Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-11-2010) 10-02-2011, n. 4995 Sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- La sera del 19 giugno 2002, nel corso di una partita di calcio improvvisata tra amici nello spiazzale antistante la scuola media (OMISSIS), A.A., che per recuperare il pallone aveva scavalcato la ringhiera alta circa due metri che delimitava la proprietà di tale C.C., nell’accingersi a riscavalcare la stessa ringhiera per riportarsi nello spiazzale, nel toccare con una mano, per aiutarsi nella discesa, un palo di illuminazione dello spiazzale, era stato colto da violente contrazioni ed era rimasto in bilico tra la ringhiera ed il palo in evidente stato di incoscienza.

Il giovane era stato subito soccorso dai compagni Al.Pi. e Co.Pr. che tuttavia, nel toccare l’amico, erano stati investiti da una violenta scossa ed avevano dovuto desistere.

L’ A., nel frattempo caduto per terra, era stato soccorso e trasportato al più vicino ospedale dove, dopo circa due ore, era deceduto.

All’ispezione cadaverica, veniva accertata la presenza, sul corpo della vittima, di lesioni di probabile origine folgorativa, di guisa che, in tesi d’accusa, si concludeva nel senso che l’ A. era stato raggiunto da una violenta scarica elettrica, sprigionatasi dal palo al quale si era appoggiato. Scarica che aveva raggiunto anche i compagni della vittima, Al. e Co., costretti a desistere dal loro tentativo di soccorrere l’amico.

In esito alla consulenza disposta dal PM, volta ad accertare le condizioni dell’illuminazione pubblica, sono stati tratti a giudizio:

il responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Assoro, il direttore dei lavori di realizzazione dell’impianto di illuminazione della scuola media ed il titolare dell’impresa realizzatrice dei lavori stessi, tutti assolti con sentenza irrevocabile.

Nel corso di detti procedimenti era tuttavia emerso che il comune di Assoro aveva incaricato dei lavori di manutenzione della pubblica illuminazione l’elettrotecnico S.S., odierno imputato, il quale era specificamente intervenuto, nel 1996, proprio sull’impianto d’illuminazione dell’area ove si era verificato l’incidente, avendo provveduto, in tesi d’accusa, al distacco di detto impianto da quello della vicina scuola media, munito di efficiente interruttore magnetofonico differenziato, ed all’allaccio dello stesso alla rete della illuminazione stradale, privo di detto dispositivo di sicurezza e dotato solo di una serie di interruttori elettromagnetici non differenziati, posti a notevole distanza dal luogo dell’incidente.

Avviato procedimento penale a carico del S., chiamato a rispondere della morte dell’ A., il Tribunale di Nicosia, con sentenza del 23 dicembre 2008, lo ha ritenuto colpevole del delitto di omicidio colposo, in pregiudizio del giovane A., e lo ha condannato alla pena di tre anni di reclusione ed al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili costituite, alle quali ha assegnato una provvisionale di 50.000,00 Euro. il primo giudice ha ritenuto esservi in atti prova certa della responsabilità dell’imputato, dedotta:

1) dagli esiti della consulenza disposta dal PM, che ha accertato: a) che il palo al quale si era appoggiata la vittima, pur scollegato dall’impianto di alimentazione elettrica, era collegato all’impianto di messa a terra attraverso il relativo conduttore, idoneo a trasmettere la dispersione di corrente che aveva attraversato il corpo dell’ A.; b) che la presenza di un interruttore magnetotermico differenziato, purchè efficiente e posto a distanza limitata, avrebbe potuto salvare il giovane, intervenendo entro un lasso di tempo di cinque secondi; in sede di esame, il consulente ha poi escluso che la dispersione di corrente potesse essersi originata dalla rete di recinzione della proprietà C.;

2) dalla testimonianza dei giovani Al. e Co. che, intervenuti in soccorso dell’amico, erano stati investiti da una violenta scossa elettrica.

Il tribunale ha poi ricordato, a conferma della responsabilità dell’imputato, che il S. da anni si occupava della manutenzione della rete elettrica di Assoro, avendo anche stipulato, nel 1989, un contratto tacitamente rinnovato e che era stato lo stesso imputato a decidere -a seguito di continue segnalazioni della scuola "(OMISSIS)", che lamentava lo spegnimento di alcuni punti luce sull’area di pertinenza nelle giornate di pioggia o umide, e di delega attribuitagli dal dirigente dell’ufficio tecnico comunale di risolvere il problema – di scollegare l’impianto in questione da quello della scuola.

