Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-12-2010) 10-02-2011, n. 5020 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5.10.2009 la Corte di Appello di Catania, previa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’escussione del Prof. L., consulente del P.M. e del dr. Se., in riforma della sentenza emessa in data 28.12.2004 dal Tribunale di Ragusa, Sezione distaccata di Vittoria, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.G. in ordine al delitto di omicidio colposo in danno di Sc.Gi. (commesso il (OMISSIS)) perchè estinto per prescrizione, confermando per il resto, e cioè quanto alle statuizioni civili, la sentenza appellata.

La Corte riteneva che gli accertamenti compiuti dal S., medico di guardia del Pronto Soccorso dell’Ospedale (OMISSIS) e specialista in cardiologia, limitati all’elettrocardiogramma, al controllo della pressione arteriosa e della presenza dei polsi, fossero del tutto insufficienti ad accertare la grave patologia (cioè la dissezione aortica) che dai sintomi denunciati dal paziente poteva evincersi o, comunque, ad escluderla proprio per non esporlo, già con il trascorrere del tempo, a ben più gravi conseguenze. Escludeva, inoltre, l’efficienza causale di una serie di elementi postumi all’omissione contestata all’imputato, dalle errate somministrazioni farmacologiche fatte dal medico curante nella giornata di domenica, che avrebbero attenuato la sensazione di dolore e, quindi, ritardato il manifestarsi dei sintomi della malattia, al ritardo di circa otto ore dal momento del ricovero presso l’ospedale (OMISSIS) all’esecuzione dell’intervento chirurgico. Il comportamento omissivo del S. veniva ritenuto dalla Corte territoriale gravemente imperito, dal momento che quest’ultimo sottovalutò gravemente i sintomi lamentati dal paziente (dolore al torace e difficoltà di deambulazione a seguito di dolore-sensazione di freddo ad uno degli arti inferiori che non gli consentivano di deambulare), non si avvide dall’auscultazione della sofferenza cardiaca (soffio da insufficienza cardiaca), rassicurando il paziente con la diagnosi, assolutamente affrettata e superficiale, di stress.

In questo contesto, la scelta del paziente, riportata nel referto ospedaliero di rifiutare il ricovero, letta alla luce delle dichiarazioni del teste M.A. (che riferiva che essa era stata condizionata dall’implicita condotta dissuasiva dell’imputato che/oltre a ricondurre i sintomi lamentati a stress aveva prospettato al paziente che gli accertamenti sarebbero stati eseguiti solo il lunedì successivo) non elideva la responsabilità del medico proprio perchè fondata su una falsa rappresentazione della realtà.

Dovendo, poi, verificare se la condotta colposa contestata all’imputato potesse collegarsi eziologicamente alla morte di Sc.Gi., la Corte territoriale richiamava la più accreditata letteratura scientifica in tema di dissecazione aortica, così come aveva evidenziato i rischi di sopravvivenza a lungo termine (5 o 10 anni) dei pazienti che sopravvivono alla fase acuta, aveva individuato l’aumento del rischio di morte nella misura dell’1% per ogni ora in caso di ritardo della diagnosi, affermando anche che il rischio di mortalità era pari al 75% nei pazienti non trattati entro due settimane. La stessa letteratura, inoltre, affermava unanimamente che la tempestività della diagnosi molto spesso si rileva determinante al fine di scongiurare il decesso del paziente;

in proposito, infatti, studi statistici hanno provato che il rischio e direttamente proporzionale al ritardo confermando che l’indice di mortalità nella dissezione aortica acuta e dell’1% per ora nelle prime 48 ore dall’esordio dei sintomi, se non trattata. Seguendo questo dato statistico, la Corte concludeva che, ove lo Sc. fosse stato prontamente avviato alle indagini diagnostiche necessarie, a cominciare dalla radiografia del torace sino alla TAC già nelle ore successive alla visita a cui egli si era sottoposto presso il P.S. dell’ospedale di (OMISSIS), certamente le probabilità di buon esito dei necessari trattamenti sarebbero state elevatissime.

