T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 07-02-2011, n. 198 Competenza e giurisdizione Pensioni, stipendi e salari U. S. L. trattamento economico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La definizione della controversia richiede una concisa ricostruzione dei fatti.

25 settembre 1986: con deliberazione n. 927 l’ULSS 20 attribuisce ai ricorrenti, all’epoca dirigenti amministrativi presso l’ULSS medesima, con le qualifiche di vice segretario generale e capo ripartizione, lo stesso trattamento economico globale annuo previsto per coloro che rivestono la qualifica di vice direttore sanitario a tempo pieno di ente ospedaliero, e ciò a decorrere dal 1° ottobre 1978.

18 giugno 1987: con ordinanza n. 97 il Presidente dell’ULSS, rilevato che il trattamento economico dovuto al personale beneficiario della DCG n. 927/86, dal 1° gennaio 1983, va determinato secondo i criteri stabiliti dal DPR n. 348/83, mantenendo agli interessati un assegno "ad personam", dispone che, al personale interessato, sia attribuito, dal 1° gennaio 1983, un assegno "ad personam" riassorbibile con la progressione economica, e dispone altresì che, con gli stipendi del mese di giugno del 1987, saranno liquidate le competenze arretrate in esecuzione della citata delibera n. 927/86.

I dirigenti chiedono la liquidazione di rivalutazione e interessi e l’ULSS, con delibera n. 878 del Comitato di gestione in data 9 ottobre 1991, riconosce ai ricorrenti la spettanza degli accessori sul credito liquidato nel 1987, derivante dal riconoscimento del diritto all’equiparazione dei trattamenti economici suddetti, ma nel contempo delibera di non potere, allo stato, accogliere la richiesta a causa della indisponibilità degli stanziamenti in bilancio.

29 gennaio 1992: il CORECO annulla la DCG n. 878/91. I ricorrenti si rivolgono al Tar che, con sentenza n. 969/97, accoglie il ricorso, annulla il provvedimento impugnato e riconosce il diritto dei dipendenti alle maggiori somme dovute per rivalutazione e interessi.

15 gennaio 1998: il DG dell’ULSS 15, con provvedimento n. 50, preso atto della diffida a pagare interessi e rivalutazione dal 1° ottobre 1978, stabilisce di corrispondere ai ricorrenti la rivalutazione monetaria e gli interessi "dalle singole date di maturazione del credito principale al saldo e, successivamente a questo, alla rivalutazione sino al pagamento, da eseguirsi in gennaio 1998, della rivalutazione maturata sino alla data del saldo del credito principale e degli interessi sino al 31 dicembre 1994, posato che, dopo tale data… le due voci non possono essere cumulate per cui… vengono riconosciuti gli interessi legali,…più favorevoli per gli interessati rispetto alla rivalutazione monetaria". Peraltro, con lo stesso DDG n. 50/98, rivista l’intera vicenda legata al riconoscimento dell’equiparazione del trattamento economico, viene precisato che:

dal 1° gennaio 1983 gli interessati hanno conservato, come assegno "ad personam", le indennità precedentemente godute per la parte eccedente l’erogazione della indennità di cui all’art. 42 ("recte": 41) del DPR 348/83 (indennità di direzione);

dal 1° febbraio 1987, in applicazione del DPR n. 270/87, "tale assegno doveva ridursi per effetto e in misura corrispondente all’aumento della medesima indennità di direzione, escluso invece ogni altro assorbimento legato alla progressione economica per anzianità e all’incremento dello stipendio base. Dall’1.12.1990, con l’entrata in vigore del DPR n. 384/90, l’assorbimento doveva essere completato";

invece, dai cedolini relativi agli anni interessati si è riscontrato che l’importo dell’assegno "ad personam", alla data del 1° febbraio 1987, non è stato modificato.

