede l’immobile in causa.

In particolare, lamenta che la sentenza avrebbe omesso di motivare:

a. sul calcolo matematico in base al quale il fosso sarebbe stato inidoneo; b. sulla capacità del fosso di smaltire le acque, come sarebbe stato dimostrato dai calcoli del C.T. di parte del Comune; c. sull’errore che il C.T.U. avrebbe commesso nella sovrapposizione della propria planimetria a quella dell’Ing. G. del 1994, prendendo due punti di partenza diversi, con decisivo errore nel calcolo delle quote in questione; d. sull’aumento della capacità di smaltimento del fosso realizzata dal Comune, come sempre dimostrato dai calcoli del C.T. di parte dello stesso.

Il motivo è privo di pregio, in quanto non sono ravvisatali nell’impianto argomentativo della sentenza impugnata i dedotti vizi motivazionali: il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico – che, come nell’ipotesi, abbia tenuto conto nella relazione, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte – esaurisce l’obbligo della motivazione mediante l’indicazione delle fonti del suo convincimento: senza necessità che si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti di fiducia, che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese in quanto incompatibili con le conclusioni tratte (Cass., sez. 1, 9 gennaio 2009 n. 282 e 3 Aprile 2007, n. 8355; Cass., sez. 3^, 24 aprile 2008, n. 10688; Cass..,Sez. Lav., 10 agosto 2007 n. 17606; Cass., sez. 2, 13 Settembre 2000, n. 12080). In questo senso, le critiche del ricorrente tendenti al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico si risolvono in mere argomentazioni difensive, aventi sostanziale natura di merito, volte come sono a prospettare una valutazione diversa dei dati raccolti, che non può trovare ingresso in questa sede, non configurando il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Peraltro, la consulenza tecnica d’ufficio non viene adeguatamente censurata nè lo è la sentenza che su di essa si è basata. Per quanto concerne le denunziate carenze della consulenza tecnica, occorre ribadire il principio secondo cui "la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione v. oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (e nella sentenza che l’ha recepita) ha, innanzitutto l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente di ufficio. In definitiva, le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso" (Cass. 13 giugno 2007 n. 13845 e, in precedenza, Cass. n. 7877/06; 4885/06; 2601/06;

17369/04). Nella specie, il ricorrente, non ha trascritto i brani della consulenza d’ufficio contestati, nè, soprattutto, ha dato conto delle risposte fornite dal C.T.U. (della cui effettuazione la Corte d’Appello ha dato esplicitamente atto in sentenza) alle critiche ad essa mosse, nè queste ultime sono state puntualmente riportate, sottraendosi così all’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso. Del resto, la parte che in sede di legittimità lamenti che il giudice non ha esaminato le censure mosse al parere del c.t.u. ha l’onere di indicare in modo specifico le censure, riportandole integralmente, per consentire la valutazione della loro decisività (Cass. 6.9.2007, n. 18688; Cass. 28.3.2006, n. 7078; Cass. 26.7.2002, n. 11047). In nessun caso con il ricorso per cassazione la parte può muovere censure dirette alla C.T.U..

Con il secondo motivo, il Comune lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto controverso della prova del danno, per essersi il giudice di appello riportato alla C.T.U. del Dott. B. – che sarebbe stata disposta sul presupposto che vi fosse prova documentale dell’effettiva esistenza dei danno lamentati, sicchè la perizia avrebbe dovuto riguardare solo la quantificazione dello stesso – ritenendola "esauriente e fondata sui riscontro e le verifiche necessarie"; mentre nella stessa era affermato "che con l’ausilio della sola documentazione agli atti è praticamente impossibile ricostruire con assoluta certezza l’entità dei beni danneggiati" e non era "possibile nè asserire l’entità dei materiali e soprattutto l’effettivo grado di danno subito per ogni singolo bene".