Il dato statistico, di per sè non appagante tenuto conto che lo stesso si forma sull’esperienza della generalità dei casi (e, quindi, è tratto dalle vicende di pazienti di età diverse anche avanzate e, a volte, con pregresse patologie anche significative), doveva essere messo in relazione alle caratteristiche del caso concreto che aveva avuto ad oggetto un paziente molto giovane, in perfette condizioni di salute, il cui exitus era avvenuto solo il (OMISSIS), a distanza, quindi, di una settimana dall’insorgenza dei sintomi della grave patologia aortica e di cinque giorni dall’intervento di sostituzione del tratto di aorta ascendente interessato dalla dissecazione con una protesi tubolare.., consentiva di ritenere, con alto grado di probabilità logica, che una tempestiva e corretta diagnosi avrebbe scongiurato l’evento.

Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione i difensori di fiducia di S.G. deducendo i seguenti motivi (con allegazione al ricorso di un referto medico e di verbali stenotipici concernenti deposizioni testimoniali).

1. La mancanza e contraddittorietà della motivazione sul punto relativo ai sintomi accusati da Sc.Gi. il 25.9.1999:

vizio emergente dal testo del provvedimento impugnato, dal referto di Pronto Soccorso rilasciato dall’Ospedale di (OMISSIS), dalle dichiarazioni rese da I.V., dalle dichiarazioni rese dal consulente tecnico del P.M. (dr. L.) e dalle dichiarazioni del dr. Se..

Al riguardo si evidenzia che, mentre a pag. 11 della sentenza si riporta che alle ore 20,25 del 25 settembre 1999 lo Sc. "si presentava presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale (OMISSIS), lamentando, come riportato nel referto, "oppressione toracica", contraddittoriamente, poi, segue l’argomentazione fondata su dati probatori non univoci, alla luce della quale lo Sc. presentava già in P.S. "dolore toracico, dolenzia alla gamba e soffio sistolico", su cui poi la Corte aveva fondato la sussistenza della condotta colposa dell’imputato. Nè le successive argomentazioni sanavano la contraddittorietà della motivazione poichè si dava per scontato che fin dal 25 settembre fossero presenti gli ulteriori sintomi di cui all’auscultazione del Dr. S. in data 27 settembre e la zoppia riferita dal teste M. come presente, assieme al dolore al petto e al pallore, al momento dell’arrivo del paziente al P.S..

2. La mancanza di motivazione sul punto relativo alla imprudenza, imperizia e negligenza della condotta tenuta dall’imputato: vizio emergente dal testo del provvedimento impugnato, dalle dichiarazioni rese da I.V., dal confronto eseguito tra lo stesso I. e il teste M.A. e dalle dichiarazioni rese dal dr. P.. Non era, cioè, stato affrontato il tema della condotta che l’imputato avrebbe dovuto tenere per evitare l’addebito di condotta colposa.

La Corte aveva ritenuto d’individuarla nel dovere di disporre l’immediato ricovero del paziente per eventualmente avviarlo con immediatezza presso una struttura convenzionata per più approfondite indagini diagnostiche, compreso l’esame TAC ma aveva omesso di considerare che dal confronto tra il teste I. e il teste M. era emerso che unico teste presente al colloquio tra imputato e Sc. fu l’infermiere I. che aveva esplicitamente affermato che il Su. disse comunque allo Sc. che il ricovero era assolutamente necessario. Inoltre, il ricorso, per effettuare i necessari accertamenti, alla struttura convenzionata esterna alla quale aveva fatto riferimento il dr. P., era possibile solo in regime di ricovero, come appunto precisato dal teste in questione.