Da ciò -si legge nel DDG- consegue che occorre recuperare, a carico dei soggetti indicati, tra i quali i ricorrenti, gli importi precisati a pag. 3 del provvedimento impugnato. Nel disporre il recupero, "in funzione di autotutela", il DG pone in risalto l’interesse alla corretta gestione delle risorse pubbliche per cui, nel caso di pagamento non dovuto, l’Amministrazione è obbligata a procedere al recupero. D’altra parte, non può essere fatta valere la buona fede dei percipienti, quale causa ostativa all’uso legittimo del potere di recupero in autotutela, in funzione del tempo trascorso e del consolidarsi della convinzione che il corrisposto equivalga al dovuto, posto che la contestualità del pagamento al quale occorre procedere e in cui trova capienza, per ciascuno degli interessati, il credito vantato dall’Amministrazione, ne consente i recupero senza incidere sulla misura ordinaria dei mezzi di sostentamento.

In conclusione, da una parte il DG ha riconosciuto ai ricorrenti gli importi indicati alle pagine 5 e 6 del provvedimento impugnato, a titolo di "rivalutazione monetaria sino al pagamento del credito principale e della rivalutazione dello stesso importo fino al dicembre del 1994, più gli interessi dalle singole date di maturazione dei crediti sino al 31.12.1997". D’altro lato ha disposto di procedere, (anche) nei confronti dei cinque ricorrenti, al recupero degli importi specificati a pag. 6 del DDG 50/98, per le ragioni sopra riassunte.

Nel censurare il disposto recupero di somme i ricorrenti hanno dedotto:

con il primo motivo, la violazione dell’art. 42 ("recte": 41indennità di direzione per direttori amministrativi) del DPR n. 348/83, e del successivo accordo di lavoro approvato con il DPR n. 270/87 (v. art. 48, che riproduce, sostanzialmente, il testo del citato art. 42), contestando la tesi dell’ULSS 20 per la quale l’assegno "ad personam" doveva ridursi, per effetto del e in misura corrispondente all’incremento della indennità di direzione medesima, fino al totale riassorbimento dell’assegno medesimo;

con il secondo motivo, riferito in modo specifico alla posizione del dipendente T. (il valore della contestazione è di lit. 1.048.000), la violazione del principio della acquisizione di somme in buona fede, l’intervenuta prescrizione e il vizio di difetto di motivazione;

con il terzo motivo, la violazione del principio della non restituzione di somme percepite in buona fede e, in ogni caso, l’intervenuta prescrizione del diritto dell’ULSS di procedere a recuperi autoriducendo il riconoscimento di somme dovute.

La censura sub 4), recante "erronea interpretazione dell’art. 22, comma 36, della l. n. 724/94, ed erroneo richiamo alla sentenza del Tar del Veneto n. 969/97", riguarda quella parte del DDG con la quale si riconosce, ai ricorrenti, determinati importi a titolo di accessori. In particolare, viene contestata la decisione dell’ULSS di riconoscere, dopo il 31 dicembre 1994, in via alternativa, solo gli interessi o solo la rivalutazione.

Si sono costituiti la Regione, l’AULSS 15 e la Gestione liquidatoria.

La Regione ha eccepito la propria carenza di legittimazione in relazione alla ritenuta successione della Regione nei debiti delle soppresse ULSS spettando, la legittimazione passiva suddetta, ai commissari liquidatori nella qualità di legali rappresentati delle Gestioni liquidatorie delle ex ULSS, Gestioni che hanno una soggettività autonoma loro propria e una legittimazione distinta da quella della Regione.

La difesa dell’AULSS 15 e della Gestione liquidatoria:

ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo dato che, nella parte in cui è stato disposto il recupero di parte degli emolumenti a suo tempo erroneamente corrisposti ai ricorrenti, ricorre una fattispecie di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ., con conseguente devoluzione della controversia al giudice ordinario;

ha rilevato la inammissibilità e/o la irricevibiltà del ricorso proposto, e ciò in base a quanto dispone l’art. 45, comma 17, del d. lgs. n. 80/98 (oggi, art. 69, comma 7, del d. lgs. n. 165/01), dato che il ricorso è stato notificato il 14 settembre 2000 e lo stesso risulta poi essere stato depositato, e quindi "proposto", solo il 21 settembre 2000, ben oltre quindi il termine decadenziale del 15 settembre 2000;

ha eccepito il difetto di legittimazione passiva in capo all’AULSS 15 e alla Gestione liquidatoria, esprimendo l’avviso secondo cui gravano sulle Regioni i debiti delle ULSS soppresse.

