Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-03-2011, n. 6681 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con citazione notificata il 27 gennaio 1997 il sig. B. G. ed altri centoventinove risparmiatori convenivano dinanzi al Tribunale di Roma la Commissione Nazionale per la società e la borsa – breviter CONSOB – chiedendone la condanna, a titolo di responsabilità aquiliana ai sensi dello art. 2043 c.c., per il risarcimento dei danni per la perdita totale degli investimenti effettuati su sollecitazione della SFA SOCIETA’ SERVIZI FINANZIARI AMMINISTRATIVI dal luglio 1990 e fino al novembre 1992, e della SFA commissionaria srl dal marzo 1990 al maggio 1992. Si costituiva la Consob e contestava il fondamento delle pretese. Nel corso del giudizio intervenivano altri risparmiatori nell’interesse proprio.

2. Il Tribunale di Roma con sentenza del 26 luglio 2004 rigettava tutte le domande proposte dai risparmiatori intervenuti in quanto prive di autonome conclusioni verso la Consob, accoglieva invece le domande di tutti gli attori – con la eccezione di quella di I. S. per difetto di prova – ritenendo che la Commissione non avesse operato con diligenza e la condannava al risarcimento integrale dei danni ed alle spese di lite.

3. Contro la decisione proponeva appello la Consob chiedendo previamente la sospensione della efficacia esecutiva e nel merito il rigetto delle domande; anche i risparmiatori intervenuti nel giudizio di primo grado proponevano impugnazione ed i due gruppi di parti impugnanti, contrassegnati dai numeri di ruolo 10134 del 2004 e 6277 del 2005 davano luogo a procedure che venivano riunite a quella contrassegnata dal n. 820 del 2009. 4. La Corte di appello, sulle conclusioni rassegnate dalle varie parti, con sentenza del 17 novembre 2007, così decideva:

dispone la separazione delle cause riunite a quella del 2009 n.820 considerata ai fini della decisione; dichiara inammissibile la Costituzione in appello di I.S. compensando le spese del grado con la Consob; rigetta lo appello incidentale proposto da D.B.O. e lo condanna alla rifusione delle spese del grado in favore della Consob; rigetta lo appello della Consob nei confronti degli altri appellati e la condanna alla rifusione delle spese del grado.

Contro la decisione ricorre la Consob proponendo sette motivi di cesura; resistono BE.Fa., ed altri sette con unico controricorso.

La parte ricorrente ha prodotto memoria.
Motivi della decisione

5. Per chiarezza espositiva si darà dapprima una sintesi dei motivi della parte ricorrente, ed a seguire una loro analisi valutativa, tenendo conto anche delle considerazioni rassegnate nel controricorso.

C.A. SINTESI DEI MOTIVI DEL RICORSO CONSOB. 5.1. Nel PRIMO MOTIVO si deduce error in iudicando per la violazione degli artt. 101, 121 e 156 c.p.c., e del diritto della difesa, in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 2.

La censura si incentra sul punto in cui la Corte di appello ha confermato la decisione del Tribunale che ha ritenuto di non dover tenere conto dei rilievi contenuti nella consulenza tecnica di parte della Consob per la ragione che le risultanze di detta consulenza non hanno formato oggetto di contraddittorio in quanto trasfuse nella comparsa conclusionale di primo grado. Il quesito di diritto a ff. 21 e 22 ripete la censura nella forma della domanda retorica, che presuppone una risposta affermativa.

5.2. Nel SECONDO MOTIVO si deduce error in iudicando per violazione dello art. 112 c.p.c., in relazione allo art. 360 n. 3 c.p.c. ed il vizio della motivazione in merito al fatto che la consulenza tecnica di parte conteneva delle osservazioni critiche alla relazione del Consulente di ufficio, meritevoli di essere considerate, e che la omessa considerazione delle critiche determina la violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Il quesito a ff. 24 ripropone tale tesi, ma senza indicare o richiamare nel dettaglio le censure.

5.3. Nel TERZO MOTIVO si deduce error in iudicando, in relazione alla violazione o falsa applicazione della Legge Istitutiva Della Consob n. 216 del 1974, artt. 3, 4 e 18 quater, con riferimento alla identificazione della condotta colposa efficiente della Consob, la quale, avendo rilasciato il 15 marzo 1989 la autorizzazione alla sollecitazione al pubblico risparmio, alla SFA distribuzione spa poi divenuta SFA SIM, avrebbe poi omesso di compiere la diligente vigilanza, anche quando risultò evidente che la società in questione faceva parte di un più vasto gruppo, ricollegatesi alla SFA distribuzione ed alla SFA Commissionaria, che svolgevano intermediazione finanziaria senza autorizzazione alcuna.