-2- Su impugnazione proposta dall’imputato, la Corte d’Appello di Caltanissetta, con sentenza del 3 novembre 2009, in parziale riforma della decisione impugnata, riconosciute al S. le circostanze attenuanti generiche, ha ridotto la pena inflitta dal primo giudice, disponendone la sospensione alle condizioni di legge, a due anni di reclusione ed ha eliminato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, confermando, nel resto, la sentenza impugnata.

Respinte talune eccezioni preliminari proposte dall’appellante, la corte territoriale ha ribadito: a) che la causa della morte del giovane A. era da attribuirsi ad una violenta scarica elettrica sprigionatasi dal palo di illuminazione al quale la vittima si era appoggiata nello scavalcare l’inferriata di proprietà C.; b) che l’imputato doveva ritenersi responsabile della dispersione di energia, avendo di propria iniziativa creato un collegamento con l’illumuiazione pubblica senza predisporre i necessari isolamenti e senza l’apposizione di un interruttore magnetotermico differenziato che avrebbe evitato la folgorazione; responsabilità, dunque, legata all’impropria operazione di scollegamento e collegamento effettuata dall’imputato ed indipendente dalle questioni relative agli interventi di manutenzione sulla linea elettrica, comunque affidate allo stesso S..

-3- Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, l’imputato, che deduce:

a) Violazione di legge, in relazione agli artt. 178 e 416 c.p.p. e art. 130 disp. att. c.p.p., per l’omessa dichiarazione di nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, del decreto che dispone il giudizio e degli atti successivi, per il mancato deposito di tutti gli atti d’indagine al fascicolo del PM; viene, in particolare, lamentato il mancato deposito dei verbali di audizione dei consulenti tecnici d’ufficio, prof.ri M. e P. che, si sostiene nel ricorso, avrebbero confermato i dubbi sulle cause della morte di A.A.;

b) violazione di legge, in relazione agli artt. 178 e 419 c.p.p. e vizio di motivazione, per l’omessa dichiarazione di nullità del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, per essere stata la relativa notifica all’imputato effettuata presso il difensore invece che al domicilio dichiarato;

c) violazione di legge, in relazione agli artt. 178 e 150 c.p.p., per l’omessa dichiarazione di nullità della notifica all’imputato del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, effettuata a mezzo fax presso il difensore;

d) violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.p. e vizio di motivazione, per l’omessa dichiarazione di inutilizzabilità della consulenza tecnica disposta dal PM ex art. 359, pur essendo la stessa irripetibile;

e) mancata assunzione di perizia sull’impianto elettrico e di testimonianze di altri giovani presenti all’incidente;

f) vizio di motivazione in punto di nesso di causalità, in particolare in relazione all’attribuzione della morte di A. A. ad elettrocuzione;

g) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermato nesso causale tra gli interventi effettuati dall’imputato sull’impianto elettrico ed il decesso dell’ A. ed alla ritenuta responsabilità dell’imputato;

h) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione della pena e di mancata declaratoria di prescrizione del reato, comunque oggi maturata.

-4-A- Osserva, anzitutto, la Corte che, non ravvisandosi ragioni d’inammissibilità dei motivi di doglianza proposti dall’odierno ricorrente, il reato allo stesso ascritto deve essere dichiarato estinto per prescrizione. Considerato, invero, che il decesso del giovane A. è intervenuto in data 19 giugno 2002 e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, come ritenuto dai giudici del merito, il termine massimo di prescrizione è, ai sensi dell’art. 157 c.p. (nella vigente e nella precedente formulazione), di sette anni e sei mesi (5+2,5, ovvero 6+1,6), deve prendersi atto del fatto che tale termine è interamente decorso fin dal 19.12.2009.