Nel merito, la difesa di AULSS e Gestione liquidatoria ha contestato le argomentazioni svolte dai ricorrenti concludendo per la reiezione del ricorso, che è stato discusso all’udienza del 10 dicembre 2010 e quindi trattenuto in decisione.

2.1.- L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa di AULSS e Gestione liquidatoria muove dall’assunto secondo cui il disposto recupero di parte degli emolumenti a suo tempo erroneamente corrisposti ai ricorrenti si tradurrebbe in un indebito oggettivo, con conseguente devoluzione della controversia al giudice ordinario, sulla falsariga di quanto statuito da Cass., n. 26961/09, con riferimento a una fattispecie analoga a quella odierna.

L’accezione è infondata e va respinta.

Le controversie in tema di recupero di emolumenti indebitamente corrisposti a pubblici dipendenti, con riferimento a periodi del rapporto di lavoro anteriori al 1° luglio 1998, riguardano rapporti di impiego e ricadono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La difesa di AULSS e Gestione liquidatoria richiama, a sostegno dell’eccezione, Cass., SS. UU., n. 26961/09.

Senonché, la fattispecie sottoposta all’esame della Cassazione era assai diversa dalla fattispecie odierna.

Essa riguardava la mera restituzione di una somma non dovuta, a titolo di indennità di buonuscita, somma versata, sulla base di una sentenza di Tar, a seguito di mero errore. La Cassazione rileva come, nella specie, non si versava in presenza di provvedimenti amministrativi posti a base della determinazione della indennità di buonuscita, ma si faceva questione di un mero errore di calcolo per eccesso; e come l’INPDAP avesse agito per far valere un diritto di credito alla restituzione di somma non dovuta e versata a seguito di errore, "tanto da non implicare nessuna valutazione di diritto e da escludere qualsiasi difficoltà interpretativa".

Nella fattispecie odierna, invece, il provvedimento di recupero n. 50/98 implica valutazioni interpretative e, perlomeno in astratto, non esclude apprezzamenti di carattere discrezionale da parte dell’Amministrazione emanante.

E in ogni caso, come detto, viene in rilievo una questione che attiene a un periodo del rapporto di impiego anteriore al 1° luglio 1998.

2.2.Sempre in via preliminare e di rito va rigettata l’eccezione di decadenza, ai sensi dell’art. 45, comma 17, del d. lgs. n. 80/98 (v., ora, l’art. 69, comma 7, del d. lgs. n. 165/01), formulata dalla difesa di AULSS 15 e Gestione liquidatoria sull’assunto che il ricorso è stato (sì) notificato il 14 settembre 2000, vale a dire entro il 15 settembre 2000, (ma) è stato depositato, e quindi "proposto", solo il 21 settembre 2000, ben oltre quindi il termine decadenziale del 15 settembre 2000.

L’eccezione è infondata perché, in base alla giurisprudenza prevalente, che questo Collegio condivide (cfr. Cons. St. nn. 7782/10 e 946/09; conf., di recente, Tar Veneto, nn. 29 e 22 del 2011), "il ricorso notificato prima del 15 settembre 2000 ma depositato dopo tale data deve considerarsi pienamente ammissibile… la tesi che, sotto il profilo logicogiuridico, fa discendere dalla scelta del modello processuale c.d. "da ricorso" la conseguenza che il rapporto processuale si costituirebbe soltanto con il deposito del ricorso e non con la sua notificazione, non considera che la chiave di soluzione del problema sta nello stabilire non il momento in cui il giudice viene concretamente investito dell’onere di decidere la controversia, ma il momento in cui, alle stregua delle norme processuali, debba intendersi concretamente esercitato il diritto d’azione. Diritto, che al di là della sua connotazione formale, si ricollega, sul piano sostanziale, alla situazione giuridica soggettiva che costituisce il titolo della domanda giudiziale, secondo la formula solenne contenuta nell’art. 24 della Costituzione, in forza del quale "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi".