LA TESI, illustrata nel quesito a ff. 26, è che sulla base delle tre norme richiamate tale controllo, successivo alla autorizzazione,non doveva essere compiuto.

5.4. Nel QUARTO motivo si deduce lo error in iudicando per la violazione della L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 3, in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, ed il vizio della motivazione in ordine allo addebito secondo cui la CONSOB non esercitò diligentemente la attività di verifica PRODROMICA al rilascio delle autorizzazioni, rilasciate il 21 dicembre 1991, avvalendosi di poteri di ispezione e di controllo. Il quesito sintetico a ff. 41 esprime la tesi secondo cui erroneamente la Corte di appello ha ampliato la ratio legis della norma invocata, assumendo che la Consob non aveva soltanto un potere di controllo meramente formale, e là dove ha ritenuto che potesse esercitare un potere di sospensione.

5.5. Nel QUINTO motivo si deduce ancora error in iudicando in relazione alla violazione delle norme del regolamento di attuazione della L. n. 1 del 1991, ed in particolare dello art. 7 approvato con Delib. 2 luglio 1991, n. 5386. La tesi, ribadita nel sintetico quesito a ff 46 è che la Corte avrebbe ampliato la portata della norma, nel punto in cui ha ritenuto che il controllo prodromico avesse una portata sostanziale anzichè formale e che in repressione potesse esistere un potere di sospensione per la Consob.

5.6. Nel SESTO MOTIVO si deduce il vizio della motivazione nel punto in cui la Corte di appello ritiene rilevante, ai fini della considerazione della condotta illecita, la tardiva sospensione di SFA SIM e di ITALIA Finanziaria dello Albo SIM dopo lo accertamento delle irregolarità riscontrate. Il motivo non contiene quesiti, ma si attarda a precisare come invece la Consob, attraverso una intensa attività ispettiva ed una sistematica denuncia alla autorità giudiziaria ebbe ad accertare le gravissime irregolarità di tutti gli ulteriori fatti riscontrati nel corso delle ispezioni. Ma a tale argomento se ne aggiunge a ff. 46 la solita clausola di esenzione, sostenendosi che comunque le ispezioni esulavano dallo ambito della competenza della Commissione medesima. SEMPRE nel corpo del motivo si assume che il nuovo regime della L. n. 1 del 1991, implicava la possibilità di misure cautelari solo se le irregolarità anteriori alla entrata in vigore, continuavano anche dopo tale regime che aveva aumentato i poteri di controllo della Consob – come si legge a ff. 4 7 del ricorso.

5.7. Nel SETTIMO MOTIVO si deduce error in iudicando in relazione alla applicazione della clausola generale del neminem laedere, in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, sul rilievo che nella fattispecie di illecito in esame, manca la prova che il danno lamentato dai risparmiatori fosse conseguenza immediata e diretta delle autorizzazioni rilasciate nei confronti della SFA DISTRIBUZIONE e di ITALIA FIDUCIARIA. 6. ANALISI CRITICA DEI MOTIVI. Il primo motivo, che deduce un error in iudicando produttivo della violazione del contraddittorio sostanziale tra le parti è, nella sua formulazione e proposizione di quesito, inammissibile sotto vari profili: difetta di autosufficienza, posto che le ragioni critiche della relazione di parte non vengono in evidenza, rendendo impossibile a questa Corte di ricercarle altrove, e di specificità, posto che la allegazione tardiva della consulenza in sede di conclusioni era in lesione del diritto a contraddire delle altre parti. Non sussiste dunque alcuna violazione delle norme violate e la formulazione del motivo è incompleta e contraddittoria proprio con riguardo alle tesi propugnate nel quesito, come rilevato anche in sede di controricorso.

Nel secondo motivo si deduce invece una palese violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione alla mancata considerazione delle critiche del consulente di parte della Consob. La inammissibilità del motivo discende dalla preclusione processuale che precede, non senza rilevarne la manifesta infondatezza, sul rilievo che per costante giurisprudenza di questa Corte la consulenza di parte costituisce semplice allegazione difensiva di carattere tecnico e priva di valore probatorio, e dunque la valutazione del giudice di merito che ne prescinda, ma che sia coerente al raccolto probatorio, non contiene alcuna violazione del principio primo della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Nel TERZO MOTIVO si deduce error in iudicando con riferimento alla originaria normativa della L. n. 216 del 1974, sostenendosi nel relativo quesito, che non contiene il riferimento al successivo regolamento Consob del 1985, la tesi garantista del controllo meramente formale della Commissione nella raccolta delle informazioni relative al gruppo di appartenenza della società destinataria della autorizzazione, garanzia che impediva di vigilare successivamente sullo operato di tale gruppo.