E dunque successivamente all’emissione della sentenza impugnata, non potendosi condividere la diversa tesi dell’imputato – secondo cui la prescrizione si sarebbe maturata in epoca precedente la sentenza di primo grado – alla stregua del principio affermato da questa Corte anche di recente (Cass. n. 3977/10), richiamato dal giudice del gravame, secondo cui la sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti gli imputati, anche per quelli nei cui confronti l’azione penale sia stata esercitata successivamente al proscioglimento della persona inizialmente imputata dello stesso fatto. Ciò in vista della natura oggettiva della prescrizione, riconosciuta anche agli atti che ne interrompono il corso. Nè sono condivisibili i dubbi manifestati in proposito dal ricorrente circa l’identità del "fatto" oggetto dei procedimenti penali che hanno visto, negli anni precedenti, altri soggetti rispondere della morte dell’ A.; in realtà, non v’è dubbio che il reato di cui il S. è imputato corrisponda perfettamente a quello in precedenza ad altri contestato, avuto riguardo all’assoluta identità degli elementi costitutivi del fatto e delle circostanze di tempo e di luogo in cui esso si è prodotto.

D’altra parte, ritornando alla prescrizione oggi rilevata, le diffuse e coerenti argomentazioni svolte dalla corte territoriale escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex art. 129 c.p.p., comma 2, posto che, dall’esame di detta decisione, non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell’insussistenza del fatto contestato al S. o della sua estraneità allo stesso, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla piena responsabilità.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto all’imputato.

-4-B- A questo punto occorre, tuttavia, rilevare che – in tema di declaratoria di estinzione del reato – l’art. 578 c.p.p. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta, come nel caso di specie, "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti civili; a tal fine, quindi, richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, occorre procedere all’esame dei motivi di ricorso, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2.

Orbene, ritiene la Corte che, anche sotto lo specifico profilo appena menzionato, le censure mosse alla sentenza impugnata sono infondate.

Certamente infondate sono le doglianze in rito. a) Insussistente è il vizio dedotto con il primo dei motivi proposti, anzitutto perchè, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nessuna nullità discende dal mancato deposito di atti di indagine, ma solo l’inutilizzabilità degli stessi, mentre, come ha esattamente rilevato il giudice del gravame, i dubbi di costituzionalità degli artt. 415 bis e 416 c.p.p. sono stati dichiarati manifestamente infondati dalla giurisprudenza. Occorre, poi, rilevare che gli atti d’indagine dei quali il ricorrente lamenta il mancato deposito non sono quelli che riguardano il procedimento a carico del S., bensì quelli relativi ai procedimenti penali a carico di altri soggetti, imputati dello stesso fatto ed assolti con sentenze irrevocabili; circostanza che ancor più eviderizia l’infondatezza della censura anche per l’inesistenza di qualsiasi lesione del diritto di difesa. D’altra parte, l’acquisizione al fascicolo processuale di atti, provenienti dagli altri procedimenti, ritenuti rilevanti ai fini difensivi, avrebbe sempre potuto esser richiesta al giudice del merito, ove gli elementi di interesse non fossero emersi dalle sentenze relative a quei procedimenti, acquisite agli atti.

Inesistente è, dunque, la denunciata lesione del diritto di difesa, specie ove essa si riferisca, come sostiene il ricorrente, alla mancata audizione dei consulenti prof.ri M. e P., i cui giudizi tecnici sulla vicenda sono stati acquisiti al fascicolo, secondo quanto evidenzia lo stesso ricorrente laddove, con il sesto motivo di ricorso, deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata richiamando proprio i pareri tecnici espressi dai predetti consulenti. b) Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

In realtà, l’art. 161 c.p.p., comma 4, prevede che le notifiche possono essere eseguite mediante consegna al difensore non solo quando le stesse siano impossibili, ma anche nei casi in cui siano stati forniti indirizzi insufficienti o incompleti.