Ora, se l’azione "deve essere intesa come il diritto potestativo di ottenere, non già una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito" (Cassazione civile, sez. I, 29 settembre 2006, n. 21192), sfuggono le ragioni del perché nel processo civile, sia pur ispirato al modello della " vocatio in ius", l’esercizio di tale potere si manifesta, conformemente al ricordato art. 39, ultimo comma, c.p.c., con la notifica della citazione, dell’atto cioè con cui l’attore formula la domanda giudiziale e chiama il soggetto che egli assume essere legittimato passivamente a comparire davanti al giudice ( art. 163 c.p.c.), nel processo amministrativo, per il solo fatto che questo è ispirato al modello della "vocatio iudicis" debba attendersi, per ciò solo, anche l’ulteriore adempimento del deposito del ricorso.

Dal punto di vista strutturale, infatti, i due modelli, per quel che qui interessa, non divergono in modo significativo…".

2.3.Ancora in via preliminare, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Regione nella controversia. La legittimazione medesima va riconosciuta all’AULSS 15 e alla Gestione liquidatoria, in relazione ai diversi periodi -rispettivamente successivo e anteriore al 31 dicembre 1994- presi in considerazione.

Per giustificare la decisione di dichiarare il difetto di legittimazione passiva della Regione Veneto il Collegio considera sufficiente richiamare la sentenza di questa stessa sezione n. 1 del 2010, con la quale è stato evidenziato che "la Regione era stata convenuta in giudizio in dichiarata applicazione della sentenza Cass., SS. UU., n. 1989 del 1997, in base alla quale doveva ritenersi spettante alla Regione la legittimazione passiva in ordine ai debiti delle pregresse gestioni delle ULSS contratti, appunto, fino al 31 dicembre 1994. Senonché, in base a quanto stabilito dalla predominante giurisprudenza (Cass. nn. 7879/08, 1749/08, 20412/06, 17161/06, 5498/06, 14337/05, 7529/05, 19133/04, 12865/04 e altre; Cons. St., nn. 493/09, 2464/05, 4845/01; TAR Veneto, nn. 2128/08, 3647/04, 2287/04, 3711/03 e 14701; v. anche l’art. 6 della l. n. 724/94 e l’art. 2 della l. n. 549/95), i debiti delle soppresse ULSS gravano sulle Gestioni liquidatorie delle ULSS medesime. Si tratta di soggetti muniti di legittimazione passiva, che non costituiscono organi della Regione e che sono dotati di soggettività autonoma. Per motivare la decisione di estromettere la Regione Veneto dalla controversia il collegio ritiene che basti fare richiamo all’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato: sull’ammissibilità della motivazione succinta della sentenza, che può ridursi anche a un sintetico riferimento a un precedente conforme, ai sensi dell’art. 26, comma 4, della l. n. 1034/71, come sostituito dall’art. 9 della l. n. 205/00 (si veda, adesso, l’art. 74 cod. proc. amm.), anche quando il ricorso sia stato trattato in pubblica udienza, si vedano Cons. St., IV, sent. n. 3514/05 e altre). Dai riferimenti legislativi e giurisprudenziali sopra indicati discende, dunque -così ha concluso Tar Veneto, III, con la sent. n. 1/10 cit.- il difetto di legittimazione passiva della Regione Veneto sulle domande avanzate dai ricorrenti, attesa l’estraneità dell’Amministrazione regionale rispetto alla vicenda per cui è causa.

2.4.- Nel merito, la censura sub 1), incentrata sulla asserita violazione dell’art. 41 del DPR n. 348/83 (Indennità di direzione per direttori amministrativi, secondo cui "ai vice direttori amministrativi, direttori amministrativi e direttori amministrativi capi servizio viene corrisposta la indennità di direzione nelle seguenti misure fisse annue lorde e costanti…tali indennità assorbono sino a concorrenza tutte le altre indennità finora percepite a qualsiasi titolo" -conf. art. 48 del DPR n. 270/87 e art. 44 del DPR 384/90), in relazione alle modalità di riassorbimento dell’assegno "ad personam", è infondata e va respinta.