IL MOTIVO assume un ruolo centrale per lo esame del presente contenzioso, nel quale il fatto dannoso che si prospetta come illecito civile, secondo le regole di cui allo art. 2043, esige da un lato la precisazione dei termini temporali dello illecito, ben delineati della citazione introduttiva, e d’altro lato lo accertamento di tutti gli elementi strutturali dello illecito, tra cui quello della imputabilità per colpa lata, o della imputabilità soggettiva è quello che viene per primo dedotto nel motivo in esame come error in iudicando, sul rilievo che tale esigibilità di condotta virtuosa non sarebbe richiesta dalla legislazione istitutiva della Commissione come ente pubblico indipendente la cui funzione fondamentale è quella del controllo dei mercati di borsa cui si aggiunge con la novellazione della L. n. 1 del 1991, art. 1, lett. f, e art. 3, commi 2 e 3, la funzione del controllo al momento del rilascio della autorizzazione alle società di intermediazione mobiliare con il rinvio per le norme di dettaglio al potere regolamentare della Consob. Funzione di proteggere la tutela del risparmio, in una correlazione costituzionalmente orientata dagli artt. 41 e 47 Cost..

Il motivo nella sua formulazione a ff. 26, appare inammissibile in relazione alla sua assoluta mancanza di collegamento tra le fattispecie dello illecito succedute nel tempo tra il 1990 e 1992 ma a carattere continuativo, di guisa che gli atti e le attività di impoverimento dei risparmiatori, evidenziano un illecito civile continuato e con effetti lesivi permanenti, tale da creare un danno ingiusto che in definitiva si appropria dell’intero risparmio versato senza alcun adempimento in tutto o in parte restitutorio da parte delle società finanziarie e loro collegate.

Il quesito tende a delimitare nel tempo la responsabilità della Commissione ma non la esclude per la durata della gestione del risparmio che entra sotto il vigore della legge nuova che conferisce poteri sostanziali di vigilanza e controllo, che esercita un potere precettivo che deve necessariamente operare nei confronti del soggetto sollecitatore ed a tutela del soggetto sollecitato che è il risparmiatore.

Essendo inadeguata la formulazione del quesito, per la sua incompletezza in ordine alla delimitazione del fatto dannoso e della temporalizzazione della condotta soggettivamente imputabile, il motivo resta inammissibile ai sensi dello art. 366 bis c.p.c..

NEL QUARTO MOTIVO si deduce error in iudicando in relazione alla novellazione del 1991 ed in relazione alla imputazione alla negligenza della Consob, che in data 27 dicembre 1991 concedeva alla SFA Distribuzione spa la autorizzazione ad esercitare la attività di intermediazione mobiliare e di gestione dei patrimoni, disponendone la iscrizione allo Albo delle SIM. Anche questo motivo è strumentale per lo esonero della Consob da imputazioni soggettive civili per colpa omissiva, ma tale tesi, formalmente garantista per lo organo di controllo, contrasta con la stessa legge di novellazione che accresce i poteri della Consob che non è soltanto organo di vigilanza del mercato dei valori, ma è anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato.

Sul punto il motivo non coglie la chiara ratio decidendi espressa dalla Corte di appello romana a ff. 7 ed 8 della motivazione, dove pone in evidenza lo elemento della continuità delle gestioni finanziarie sotto la nuova L. del 1991 e che ben poteva la Consob esercitare un efficiente controllo sulla onorabilità del plesso amministrativo della società autorizzanda, non rilevando la mancata produzione dei carichi pendenti a carico del Milano e non attivandosi a richiedere notizia sulla effettività della cessione delle quote di controllo e di nuova amministrazione coniugale. Tardivi appaiono, rispetto agli esiti delle ispezioni, i provvedimenti di sospensione delle società decotte ed insolventi rendendo totale la perdita di risparmi investiti fiduciariamente.

