Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-11-2010) 10-02-2011, n. 4957 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.F. propone personalmente ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 30-8-2010 del Tribunale della Libertà di Bologna che ha rigettato l’appello da lui proposto avverso l’ordinanza del Corte di Appello di Bologna del 12-8-2010 con la quale era stata rigettata l’istanza di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere.

T.F. è cautelato in carcere dal 26-3-2009 per il reato di cui all’art. 624 bis, nn. 2 e 5 commesso ai danni di A. A., così limitato il titolo cautelare dal Tribunale del Riesame con provvedimento del 10-4-2009, che ha annullato l’ordinanza dispositiva della misura in relazione al reato di tentato omicidio in danni della stessa A. più altri.

Il T. per tale procedimento è stato condannato con sentenza del 23-12-2009 per i reati di tentato omicidio, furto in abitazione danneggiamento e minaccia alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ed ha applicato al medesimo la misura di sicurezza ad una casa di cura e custodia per anni uno. L’imputato era già sottoposto nell’ambito di altro procedimento pendente davanti all’autorità giudiziaria di Rimini all’assegnazione all’ospedale psichiatrico giudiziario ininterrottamente dal 3.07.2010 fino al 20.04.2010, misura revocata con provvedimento emesso il 19.04.2010 dal Gip del Tribunale di Rimini;

T. ha presentato personalmente in data 9.08.2010 istanza ex art. 299 c.p.p. volta ad ottenere la revoca della misura carceraria o la sostituzione con altra misura non custodiate, ovvero con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione in Rimini messa a disposizione dai genitori, istanza motivata sull’insussistenza della pericolosità sociale a fronte dell’esito, in tal senso, della perizia psichiatrica disposta nel procedimento riminese, perizia che ha determinato la revoca della misura di sicurezza; ha inoltre affermato che in base all’annotazione dei CC di Savignano sul Rubicone dell’8.03.2010 verrebbe meno l’attendibilità dei testimoni che avevano assistito all’episodio di tentato omicidio, avendo gli stessi cambiato versione;

Tale istanza è stata rigettata dalla Corte d’Appello (giudice attualmente procedente a seguito dell’impugnazione della sentenza di primo grado) ritenendo insussistenti elementi di novità idonei a condurre ad una diversa valutazione del quadro indiziario e cautelare, anche in considerazione della recente decisione di applicare la misura carceraria per il reato di tentato omicidio (adottata dalla medesima Corte d’Appello sulla scorta di una valutazione di allarmante pericolosità della condotta e della personalità del prevenuto);

Avverso la suddetta decisione l’imputato ha presentato personalmente appello ribadendo le medesime argomentazioni dedotte nell’istanza de libertate;

all’udienza cautelare è comparso solo il solo difensore, mentre l’imputato non era presente; la Direzione della Casa Circondariale di (OMISSIS) faceva pervenire una nota in cui sì evidenziava che T. si era rifiutato di consegnarsi alla scorta per la traduzione (pur avendo preventivamente richieste di partecipare all’udienza) e di firmare la dichiarazione di rinuncia.

Con i motivi di ricorso denunziava la illogicità delle argomentazioni usate dal Tribunale del riesame;

contraddittorietà ed illogicità in ordine alla pericolosità sociale dell’imputato;

violazione di legge per erronea applicazione art. 284 comma 5 bis c.p.p. e art. 283 c.p.p e art. 274 c.p.p..

Veniva presentata dall’imputato memoria difensiva.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perchè manifestamente infondato.

In ordine all’episodio della mancata traduzione dal carcere di S. Vittore a Bologna per l’udienza del 3-8-2010 il Tribunale di Bologna ha ritenuto, con adeguata e non contraddittoria motivazione, che il rifiuto del T. a salire sul furgone per la traduzione a Bologna, non giustificata da alcuna patologia equivalesse a rinunzia alla partecipazione all’udienza.

Infatti la patologia denunziata dall’imputato – attacchi di panico – non era documentata da alcun certificato medico e non era in atto al momento della traduzione.

Anche la certificazione medica prodotta dall’imputato nel presente giudizio non certifica l’esistenza di tale patologia.

Non ricorre neanche la dedotta violazione di legge in quanto il Tribunale di Bologna ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per concedere una misura meno affittiva della custodia in carcere tenendo conto di tutti i requisiti e di tutti gli elementi indicati dagli art. 284 c.p.p., comma 5 bis e art. 283 c.p.p e art. 274 c.p.p., rilevando inoltre che i motivi contenuti nel ricorso dell’imputato non avevano alcun elemento di novità rispetto al precedente quadro indiziario.

In relazione alla pericolosità sociale pericolosità intesa come rischio di reicidivanza di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), il Tribunale ha osservato che l’imputato è stato condannato il primo grado per un grave gesto, incontrollato ed estremamente pericoloso per l’incolumità dei vicini di casa, che ha cercato di investire con la propria autovettura, nell’ambito di una acerba conflittualità creatasi sostanzialmente a causa dei disturbi della personalità del T. (si procede presso l’A.G. di Rimini per il reato di stalking). A fronte dell’allarmante pericolosità del prevenuto, il mero decorso del tempo non vale ad attenuare le ravvisate esigenze cautelari che, peraltro, non si prestano ad essere salvaguardate con misure diverse dalla custodia in carcere. Misure non custodiali lascerebbero il prevenuto libero di reiterare le medesime condotte criminose e la misura domiciliare non è applicabile in considerazione della condanna ostativa ex art. 284 c.p.p., comma 5 bis per evasione divenuta irrevocabile nel 2006.

A tale motivazione,il T. ha proposto una impugnazione generica e aspecifica che si è limitata a riproporre i motivi già avanzati davanti al tribunale di Bologna. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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