Ai fini della reiezione della censura, e a al di là della motivazione in punto assorbimento dell’assegno "ad personam" recata nel DDG n. 50/98, il Collegio reputa sufficiente richiamare Tar Campania -Napoli, n. 15419/05, che ha giudicato legittimo il riassorbimento di un assegno "ad personam" con riferimento agli incrementi della intera progressione economica successiva, integralmente considerata. Il Tar Campania rigetta la tesi di parte ricorrente secondo cui l’art. 41, comma 2, del DPR n. 348/83, nel sancire che l’indennità di direzione assorbe, fino a concorrenza, tutte le altre indennità finora percepite a qualsiasi titolo, dimostrerebbe che il riassorbimento deve avvenite tra indennità nuova e preesistenti voci indennitarie, di qualunque genere, inclusa l’indennità "ad personam" riconosciuta in quel caso ai ricorrenti in esecuzione di un DPR di accoglimento di ricorso straordinario sull’ "equa proporzione". Per l’assegno "ad personam" riconosciuto a titolo di "equa proporzione" -prosegue il Tar Campania con argomentazioni che questo Collegio condivide- vale la regola generale del riassorbimento, con riguardo alla totalità degli emolumenti riconosciuti al personale dipendente (conf. Cons. St., n. 8396/09, in tema di legittimità di riassorbimento di indennità di direzione sanitaria, correlato agli incrementi della retribuzione nel suo complesso, anziché a singole voci retributive).

Il Collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e le conclusioni su esposte e non ritiene, pertanto, che i benefici economici goduti "ad personam" al momento della entrata in vigore dei decreti del 1983 e del 1987 possano restare "cristallizzati", con conseguente ininfluenza, sull’assegno "ad personam", di incrementi nella retribuzione. L’assegno "ad personam " goduto deve ritenersi riducibile in correlazione non solo con l’incremento della indennità di direzione ma anche, più in generale, con l’aumento della progressione economica.

2.5.- Quanto al rilievo secondo cui l’AULSS ha disposto il recupero degli importi specificati a pag. 6 del DDG n. 50/98 ignorando il fatto che la somma capitale era stata corrisposta ben 10 anni prima ed era stata comunque percepita, dai dipendenti, in buona fede e sulla base di un ragionevole affidamento in ordine alla legittimità degli atti adottati dall’Amministrazione sanitaria, a nulla rilevando in senso contrario l’asserzione della P. A. per cui non potrebbe essere fatta valere la buona fede dei percipienti in ragione della contestualità tra recupero e pagamento di rivalutazione e interessi, il Collegio, pur riconoscendo che, tra il momento in cui l’Amministrazione ha iniziato a corrispondere ai dirigenti l’assegno "ad personam" in aggiunta alla indennità di direzione, senza ridurre l’ammontare dell’assegno medesimo, e il momento del disposto recupero, è trascorso un tempo assai lungo (il che, come si vedrà, assumerà rilievo ai fini dell’accoglimento del profilo di censura riguardante l’intervenuta prescrizione), ritiene, ciò nondimeno, che anche questo ulteriore profilo di censura vada respinto. A questo fine appare decisivo rammentare, con Cons. St., n. 3881/09, p. 1.2., che "il recupero di somme indebitamente erogate dalla Pubblica Amministrazione ai propri dipendenti ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell’articolo 2033 del codice civile, di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate (Cons. Giust. Ammin. Sicilia, sez. giurisd., 15 gennaio 2002, n. 8; C.d.S., sez. IV, 17 dicembre 2003, n. 8274; sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 6787; 20 dicembre 2005, n. 7221).

In relazione al requisito dell’interesse pubblico specifico che deve caratterizzare il provvedimento di recupero, è stato evidenziato che la motivazione deve ritenersi insita nell’acclaramento della non spettanza degli emolumenti percepiti dal dipendente, così che i provvedimenti di recupero non richiedono comparazione alcuna tra gli interessi coinvolti (quello pubblico e quello del privato), non vertendosi in ipotesi di interessi sacrificati (tale configurandosi semmai il solo interesse al buon andamento della P.A., sicuramente compresso dall’aver essa anticipato emolumenti non dovuti), se non sotto il limitato aspetto delle esigenze di vita del debitore.