Il quesito del motivo a ff. 49 appare inammissibile per la incompletezza della sintesi di riferimento tra il fatto dannoso costituente danno ingiusto e condotta del soggetto agente da ritenersi non imputabile, malgrado la attribuzione di poteri istruttori, ispettivi ed inibitori, non tempestivamente esercitati per impedire la continua e ininterrotta espropriazione e distruzione dei risparmi sollecitati.

In conclusione nè il quarto nè il quinto motivo valgono ad elidere la imputabilità soggettiva della Commissione, per colpa grave e continuata.

NEL QUINTO MOTIVO si deduce ancora l’error in iudicando per avere i giudici del merito, applicando la richiamata normativa del 1991 e dello art. 7 del regolamento di attuazione, valutato la illegittimità dello atto autorizzatolo pur in presenza di verifiche ispettive e di ispezioni straordinarie negative – come rilevato ai ff. 7 ed 8 della sentenza di appello. Il quesito, così come formulato, è privo di decisività, in ordine alla interpretazione costituzionalmente orientata del provvedimento autorizzatorio, che non è di mero accertamento, ma di discrezionalità vincolata alla valutazione di requisiti sostanziali di affidabilità, onorabilità, trasparenza, di guisa che possono assumere rilievo impeditivo le eventuali irregolarità riscontrate a mezzo di procedura ispettiva ovvero sulla base della incompletezza della documentazione, al punto che ex post potrà disporsi la cancellazione dallo albo SIM. La valutazione dello illecito come circostanziato appare dunque compiuta con un prudente apprezzamento delle prove, sia per la imputabilità soggettiva che per il danno evento che ne deriva, trattandosi di causalità giuridica da omissioni costituenti inadempimento di un obbligo di garanzia, data la rilevanza costituzionale del risparmio pubblico e privato, (cfr. Cass. 3.3.2001 n. 3132).

Il SESTO ed il SETTIMO MOTIVO vengono in esame congiunto per la intrinseca connessione. Ed in vero il sesto motivo denuncia come vizio di motivazione lo accertamento della colpa negligente e colpevole, sostenendo la tesi della adozione di provvedimenti di sospensione cautelare e di cancellazione, mentre il settimo affronta finalmente il nodo dello illecito, ma limitandone la analisi allo aspetto decisamente complesso, che attiene al nesso di causalità che si vuole diretta e immediata, proponendosi tuttavia nel quesito, a ff. 68, un quesito diverso rispetto a tale argomento, insistendosi ancora una volta nella tesi della non imputabilità soggettiva della Consob.

Il quesito evidenzia la inammissibilità del motivo, per la mancata formulazione della fattispecie circostanziata dello illecito, in relazione alla quale il nesso di causalità attiene ad una condotta antigiuridica e colposa da cui deriva un danno ingiusto al risparmiatore investitore. VEDI sul punto la concisa ma precisa argomentazione della Corte di appello sulla qualifica della condotta colposa efficiente della Consob.

IL PRINCIPIO DI DIRITTO che si ricava come DICTUM DI NOMOFILACHIA da questa complessa ma istruttiva vicenda, è dunque il seguente: la attività della pubblica amministrazione, ed in particolare della CONSOB, ENTE PUBBLICO DI GARANZIA DI CONTROLLO E VIGILANZA SUL MERCATO DEI VALORI MOBILIARI E SULLA RACCOLTA FINANZIARIA DEL RISPARMIO, deve svolgersi nei limiti e con lo esercizio dei poteri previsti dalle leggi speciali che la istituiscono, ma anche della norma primaria del neminem laedere, in considerazione dei principi di legalità imparzialità e buona amministrazione dettati dallo art. 97 Cost., in correlazione con lo art. 47 Cost., prima parte; pertanto la Consob è tenuta a subire le conseguenze stabilite dallo art. 2043 c.c. atteso che tali principi di garanzia si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorchè il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario. L’illecito civile, per la sua struttura, segue le comuni regole del codice civile anche per quanto concerne la ed imputabilità soggettiva, la causalità, lo evento di danno e la sua quantificazione. (cfr. Cass. 2001 n. 3132;

2001 n. 12672; 2003 n. 1191 e vedi Cass. SU 9 marzo 2007 n. 5396 sui poteri di controllo e di autonomia della CONSOB).

Al rigetto del ricorso segue la condanna della Consob alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate alle parti resistenti come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la Consob in favore dei resistenti alle spese del giudizio, considerando la costituzione unitaria, in Euro 15.000,00 di cui 1.600,00 per spese oltre accessori e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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