Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-12-2010) 10-02-2011, n. 4997 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15 gennaio 2007 il G.I.P. del Tribunale di Milano riteneva V.F.M. e B.M. responsabili del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e, concesse ad entrambi le attenuanti generiche, per il V. prevalenti sulla contestata recidiva, ed applicata la diminuente del rito, li condannava, ciascuno, alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 16000,00 di multa.

V.F.M. e B.M. erano accusati di avere, in concorso tra loro, il V. quale depositario per conto del B., quest’ultimo quale possessore mediato, illecitamente detenuto, al fine della successiva cessione a terzi, grammi 473,23 netti di sostanza stupefacente di tipo cocaina con percentuale di purezza media pari al 79 per cento e comunque pari a 382 grammi di principio attivo.

Avverso tale decisione hanno proposto appello i difensori degli imputati. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza oggetto del presente ricorso, resa in data 18.09.2009,in parziale riforma della sentenza del G.I.P. del tribunale della stessa città, riduceva la pena inflitta al V. rideterminandola in anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro 12.000 di multa, confermava nel resto e condannava il B. al pagamento delle spese del grado.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano entrambi gli imputati proponevano ricorso per Cassazione a mezzo del loro difensore e concludevano chiedendo di volerla annullare, adottando i conseguenti provvedimenti.
Motivi della decisione

V.F. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 379 cod. pen., in quanto il giudice di appello erroneamente aveva ritenuto che egli rivestisse il ruolo di detentore in relazione alla sostanza stupefacente trovata presso la sua abitazione. Sosteneva infatti di non avere mai posseduto le chiavi delle casseforti in cui è stato rinvenuto lo stupefacente, che erano sempre state in possesso del titolare B.M.. Errava quindi la corte territoriale allorquando affermava che doveva applicarsi nei suoi confronti il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per il principio di specialità "perchè contenente un maggior numero di elementi specializzanti". A suo avviso invece il comportamento da lui tenuto poteva essere più agevolmente ricondotto alla fattispecie del favoreggiamento reale di cui all’art. 379 cod. pen..

2)Violazione dell’art. 606, 1 comma, lett. b) per erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7.

Secondo il ricorrente i giudici di appello avrebbero dovuto applicargli l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 perchè la sua collaborazione , avvenuta immediatamente dopo il suo arresto, ha permesso di individuare il coautore del reato, conducendo a nuovi elementi di prova, e di pervenire alla sua cattura. Affermava sul punto il ricorrente che le sue dichiarazioni sono state complete e che egli ha detto tutto ciò che sapeva, tenendo pertanto un comportamento processuale esemplare.

3)Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) per erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 114 cod. pen., in quanto, a suo avviso, il suo apporto nella commissione del reato sarebbe stato minimo e non avrebbe inciso in modo significante sulla detenzione dello stupefacente da parte del coimputato.

B.M. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b): inosservanza e violazione di norme giuridiche con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.. Secondo il B. i giudici di merito non avrebbero dovuto prestare fede alle dichiarazioni del V. che lo aveva chiamato in correità, in quanto tali dichiarazioni, oltre che spesso reticenti ed imprecise, mancavano del necessario riscontro esterno, tale non potendo considerarsi il mancato rinvenimento delle chiavi della cassaforte in capo al V., il quale, stando in casa, avrebbe potuto facilmente liberarsene.

2) Illogicità della motivazione – violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. e) laddove i giudici della corte territoriale non spiegano per quali motivi il B., che sarebbe stato l’unico proprietario della droga rinvenuta nell’abitazione del V., si sia colà recato portando con sè una bustina di cocaina e laddove ritengono di ravvisare nel mancato rinvenimento delle chiavi della cassaforte in capo al V. un riscontro estrinseco alla chiamata in correità. Il ricorso proposto da V.F. è infondato.

Per quanto attiene al primo motivo la Corte territoriale ha correttamente ritenuto, citando altresì pertinente giurisprudenza di questa Corte,che il reato contestato al ricorrente doveva essere qualificato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e non già i sensi dell’art. 379 cod. pen.. Nel reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, infatti, che è un reato a condotta permanente, non può configurarsi il reato di favoreggiamento, dal momento che qualunque condotta che agevoli il colpevole si risolve in un concorso con lo stesso. Nella fattispecie di cui è processo, peraltro, il V. ha messo a disposizione del B. i locali in cui doveva essere custodita una rilevante quantità di cocaina unitamente al materiale necessario per lo spaccio e tale condotta ha costituito un contributo causale all’attività di detenzione da lui consapevolmente apportato. Tali considerazioni inducono altresì a ritenere infondato il terzo motivo di ricorso, non potendosi, all’evidenza, ritenere minimo il suo apporto nella commissione del reato. Come correttamente rilevato infatti nella sentenza impugnata, la condotta del V., che si è protratta per un lungo lasso di tempo e che ha reso possibile la custodia dello stupefacente e di circa cento bustine necessarie per il suo confezionamento,si colloca in un allarmante contesto criminale.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale che, anche sul punto, ha citato pertinente giurisprudenza di questa Corte, il V. si è limitato ad ammettere le sue responsabilità ed a fornire il nome del suo committente. Tale comportamento è stato giustamente apprezzato dal giudice per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva, ma non presenta i requisiti per la concessione dell’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7 in quanto per la concessione della stessa è necessario che l’apporto sia particolarmente efficace con riferimento alla condotta illecita nella sua complessità e costituisca un contributo pieno e rilevante per la neutralizzazione dell’attività criminosa.

Anche il ricorso di B.M. è infondato. Per quanto attiene al primo motivo la Corte territoriale evidenzia con congrua motivazione i motivi per cui appaiono credibili le dichiarazioni accusatorie di V.F. nei confronti del B.. Il V. non aveva infatti alcun motivo di astio nei confronti del ricorrente, suo amico di infanzia, e, pertanto, non aveva alcuna ragione per accusarlo falsamente. Condivisibili sono poi le argomentazioni dei giudici di merito con riferimento all’attendibilità intrinseca della chiamata in correità, atteso che le dichiarazioni del V. trovano conferma nella circostanza che egli non è stato trovato in possesso della chiave per aprire le cassette contenenti lo stupefacente, del cui contenuto peraltro si era spontaneamente rivelato al corrente, a dimostrazione che egli, quindi, custodiva la droga e il relativo materiale finalizzato allo spaccio in esecuzione di un incarico retribuito. La frequentazione quotidiana dell’abitazione del V. da parte del B. e la disponibilità della cocaina di cui il primo aveva parlato trovano poi conferma nel fatto che il B. sia prontamente sopraggiunto, così come il V. aveva riferito che egli faceva quotidianamente, e sia stato trovato in possesso di una bustina di cocaina. La Corte territoriale pertanto correttamente valuta le dichiarazioni del V., il quale, al momento dell’arrivo degli agenti operanti aveva fatto subito il nome di " M.", con riferimento alla persona che gli aveva dato lo stupefacente da custodire, omettendo di riferirne il cognome, che era stato puntualizzato successivamente, dopo il fermo del B., in questura.

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto ripropone questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mira ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità. Correttamente infatti i giudici della Corte territoriale hanno ritenuto che il B., allertato in seguito all’allarme nel quartiere constatato dagli agenti operanti, si sia precipitato per verificare quanto stava accadendo, evitando, per una elementare norma di prudenza, di portare con sè la chiave che serviva ad aprire le cassette in cui era custodita la droga.

I proposti ricorsi debbono essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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