Orbene, nel caso di specie l’imputato, nel dichiarare il proprio domicilio, ha fornito un indirizzo certamente incompleto. Invero, secondo quanto si segnala nello stesso ricorso, in sede di verbale di identificazione il S., nel dichiarare il domicilio nella sua residenza di Assoro, si è limitato ad indicare la contrada Sparacio, senza specificare il numero civico o altro dato che potesse consentire di individuare l’abitazione. Ha, cioè, fornito un indirizzo chiaramente incompleto ed insufficiente, che non ha consentito l’individuazione del preciso recapito all’ufficiale giudiziario, incaricato della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, il quale ha correttamente annotato l’impossibilità di procedere alla consegna dell’atto. Mentre nulla rileva, evidentemente, che altri ufficiali notificatori siano riusciti, in altre occasioni, ad individuare l’abitazione dell’imputato e ad eseguire le relative notifiche. c) Ugualmente infondato è anche il terzo motivo proposto, alla stregua della condivisibile, e da ultimo uniforme, giurisprudenza di questa Corte, richiamata nella sentenza impugnata, che ha affermato la legittimità della notifica al difensore a mezzo fax anche nei casi in cui si tratti di atto diretto all’imputato. Non si comprenderebbe, d’altra parte, la ragione per la quale dovrebbe ritenersi legittima la notifica per fax direttamente rivolta al difensore e non anche quella, ancora diretta al difensore, sia pure rivolta all’imputato. d) Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, relativo all’utilizzabilità della consulenza tecnica effettuata dall’ing. Rizzato ai sensi dell’art. 359 c.p.p., avendo i giudici del merito a più riprese, esaminando le doglianze proposte sul punto dall’imputato, spiegato le ragioni per le quali dovesse escludersi che la consulenza in questione abbia avuto ad oggetto un’attività irripetibile, anche alla stregua delle precisazioni rese in proposito in dibattimento dallo stesso consulente, puntualmente richiamate nella sentenza impugnata.

Mentre il diverso parere espresso sul punto nel ricorso, secondo il quale all’accertamento tecnico in questione dovrebbe attribuirsi il carattere dell’irreperibilità, donde l’inutilizzabilità dello stesso per violazione dell’art. 360 c.p.p., si basa su affermazioni del tutto apodittiche, allorchè il ricorrente ribadisce la propria tesi sostenendo, in termini assolutamente generici, che la condizione dei luoghi sarebbe successivamente mutata anche per l’azione di agenti esterni. Nulla vieta, d’altra parte, l’esame in dibattimento, in qualità testi, dei consulenti di cui le parti abbiano chiesto l’ammissione (Cass. n. 8377/08 RV 239281). e) Infondato è anche il quinto motivo di ricorso, relativo al mancato espletamento di perizia tecnica ed al mancato esame di altri testi presenti sul luogo dell’incidente. Sul punto, invero, il giudice del gravame ha legittimamente ritenuto che non fosse necessario ai fini della decisione disporre un supplemento d’istruttoria, in vista della completezza dell’indagine dibattimentale condotta dal primo giudice che aveva approfondito, nel contraddittorio delle parti, tutti i temi della vicenda, attraverso l’esame dei testi e dei consulenti. La censura, d’altra parte, deve ritenersi, in ogni caso, superata dalla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, che non consente, ovviamente, la proposizione e l’esame di elementi di prova esclusi dal giudice del merito. f) Inammissibili sono le doglianze relative alle cause del decesso dell’ A. ed alla riconducibilità dello stesso agli interventi sull’impianto eseguiti dall’imputato. Tali doglianze, invero, non sono deducibili nella sede di legittimità, essendo esse sostanzialmente relative alla ricostruzione della dinamica dell’incidente ed alla proposizione di apprezzamenti e valutazioni di merito su cui la corte distrettuale si è adeguatamente pronunciata in termini di assoluta coerenza logica rispetto al materiale probatorio acquisito, costituito, in particolare, dai pareri tecnici espressi dai consulenti d’ufficio e dalle testimonianze rese da persone presenti ai fatti.

Congruo e coerente, invero, si presenta il diffuso argomentare della corte territoriale che, partendo dagli addebiti mossi all’imputato e dalle considerazioni svolte dal primo giudice, confrontate con le censure elaborate nell’atto di appello, ha ritenuto di dovere ribadire l’affermazione di responsabilità del S..

In particolare, i giudici del gravame hanno richiamato l’ispezione cadaverica e le ulteriori precisazioni rese dai sanitari incaricati dell’esame nel corso delle rispettive audizioni dibattimentali, nel corso delle quali essi hanno ribadito che la morte del giovane A. era stata determinata da una forte scossa elettrica dovuta ad una dispersione di corrente. I segni di tale scossa gli stessi sanitari hanno riscontrato sul cadavere del giovane, che presentava ferite simili ad ustioni in corrispondenza della regione scrotale e del torace; lesioni non confondibili, secondo il coerente argomentare degli stessi giudici che hanno, anche sul punto, richiamato i pareri espressi dai tecnici, con le lesioni prodotte dal defibrillatore, che avevano la forma tipica delle placche di cui detto congegno si compone e che erano concentrate sulla zona sternale.