3. L’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 40 c.p..

La Corte, discostandosi dai principi della nota sentenza "Franzese" delle SS.UU. di questa Corte di Cassazione in materia di nesso causale nei reati omissivi impropri ed aderendo a più recenti sentenze di questa Corte, aveva sostenuto che la particolarità del caso concreto e cioè la giovane età e le ottime condizioni generali del paziente, potessero indurre la certezza processuale che lo Sc., sottoposto ad intervento chirurgico, si sarebbe salvato, in tal modo superando il dato statistico dell’elevata mortalità della patologia in questione anche nell’immediatezza dell’intervento (fino al 30%). A tal riguardo la Corte aveva fondato il suo convincimento su "generalizzazioni tratte dalla più accreditata letteratura in materia che attribuisce al ritardo nell’intervento un aumento di probabilità di morte pari all’1% per ora", in tal modo ricorrendo ad un criterio meramente statistico e trascurando gli aspetti peculiari della vicenda e segnatamente tutte gli avvenimenti susseguitesi tra il (OMISSIS) da cui era derivato l’ulteriore ritardo accumulato fino all’arrivo presso l’ospedale di Catania e alla sottoposizione all’intervento.

E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse delle parti civili, tesa a suffragare la fondatezza della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e dev’essere, pertanto, rigettato. Va anzitutto rammentato, in relazione alle prime due censure, che, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti mutato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

In questa prospettiva, il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta null’altro che il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova" finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale.

E’ quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto è stato trasfuso o meno, senza travisamenti, all’interno della decisione.

Ma in ogni caso non spetta alla Corte di Cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen. sez. 4, 12.2.2008, n. 15556 Rv. 239533). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, che appunto deve riscontrarsi nel caso in esame in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità.

Orbene, deve riconoscersi come la Corte territoriale abbia adeguatamente assolto all’onere motivatorio con un’ampia disamina di tutte le risultanze istruttorie raccolte.

La "contraddizione" segnalata con il primo motivo di ricorso, tale non è in quanto, da un canto, il dato iniziale ed incontroverso del dolore toracico e della sua intensità è il sintomo basilare sempre valorizzato dalla Corte ai fini di una pronta diagnosi della grave infermità in questione e, d’altro canto, nulla vietava alla Corte di trarre, con progressivi collegamenti logici, da ulteriori fonti probatorie, quali la deposizione del teste M. suffragata sul punto da quella del dr. Se., altri elementi sintomatologici rafforzativi, come la zoppia, di cui ha ritenuto, sulla scorta delle emergenze della consulenza tecnica disposta dal P.M. e della deposizione del dr. L., la sottovalutazione da parte del S., al punto che questi avrebbe omesso di "riportarlo nel referto", e la presenza di un soffio sisto-distolico, rilevato dal Dr. Se. nella mattinata del 27 settembre, ma che la Corte sostanzialmente ritiene già presente la sera del (OMISSIS), laddove assume che l’imputato non se ne avvide nel corso dell’esame obiettivo dello Sc..

Del resto, la sentenza impugnata precisa (pag. 19) che anche a voler considerare solamente la presenza del dolore toracico era senz’altro dovere del S. disporre l’immediato ricovero per "osservazione" come prescrive il protocollo sottoscritto dal Dott. P., responsabile dei servizi del P.S. di Vittoria. Il caso, pertanto, andava approfondito immediatamente in considerazione della presenza di dolore toracico (anche a non volerlo considerare associato alla dolenzia ad un arto inferiore) con l’effettuazione di quelle indagini diagnostiche, compresa la TAC, che potevano evidenziare l’insorgenza di alcune tipiche patologie e di ciò doveva sicuramente essere a conoscenza l’imputato che, essendo specializzato in cardiologia, avrebbe dovuto avere particolari cognizioni della sintomatologia delle più gravi patologie cardiache.