Del resto, proprio la doverosità del recupero esclude che l’amministrazione sia tenuta a fornire una specifica motivazione, essendo invece sufficiente che vengano indicate le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto alle somme corrisposte (C.d.S., sez. IV, 22 ottobre 2001, n. 5540; 22 settembre 2005, n. 4983; sez. VI, 20 giugno 2003, n. 3674; 10 gennaio 2003, n. 43)… La buona fede del debitore, come è stato più volte precisato, non può rappresentare un ostacolo all’esercizio da parte dell’amministrazione del recupero dell’indebito (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 12 maggio 2006, n. 2679; VI, 12 luglio 2004, n. 5067; 3 dicembre 2003, n. 7953; 7 luglio 2003, n. 4012; 17 ottobre 2005, n. 5813), neppure quando intervenga a lunga distanza di tempo dall’erogazione delle somme, comportando soltanto in capo all’Amministrazione l’obbligo di procedere al recupero stesso con modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze di vita del debitore (Cons. Giust. Ammin. Sicilia, sez. giurisd., 14 ottobre 1999, n. 517; C.d.S., IV, 22 settembre 2005, n. 4964; conf. Tar Sicilia -Catania, n. 214/10)".

Anche questo profilo di censura è dunque privo di fondamento e va respinto.

2.6.- E’ invece fondato e va accolto, entro i limiti che saranno sotto specificati, il profilo di censura con cui si rileva che la P. A. non ha considerato l’intervenuta prescrizione maturata con riferimento al diritto di procedere al recupero degli importi indicati a pagina 6 del DDG n. 50/98.

In modo corretto la difesa dei ricorrenti -v. pag. 5 della memoria 2 novembre 2010- specifica che il diritto dell’ente pubblico a recuperare emolumenti illegittimamente corrisposti è sottoposto "all’ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 cod. civ. " (e non al termine di prescrizione quinquennale, che riguarda invece i crediti dei pubblici dipendenti nei confronti dell’Amministrazione -v. Cons. St., 1693/06, p. 5. e, ivi, richiami giurisprudenziali ulteriori; conf., di recente, Tar Sicilia -Catania, n. 214/10, e ivi rif. ulteriori).

Il termine di prescrizione, nel caso in esame, decorre dalla data dell’accreditamento delle somme (giugno 1987, stando a quanto risulta dagli atti di causa), atteso che è da questo momento che il diritto dell’Amministrazione al recupero delle somme corrisposte in modo indebito poteva essere fatto valere (cfr. art. 2935 cod. civ.). O, per dir meglio, il termine prescrizionale decorre dalle date dei singoli pagamenti, atteso che ai ricorrenti sono stati corrisposti, in via continuativa, assegni "ad personam" non riassorbiti e, quindi, emolumenti in misura eccedente rispetto al dovuto (detto altrimenti, gli assegni dovevano ridursi in correlazione con gli incrementi del trattamento economico, invece così non è stato). A differenza di quanto sostiene la difesa dei ricorrenti, non per tutti gli importi indicati a pag. 6 del provvedimento impugnato il diritto al recupero doveva ritenersi estinto per intervenuta prescrizione decennale ex art. 2946 cod. civ. Il disposto recupero deve ritenersi illegittimo entro i limiti della prescrizione decennale. Qualora il recupero suddetto sia stato effettivamente eseguito, va accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti di vedersi restituire le somme indebitamente recuperate, oltre agli accessori, calcolati secondo i criteri indicati da CdS, Ad. Plen., n. 3/98.

Quasi inutile osservare sul punto, infine, che il termine decennale di prescrizione non può ritenersi interrotto dall’ordinanza del CORECO, del 29 gennaio 1992, di annullamento della DCG n. 878/91, e ciò perché -in disparte il rilievo difensivo per cui l’ordinanza dell’organo di controllo è stata annullata dal Tar Veneto con la sentenza n. 969/97, l’ordinanza dell’organo regionale di controllo aveva un diverso oggetto, riguardando la spettanza, ai dipendenti, degli accessori sul credito, liquidati nel 1987, derivanti dal riconoscimento del diritto alla equiparazione del trattamento economico.

