Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-03-2011, n. 6502 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7.12.2001 il Tribunale di Torino ha accolto la domanda di B.R.A. volta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Esex srl in data 15.4.2000 per inidoneità a svolgere la mansione per la quale era stato assunto e impossibilità di reperire in azienda altri posti di lavoro compatibili con le sue condizioni fisiche.

La decisione del Tribunale è stata confermata dalla Corte d’Appello di Torino con sentenza che è stata tuttavia annullata dalla Corte di Cassazione, che con la decisione n. 13046/2005 del 15.3.2005, ha affermato che non era corretto ritenere che non fosse stata provata l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni allorchè il datore di lavoro aveva richiesto l’ammissione di consulenza tecnica d’ufficio volta a dimostrare l’incompatibilità delle condizioni fisiche del B. con l’intero ambiente di lavoro.

Riassunto il giudizio ed espletata consulenza tecnica d’ufficio sulla compatibilità della patologia oculare da cui era affetto il lavoratore con le mansioni esistenti in azienda, la Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, ha respinto l’appello con sentenza del 15.1.2007, confermando la sentenza di primo grado.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Esex srl affidandosi a cinque motivi cui resiste con controricorso B.R. A..

La società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo di ricorso viene denunciata violazione del combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e dell’art. 384 c.p.c. in relazione al mancato rispetto, da parte del giudice di rinvio, delle direttive impartite dalla Suprema Corte con la sentenza n. 13046/2005. La Corte d’appello, in particolare, non avrebbe tenuto conto del rilievo espresso dalla S.C. secondo cui era incoerente affermare che era onere della società provare di non poter adibire il B. ad altre mansioni, per poi negare che fosse determinante stabilire l’eventuale inidoneità del lavoratore all’ambiente di lavoro nel suo complesso, e così del rilievo secondo cui non era stato spiegato perchè non fosse necessario accertare la topografia dei locali aziendali e delle fonti di calore.

2.- Con il secondo e il terzo motivo di impugnazione si denunciano "vizi motivazionali" attinenti la consulenza "medico legale", che risulterebbe affetta da errori medico-scientifici e da affermazioni illogiche e contraddittorie, o alcuni passaggi della motivazione della sentenza gravata, in particolare laddove si afferma che "non è in giudizio la riportabilità o meno delle patologie all’attività lavorativa" e che la consulenza "ha esaminato i vari reparti dell’azienda alla luce delle patologie di cui soffre il B., individuando precise collocazioni di lavoro ancora sussistenti". 3.- Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto che fosse stata proposta per la prima volta nel giudizio di rinvio l’eccezione secondo cui il risarcimento avrebbe dovuto essere limitato al minimo di legge di cinque mensilità, non avendo l’azienda alcuna responsabilità in ordine alla sopravvenuta inidoneità del B. al lavoro, di cui era stata informata solo nel 2000. Sostiene al riguardo la ricorrente che l’eccezione non potrebbe considerarsi nuova in quanto la stessa sarebbe stata proposta già con la comparsa di costituzione in primo grado.

4.- Con il quinto motivo di gravame la società denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 394 c.p.c. e alla L. n. 300 del 1970, art. 18 nella parte in cui i giudici di appello hanno determinato il risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegra senza tener conto del fatto che il B. aveva ammesso, nel corso delle operazioni di consulenza tecnica, di aver trovato altro lavoro sin dall’epoca del licenziamento, nonchè del fatto che lo stesso aveva richiesto il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 5. 5.- Il ricorso è infondato. Quanto al primo motivo, si osserva che le censure sono infondate poichè la Corte di merito, quale giudice del rinvio, ha disposto consulenza tecnica d’ufficio tendente ad accertare, nel solco tracciato dalla sentenza della S.C., se la patologia da cui era affetto il B. fosse compatibile con mansioni, diverse da quelle già svolte, esistenti all’epoca del licenziamento presso i vari reparti dell’azienda. E il c.t.u. ha accertato l’esistenza di mansioni compatibili con la menomazione da cui era affetto il B. anche alla luce dei dati risultanti dalla prodotta documentazione identificati va dei rischi d’impresa, formata in epoca vicina a quella del licenziamento, e da ritenersi dunque idonea a soddisfare le specifiche finalità di una indagine tendente a stabilire il rapporto di compatibilità tra la malattia e la mansioni esistenti, all’epoca, in azienda.