In primo luogo, rileva la Corte che, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, la decisione impugnata, quanto all’individuazione dell’oggetto del danno, non si è riferita unicamente alla C.T.U. del geometra B., ma anche alla prova testimoniale raccolta (v. pag. 4 sent. cit.) con la conseguenza che, per questa parte, la censura è priva di riferibilità alla sentenza impugnata. Per la restante, in cui censura l’esito di detta C.T.U., anche questo motivo manca del requisito della specificità, in quanto, avendo la corte territoriale basato il proprio convincimento sull’accertamento tecnico eseguito in secondo grado, nel ricorso avrebbero dovuto, da un lato, essere richiamate le difese svolte al riguardo e disattese dal giudice, dall’altro, essere assoggettata a puntuale analisi tale fonte del detto convincimento onde dimostrare l’assunta erroneità dell’interpretazione datane dal giudice, mentre dalla lettura delle argomentazioni nel motivo stesso sviluppate non è dato affatto desumere nè se difese fossero state svolte nè l’esatto contenuto della risultanza istruttoria, diversamente interpretata, invocata a sostegno delle tesi esposte. Allorchè, invero, la sentenza si basi essenzialmente sulle risultanze d’accertamenti tecnici, il motivo di ricorso non può limitarsi a censure apodittiche d’erroneità e/o d’inadeguatezza della motivazione od anche d’omesso approfondimento di determinati temi d’indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto giudice a quo, è, per contro, necessario che il ricorrente riporti per esteso le pertinenti parti della consulenza ritenute insufficientemente od erroneamente valutate, svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione (Cass. 5 maggio 2003 n. 6753). Ciò in quanto, per il principio d’autosufficienza del ricorso per Cassazione, è condizione d’ammissibilità del motivo il consentire al giudice di legittimità, cui non è dato l’esame diretto degli atti processuali se non ove siano denunziati errores in procedendo, d’effettuare, preliminarmente, una valutazione della decisività, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal giudice a quo, delle risultanze assunte erroneamente od insufficientemente valutate e, quindi, un’adeguata disamina del dedotto vizio della sentenza impugnata.

Nella specie, il ricorrente si limita al generico riferimento ad alcune affermazioni del c.t.u. ed a trame le proprie personali conclusioni per dimostrare l’assunta contraddittorietà rispetto alla valutazione di completezza dell’elaborato alla quale è pervenuta la corte territoriale, così traducendosi il motivo, non in una specifica censura, ma in una semplice prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice a quo del tutto preclusa in questa sede.

Le censure mosse alle conclusioni del consulente tecnico (e alla sentenza che le abbia recepite) sono ammissibili in sede di ricorso per Cassazione solo ove, da un lato, siano specificamente riportate nel motivo e, dall’altro, ne risulti la tempestiva prospettazione innanzi al giudice del merito; a sua volta, questa deve risultare dalla sentenza impugnata o, in difetto, da adeguata indicazione, nel contesto del motivo, dell’atto del procedimento di merito nel quale le contestazioni predette fossero state formulate, onde consentire al giudice di legittimità, prima di procedere alla valutazione della decisività della questione, il controllo della veridicità dell’asserzione, ovvio essendo come una censura che si sostanzi, di fatto, in un’istanza d’ulteriore diversa indagine istruttoria, della quale non si deduca nè dimostri aver già formato oggetto di specifica adeguata richiesta in sede di merito, non possa trovare ingresso in sede di legittimità (Cass. 7 febbraio 2006 n. 2601; 12 febbraio 2004 n. 2707, in motivazione).

Nella specie, nelle deduzioni dei ricorrenti non risulta adeguatamente esplicitato in quali termini, in quali occasioni e con quali atti, ai giudici del merito siano stati segnalati errori del consulente d’ufficio, così nel rilievo e nell’elaborazione dei dati posti a base della relazione commessagli come nello svolgimento dell’iter logico iniziato con l’analisi di quei dati e terminato con le rassegnate conclusioni, così come neppure ne risulta se, quando, in quali esatti termini e con quali precise finalità, ai giudici stessi siano stati richiesti una nuova consulenza od un supplemento di quella già espletata; inoltre, censurando l’adesione dei giudici del merito alle tesi del consulente d’ufficio e la mancata valutazione delle loro diverse opinioni, di queste non specificano in alcun modo il contenuto limitandosi o ad affermare apoditticamente che i detti giudici avrebbero dovuto trame argomenti favorevoli alle loro tesi in contrasto con quelli sviluppati dal consulente d’ufficio, così limitandosi, in sostanza, a generiche recriminazioni. Pertanto, la censura, non consentendo l’accertamento nè del rispetto del principio di preclusione nè della decisività delle questioni probatorie sollevate, è inammissibile.

Con il terzo motivo, il Comune denuncia violazione di norme di diritto, chiedendo a questa Corte di verificare se, accertata la sussistenza di un concorso colposo dei creditori nel cagionare il danno, il giudice debba tenere conto di tale concorso nella quantificazione del risarcimento dovuto al creditore, diminuendone l’importo in base all’entità della colpa del creditore e delle conseguenze che ne sono derivate. Analoga censura viene proposta con il quarto motivo, sotto il profilo dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo dell’esclusiva attribuzione della responsabilità in capo ad esso Comune.

Questi ultimi due motivi sono inammissibili: il terzo per l’inidoneità del quesito di diritto con esso proposto, sostanzialmente tautologico, che già presuppone la risposta, senza chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata (Cass. S.U. n. 26020/2008; n. 28536/2008) e privo di una sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, come della sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice (Cass., Sez. 3^, Ord. n. 19769 del 17/07/2008); il quarto, in quanto manca del prescritto "momento di sintesi", omologo al quesito di diritto, necessario a circoscrivere i limiti della censura e a coglierne la fondatezza (S.U. n. 20603/07).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.400,00, di cui Euro 7.200,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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