Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-01-2011) 10-02-2011, n. 4800

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Hanno proposto ricorso per cassazione B.M. e T. M., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 22.7.2009, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei loro confronti dal Tribunale di Modena il 27.1.2008, a seguito di giudizio abbreviato, per i reati di tentata rapina e in materia di anni agli stessi ascritti come in atti, commessi secondo l’accusa, ai danni dell’istituto bancario San Geminiano e San Prospero di (OMISSIS), in concorso con altri soggetti.

Gli imputati erano stati arrestati, il B. e altri due malviventi all’uscita dalla banca, il T. nei pressi, senza avere consumato la rapina, e venivano trovati in possesso, tra l’altro, di anni da taglio.

Con l’unico motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata in relazione all’art. 56 c.p., e il difetto di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per avere i giudici di appello ritenuto che nella condotta degli imputati fosse configurabile il tentativo di rapina, rilevando in sostanza l’incompatibilità dell’ipotesi accusatoria con la ricostruzione dei fatti risultante dal provvedimento.

Il B. e il T., infatti, giunti insieme ad altri due soggetti a (OMISSIS) a bordo di due autovetture diverse armati di coltelli o di "cutter", avevano lasciato i mezzi parcheggiati presso la banca; il T. sarebbe rimasto alquanto lontano dall’istituto di credito, mentre il B. vi aveva bensì fatto ingresso con gli altri presunti complici, ma senza che nessuno dei presenti si accorgesse delle loro intenzioni criminali, dal momento che tutti si erano tosto allontanati per ragioni secondo la difesa non chiarite nè nel corso delle indagini nè nel corso del processo.

In diritto, sarebbe poi erronea l’affermazione dei giudici territoriali secondo cui l’attuale codice penale avrebbe abbandonato, ai fini dell’identificazione del tentativo punibile, la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, avvalorata invece anche dalla più recente giurisprudenza.

In ogni caso, sarebbe configurabile, nella spontanea decisione degli imputati di rinunciare alla rapina, l’ipotesi della desistenza volontaria regolata dall’art. 56 c.p.p., comma 3, con la previsione della non punibilità della condotta precedente. Il ricorso è manifestamente infondato.

Va premesso, in diritto, che deve respingersi la tesi secondo cui la valutazione dell’idoneità del tentativo è subordinata all’accertamento di condotte che nella loro oggettività corrispondano anche in minima parte ad un inizio di esecuzione del delitto programmato, dal momento che il codice penale, contrariamente a quanto deduce la difesa, non prevede, ai fini della configurabilità del tentativo, la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi (cfr. Cass. pen. Sez. 1, 2.2.2007, n. 4359).

Ai fini della punibilità del tentativo, possono quindi assumere rilevanza anche gli atti meramente preparatori, quando essi, per le concrete circostanze di luogo, di tempo o di mezzi, evidenzino che l’agente commetterà il delitto progettato a meno del sopravvenire di eventi imprevedibili, indipendenti dalla sua volontà, e che l’azione abbia la rilevante probabilità’ di conseguire l’obiettivo programmato (Corte di Cassazione SENT. 28213 15/06/2010 SEZ. 2, Michelizzi).

Gli indirizzi giurisprudenziali sulla questione sono da tempo attestati su questi principi, a smentita della contrarie deduzioni difensive. Avuto riguardo alla pacifica ricostruzione dei fatti, e ai criteri legali di valutazione, del tutto correttamente, peraltro, la Corte territoriale ha ritenuto da una parte l’idoneità del tentativo, dall’altro l’assenza di qualunque prova concreta della desistenza degli imputati.

Sotto il primo profilo la ricostruzione dei fatti ricordata dallo stesso ricorrente indica univocamente, in conformità alle valutazioni della Corte di merito, che gli imputati avevano scelto la banca come obiettivo di una immediata azione criminosa; riguardo alla ipotesi della desistenza, i giudici di appello rilevano che uno dei complici degli imputati si era accorto della presenza di agenti di polizia sul posto, senza che su questa notazione, evidentemente incompatibile con la spontaneità della rinuncia all’azione criminosa, la difesa interloquisca in alcun modo. Quanto alla specifica posizione del T., la difesa rileva del tutto genericamente che lo stesso sarebbe stato "lontano" dall’istituto di credito, ma intanto egli fu arrestato insieme ai suoi complici, in secondo luogo la Corte territoriale sottolinea adeguatamente le inequivocabili indicazioni della partecipazione dello stesso imputato al progetto criminoso desumibili dalle circostanze in cui anche lui insieme ai complici si era recato in (OMISSIS) raggiungendo l’area in cui era ubicato l’istituto di credito. Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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