Anche le censure svolte con il secondo e il terzo motivo di impugnazione sono prive di fondamento, trattandosi di critiche che ripetono, per lo più, le considerazioni espresse dal consulente tecnico di parte (con una nota di cui non è stata disposta l’acquisizione dal giudice del rinvio), incentrate solo su alcuni aspetti delle argomentazioni svolte dal c.t.u. nella relazione di consulenza tecnica e comunque prive di decisività in quanto fondate su affermazioni che si risolvono in una mera contrapposizione rispetto alla valutazione effettuata dal consulente tecnico d’ufficio e recepita in sentenza dal giudice del rinvio, e, in definitiva, inidonee ad offrire alcun argomento effettivo di riscontro sugli elementi di contrasto logico o di erroneità eventualmente insiti nella relazione peritale.

In ogni caso, le censure proposte con tale motivo di impugnazione si risolvono in critiche sulla valutazione degli elementi di fatto acquisiti, involgendo così un sindacato di merito non consentito in sede di legittimità; dovendo rimarcarsi, al riguardo, che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poichè in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).

E’ inammissibile il quarto motivo. Invero, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la società ricorrente avrebbe dovuto precisare, a pena di inammissibilità, se e come l’eccezione di cui si discute era stata mantenuta e ritualmente riproposta anche nel corso dei gradi di giudizio successivi al primo.

La parte che in sede di ricorso per cassazione deduca che il giudice di merito abbia erroneamente considerato come nuova una domanda o un’eccezione già formulate nei precedenti scritti difensivi è tenuta, infatti, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare gli atti difensivi con i quali tale domanda o tale eccezione erano state proposte nei precedenti gradi di giudizio, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo o del verbale di udienza nel quale l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificare non solo la ritualità e la tempestività, ma anche la decisività delle questioni prospettate; infatti, pur essendo la dedotta violazione in esame riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo per il quale la S.C. è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere – dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena d’inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dell’onere di indicare compiutamente gli atti della fase di merito, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. ex plurimis Cass. 6361/2007, Cass. 4208/2007, Cass. 4614/2006, Cass. 1701/2006, Cass. 15781/2005, Cass. 11034/2003, Cass. 604/2003, Cass. 12259/2002, Cass. 10314/2002, Cass. 317/2002).

E’ infondato, infine, il quinto motivo.

Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, infatti, il giudizio di rinvio è un giudizio chiuso, che non può quindi riguardare fatti estranei a quelli esaminati e decisi dai giudici di legittimità (vedi, con specifico riferimento alla detraibilità dell’aliunde perceptum, Cass. 5729/97, secondo cui nel giudizio di rinvio l’ambito dell’accertamento non può essere ampliato con l’introduzione di nuovi temi d’indagine, se non nell’ipotesi di questioni necessariamente connesse agli accertamenti per cui è stata effettuata la devoluzione del giudizio da parte della S.C.). E’ vero che, secondo un più recente orientamento giurisprudenziale, l’allegazione degli importi che il lavoratore abbia percepito per aver svolto nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto un’attività remunerata è ammissibile anche nel giudizio di rinvio;

ma ciò purchè tale allegazione avvenga nel primo atto difensivo utile dalla conoscenza dei fatti, dovendo il datore di lavoro fornire la prova del momento di acquisizione della notizia (cfr. Cass. 20500/2008). Nella specie, a prescindere dalla genericità dell’allegazione formulata dalla società in ordine all’entità degli importi che sarebbero stati percepiti dal lavoratore dopo il licenziamento, non è stata provata (e neppure allegata specificamente nel ricorso) la tempestività della proposizione dell’eccezione di aliunde perceptum; non è stata quindi dimostrata la sua proponibilità nel giudizio di rinvio. Allo stesso modo, come esattamente ritenuto dalla Corte territoriale, non potevano essere prese in considerazione nel giudizio di rinvio questioni relative alla facoltà di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, che si afferma esercitata dal lavoratore nel dicembre 2001, o alla risarcibilità del danno per un’entità superiore alla misura minima delle cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, che, come già detto, non risultavano ritualmente proposte e prese in esame nei precedenti gradi di giudizio.

6.- Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali devono ritenersi assorbite tutte le censure non espressamente esaminate, il ricorso deve quindi essere rigettato.

7.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 35,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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