Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-01-2011) 10-02-2011, n. 4798

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 15/02/2010, la Corte di Appello di Bari, pur riducendo la pena, confermava la sentenza pronunciata in data 31/03/2009 con la quale il Tribunale di Lucera aveva ritenuto R. A. responsabile del delitto di estorsione ai danni di C. V.. p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. violazione dell’art. 438 c.p.p., comma 5 e art. 442 c.p.p., comma 2 per non avere la Corte territoriale applicato la diminuente prevista per il giudizio abbreviato. Il ricorrente evidenziava, infatti, che, nel corso del giudizio di primo grado, aveva richiesto il giudizio abbreviato condizionato alla sola escussione della parte lesa C.V., richiesta, però, che era stata illegittimamente respinta prima dal Tribunale e, poi, dalla Corte territoriale, pur avendo entrambi i giudici di merito fondato l’affermazione di responsabilità sulla sola deposizione del C.. In realtà, la prova richiesta era pertinente e rilevante ed inoltre compatibile con le esigenze di economia processuale connaturali al giudizio abbreviato.

2. Motivazione mancante non avendo la Corte territoriale specificato i criteri attraverso i quali era pervenuta all’affermazione di responsabilità nei confronti del R., essendo state pretermesse le prove a discarico pur risultanti ex actis e quelle assunte nel giudizio di appello. In particolare, il R., in sede di dichiarazioni spontanee in appello, aveva affermato di essere socio del C. nella pescheria (anzi, che la pescheria era sua, essendo intestata al C. solo formalmente, in quanto esso ricorrente era un pregiudicato) sicchè poteva prelevare gratis il pesce di cui aveva bisogno. Il C. si era indotto alla denuncia solo perchè aveva contratto debiti di varia natura. Sul punto la sentenza non aveva speso una sola parola. La sentenza, inoltre non aveva risposto al motivo di gravame con il quale si era evidenziato che lo stesso C. aveva riferito di non avere subito minacce, e non aveva esaminato le dichiarazioni dei testi a discarico G. R. ed altri.

3. violazione dell’art. 56 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto che il reato contestato fosse stato consumato e non invece solamente tentato. Infatti, per effetto dell’appostamento della polizia giudiziaria, il R. non era riuscito a conseguire il provento o il profitto della sua azione illecita.

4. VIOLAZIONE dell’art. 62 bis c.p. per non avere la Corte territoriale concesso le attenuanti generiche, nonostante avesse ritenuto di escludere la contestata recidiva essendo i precedenti penali risalenti nel tempo.
Motivi della decisione

p.3. VIOLAZIONE dell’art. 438 c.p.p., comma 5 e art. 442 c.p.p., comma 2: la doglianza non può trovare ingresso in quanto, da un controllo dei motivi di appello, non risulta che il ricorrente avesse sollevato la relativa questione. p.4. Motivazione mancante: anche tale doglianza va disattesa. In ordine alla responsabilità dell’imputato, la Corte territoriale – dopo aver ricostruito i fatti – ha chiarito che "la minaccia costitutiva del delitto di estorsione è stata manifestata apertamente il giorno (OMISSIS) con la pronunzia della frase trascritta ndr: "mi devi dare i capitoni per domani mattina se vuoi stare tranquillo nel periodo di Natale perchè io ti guardo … tu stai bene economicamente ed il pesce devi continuare sempre a darcelo come hai sempre fatto" frase che non lascia adito a perplessità o dubbi in ordine al suo significato. In ogni caso non è verosimile che un soggetto, peraltro in difficoltà economiche, potesse spontaneamente regalare il pesce al R., che neppure frequentava.

Si richiamano per il resto le considerazioni formulate nella sentenza appellata, anche in ordine al significato da attribuire alla deposizione degli altri testi. La suddetta motivazione – in parte per relationem – non si presta ad alcuna censura atteso che la Corte territoriale ha ben focalizzato che la frase pronunciata dall’imputato avesse un indubbio contenuto minatorio. A ben vedere l’unica censura riguarda il fatto che la Corte territoriale non avrebbe dato alcuna risposta all’alternativa versione dei fatti fornita da esso ricorrente. Sennonchè, sul punto, va rilevato quanto segue: nel giudizio di primo grado, l’imputato aveva affermato che la parte offesa C. gli regalava il pesce: la suddetta tesi difensiva fu ampiamente disattesa dal primo giudice (pag. 5 sentenza di primo grado). In grado di appello, l’imputato, cambiò nuovamente versione e sostenne che egli aveva diritto a prelevare tutto il pesce che voleva perchè la pescheria era, in realtà, sua essendo intestata solo fittiziamente al C.. Ora, è vero che la Corte territoriale non ha espressamente confutato la suddetta tesi, ma deve osservarsi che il giudice, come nel caso di specie, quando la tesi difensiva è priva di ogni pur minimo riscontro e viene prospettata anche tardivamente, non è tenuto a motivare dovendosi ritenere la reiezione implicita alla stregua del tessuto motivazionale del tutto incompatibile con la prospettata tesi difensiva: il che è quanto avvenuto nella concreta fattispecie proprio perchè il compendio probatorio evidenziato da entrambi i giudici di merito è tale da essere incompatibile con la tesi difensiva. p.5. violazione dell’art. 56 c.p.: anche la suddetta censura è manifestamente infondata. La Corte, sul punto, motiva in modo corretto alla stregua dei consolidati principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità. Di conseguenza, non avendo il ricorrente evidenziato carenze motivazionali ovvero violazioni di legge, essendosi, a ben vedere, limitato a riproporre la sua tesi difensiva, la censura va ritenuta manifestamente infondata. p.6. Violazione dell’art. 62 bis c.p.: anche tale doglianza è manifestamente infondata, in quanto la motivazione addotta sul punto dalla Corte territoriale, è congrua ed adeguata rispetto agli evidenziati elementi negativi che l’avevano indotta a negare le richieste attenuanti. p.7. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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