Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-01-2011) 10-02-2011, n. 4815

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p.1. Con sentenza del 13/07/2010, la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza pronunciata in data 3/10/2008 con la quale il Tribunale di Roma aveva ritenuto A.M. responsabile del delitto di ricettazione. p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo illogicità della motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilità del ricorrente sulla base di elementi contraddittori ed insufficienti. p.3. La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato sulla base dei seguenti elementi:

1. "il materiale rinvenuto era occultato in un locale condominiale (ex locale caldaie), in uso esclusivo all’ A., protetto da un sistema raffinato di apertura della porta, sintomo univoco dell’esigenza di proteggere oggetti di valore.

2. I reperti archeologici sono oggetti in assoluto e notoriamente fuori commercio.

3. Lo stesso appellante definisce il proprio assistito come persona "appassionata di oggetti etruschi" e quindi sicuramente in grado di distinguere un reperto originale da una semplice riproduzione.

4. L’imputato ha ammesso di aver acquistato i reperti anche se ha dedotto, senza tuttavia fornirne prova, l’inconsapevolezza dell’autenticità dei pezzi sopra richiamati".

In questa sede, il ricorrente ha sostenuto che "la Corte testualmente nel n. 1 dimentica che all’interno del locale caldaia sono stati ritrovati oggetti tra cui casseforti, arnesi, strumenti giochi SIM Card, pertanto ritenere che il sistema di chiusura fosse dovuto per l’esistenza all’interno del locale dei reperti è una semplice congettura della Corte non suffragata da alcun riscontro. Tale affermazione è destituita di fondamento. L’assunto dell’ impugnata sentenza in riferimento ai punti nn. 2 e 3 è smentito inesorabilmente dalla stessa sentenza impugnata, che pertanto entra in un irriducibile contrasto con sè stessa nella parte in cui asserisce non solo che tali oggetti sono fuori commercio ma addirittura che l’imputato fosse un conoscitore degli stessi".

Sennonchè va replicato che:

– quanto al n. 1, il fatto che nel locale caldaia vi fossero altri oggetti, non fa venir meno la forza dell’argomento addotto dalla Corte territoriale che ha basato la sua affermazione non sul fatto che vi fossero altri oggetti ma sul fatto che gli oggetti ricettati si trovavano in un locale "protetto da un sistema raffinato di apertura della porta, sintomo univoco dell’esigenza di proteggere oggetti di valore";

quanto ai nn. 2-3, l’obiezione non è affatto chiara e non si capisce in cosa consisterebbe la contraddittorietà della motivazione atteso che la Corte territoriale si è limitata a trarre da due fatti noti (oggetti fuori commercio – imputato esperto) il fatto ignoto e cioè che il ricorrente dovesse essere necessariamente a conoscenza del fatto di avere acquistato oggetti di provenienza illecita.

La doglianza, pertanto, va ritenuta manifestamente infondata. p.4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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