Inoltre, correttamente anche la Corte territoriale, al pari del giudice di primo grado, ha ritenuto che la scelta del paziente di rifiutare il ricovero scaturì da una falsa rappresentazione della realtà prospettatagli alla luce della deposizione del teste M. (che aveva riferito la risoluzione dello Sc. fu condizionata dall’implicita condotta dissuasiva dell’imputato che aveva ricondotto a stress i sintomi lamentati e prospettato al paziente che gli accertamenti sarebbero stati eseguiti solo il lunedì successivo) che risulta anche suffragata da quanto riferito sia dal dr. Se. sia, soprattutto, dr. D. de relato dello Sc., circa la risoluzione di quest’ultimo andarsene a casa a seguito della notizia appresa di dover fare gli accertamenti solo il lunedì successivo: sicchè non è affatto decisiva al riguardo la deposizione dell’ I. in ordine alla dedotta informazione resa dal S. allo Sc. circa l’assoluta necessità" del ricovero, dal momento che tale circostanza appare limitata alla percezione solo della prima parte delle affermazioni del S. in occasione del colloquio con lo Sc., essendo stata poi comunque "stemperata" dall’ulteriore informazione – determinante per il successivo rifiuto di ricoverarsi opposto dallo Sc. – della possibilità di effettuazione degli accertamenti a partire solo dal lunedì successivo. Nessuna rilevanza, al contrario, può attribuirsi al fatto che l’Ospedale di (OMISSIS) non avesse i mezzi per gli esami necessari poichè, come rileva nuovamente il Giudice di appello in sentenza richiamando la deposizione del teste P., il medico del pronto soccorso avrebbe potuto ricorrere a consulenza cardiologica specialistica ed era presente "un servizio di autoambulanza per il trasporto in via d’urgenza del paziente in una struttura convenzionata per eseguire tempestivamente una tomografia" essendo suo dovere, a fronte dell’accertato dolore al petto, "avviare il paziente presso altra struttura attrezzata peri le esigenze del caso" o almeno prescrivere i necessari approfondimenti diagnostici (che quindi il paziente avrebbe potuto effettuare rivolgendosi autonomamente alle strutture convenzionate). E’ del tutto assente la denunciata violazione dell’art. 40 c.p.. Invero, la sentenza impugnata (peraltro in simbiosi con quella di primo grado), partendo dai principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 30328 del 10.7.2002, c.d.

"Franzese" e richiamando, ma a meri fini esplicativi e puntualizzativi, ulteriori pronunce di questa Sezione in materia (nn. 36162 del 7.6.2007 e 25233 del 2005) che si pongono comunque, come sottolineato anche dal giudice a quo, nel solco segnato da quella delle SS.UU. predetta dalla quale non si discostano affatto (come invece si sostiene in ricorso), ha effettuato il corretto giudizio "controfattuale", raccomandato dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, laddove ha affermato che "sostituendo all’inerzia e all’omissione contestate al S. il comportamento alternativo corretto, poteva escludersi con alto grado di credibilità razionale che l’evento lesivo hic et nunc (ovvero il decesso del paziente) si sarebbe ugualmente realizzato e ciò sia partendo dalle leggi scientifiche e statistiche di settore sia attraverso la necessaria verifica delle peculiari connotazioni del caso concreto".

Ha, poi, concluso, alla luce delle affermazioni del dr. L., secondo il quale "se si fosse fatta una diagnosi si sarebbe potuto operare nel giro di qualche ora e quindi saremmo rientrati…", che 7 e manifestazioni sintomatiche presenti già la sera del (OMISSIS) erano certamente univoche della patologia in corso…", così ponendo la condotta omissiva (circa il tempestivo ricovero e la prescrizione di approfondimenti diagnostici) ed imperita (circa la corretta valutazione della sintomatologia e la superficiale ed affrettata diagnosi formulata) del S. in diretto collegamento eziologico con l’evento lesivo, e quindi ritenendo l’ulteriore ritardo dell’intervento, dilazionato alla sera del (OMISSIS), direttamente riconducibile all’iniziale e colpevole omissione dell’imputato.

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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