In base a quanto osservato a pag. 6 ric., senza alcuna contestazione, a questo riguardo, da parte della difesa di AULSS e Gestione liquidatoria, il diritto al recupero deve ritenersi estinto, per intervenuta prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., con specifico riguardo alla posizione del ricorrente G.T., in relazione alla somma di (vecchie) lire 1.048.664 (cfr. pagine 3 e 6 provvedimento impugnato), somma corrisposta in più del dovuto a causa di alcuni errori di calcolo relativi agli anni 1981, 1982 e 1983.

Stando agli atti di causa non è chiaro se la somma sopra indicata sia stata percepita dal dipendente nel 1987 o in epoca anteriore: in ogni caso, il termine prescrizionale decennale è trascorso, e, qualora il recupero suddetto sia stato effettivamente eseguito, va accertato e dichiarato il diritto del T. di vedersi restituire la somma sopra specificata, oltre agli accessori, calcolati secondo i criteri indicati da CdS, Ad. Plen., n. 3/98. L’Amministrazione va condannata alla restituzione della somma medesima.

2.7.- Venendo adesso a quella parte del provvedimento impugnato (v. pagine da 4 a 6 del DDG n. 50/98) relativa al riconoscimento degli accessori, nel ricorso si contrasta la tesi dell’AULSS secondo la quale, a partire dalla entrata in vigore della l. n. 724/94 (v. art. 22, comma 36), vanno corrisposti, in via alternativa, gli interessi ovvero la rivalutazione monetaria. Ad avviso dei ricorrenti poiché, nella specie, vengono in rilievo ratei retributivi maturati fino al 31 dicembre 1994, sul credito liquidato nel 1987 spettano sia gli interessi, sia la rivalutazione.

Del resto, il riconoscimento e l’effettiva liquidazione di somme dovute per rivalutazione e interessi sul credito erogato nel 1987 erano stati disposti già con la DCG ULSS n. 878/91, con la quale però non era stato possibile liquidare gli accessori a causa della indisponibilità degli stanziamenti in bilancio. A sostegno della propria posizione i ricorrenti richiamano CdS, Ad. plen., n. 3/98, nonché 669/09 e 5169/08, e interpretano la sentenza del Tar del Veneto n. 969/97 non nel senso che sulle somme da liquidare ai ricorrenti andavano corrisposti, in via alternativa, gli interessi o la rivalutazione, ma nel senso che doveva essere ribadita l’interpretazione giurisprudenziale relativa all’art. 22, comma 36, della l. n. 724/94.

La censura è infondata e va respinta.

Con la citata sentenza n. 969/97 -alla quale si è inteso dare attuazione con il DDG n. 80/98, il Tar si era limitato a osservare che, almeno fino alla entrata in vigore dell’art. 22, comma 36 cit., rivalutazione e interessi si cumulavano ai fini della c. d attualizzazione del credito.

Ora, è da ritenere che il Tar, nel richiamare in modo esplicito il disposto di cui al menzionato comma 36, abbia inteso riferirsi al divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione in relazione ai crediti maturati dopo il 31 dicembre 1994.

Peraltro, il termine suddetto indica soltanto il limite temporale di applicazione della nuova disciplina sostanziale di cui all’art. 22, comma 36, cit., relativamente al divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione, sicchè il divieto di cumulo opera in tutti i casi di mora in atto alla data del 31 dicembre 1994, ancorché iniziati nel vigore della disciplina anteriore, nel senso che, dopo il 31 dicembre 1994, vanno riconosciuti solo gli interessi legali (come, appunto, è stato fatto nel provvedimento impugnato).

L’esito complessivo del ricorso giustifica la compensazione delle spese di causa.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza),

definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe, previa estromissione della Regione Veneto (v. p. 2.3.), lo accoglie per le ragioni, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione (v. p. 2.6.). Rigetta nel resto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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