La morte del giovane era quindi avvenuta per folgorazione.

Conferma di ciò è stata rinvenuta nella presenza di dette lesioni in zona scrotale, circostanza che è stata ritenuta particolarmente significativa posto che avvalorava l’ipotesi che la vittima, rimasta a cavallo della ringhiera con una mano attaccata al palo della illuminazione, era stato attraversato dalla corrente attraverso il braccio ed il torace prima di scaricarsi nella regione scrotale.

Altro elemento di conferma della tesi d’accusa è stato giustamente ravvisato nelle dichiarazioni testimoniali dei compagni della vittima, Al.Pi. e Co.Pr., che, accorsi alle invocazioni d’aiuto dell’amico, preso da violento tremore, nel tentativo di afferrarlo per farlo scendere dalla ringhiera di recinzione, sulla quale era rimasto attaccato, erano stati a loro volta investiti da una violenta scarica elettrica che li aveva costretti a desistere.

La corte territoriale ha poi escluso, ancora richiamando i pareri espressi dagli specialisti, che la dispersione di corrente si fosse originata dalla ringhiera, posto che essa non presentava alcun segno nè segnale del passaggio di corrente elettrica. Anche l’andamento delle lesioni e la loro ramificazione avvalorava, a giudizio della stessa corte, la tesi della folgorazione, non smentita, secondo la stessa corte, dal mancato rinvenimento, sul corpo del giovane, del c.d. "marchio elettrico" che è lesione certamente caratteristica della folgorazione e tuttavia non sempre presente e spesso, pur presente, è difficilmente percepibile.

Quanto alla riconducibilità della dispersione elettrica, e quindi della morte dell’ A., all’imputato, la corte territoriale, sulla scorta delle conclusioni cui è pervenuto il consulente del PM, ha ricordato che il S., oltre ad essere il tecnico di riferimento della amministrazione comunale per gli interventi di manutenzione dell’illumuiazione pubblica, era colui che era intervenuto sull’impianto ove si era verificato l’incidente e che, per ovviare al cattivo funzionamento della linea elettrica del cortile della scuola media "(OMISSIS)", aveva provveduto a distaccare detto impianto da quello della scuola e a collegarlo alla rete dell’illuminazione stradale. Tale operazione, hanno sostenuto i giudici del merito, era stata eseguita in maniera scorretta, poichè non erano stati predisposti i dispositivi di sicurezza idonei ad interrompere tempestivamente l’erogazione della corrente in caso di dispersione.

L’imputato, dunque, è stato ritenuto, alla stregua degli elementi probatori acquisiti, l’esecutore dell’intervento di manutenzione sopra descritto, eseguito in maniera scorretta in quanto non si era provveduto all’isolamento dei conduttori e senza la predisposizione di dispositivi salvavita, quali picchetti ed interruttori differenziali.

Anche su tale tematica, affrontata dopo ampia disamina delle emergenze processuali, l’argomentare della corte territoriale si presenta congruo e coerente sul piano logico e dunque inattaccabile nella sede di legittimità. Mentre il riferimento del ricorrente alla presunta non obbligatorietà della apposizione degli interruttori magnetotermici differenziati, ancora non introdotti al tempo della realizzazione del richiamato intervento manutentivo, nulla rileva ai fini della difesa dell’imputato poichè, ove anche fosse esatta la circostanza, in ogni caso resterebbe la totale assenza di altri dispositivi di sicurezza che il cambio dell’allaccio da una rete all’altra rendeva indispensabili. g) La declaratoria di prescrizione del reato rende inutile l’esame della censura concernente la determinazione della pena.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, essendo il reato contestato estinto per prescrizione, mentre devono essere confermate le statuizioni civili in essa contenute, dovendosi rigettare, ai soli effetti civili, il ricorso dell’imputato, con conseguente condanna dello stesso alla rifusione delle spese del presente di giudizio, in favore delle parti civili, costituite, che si liquidano in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione; rigetta il ricorso limitatamente alle statuizioni civili e liquida, in favore delle parti civili costituite, la complessiva somma di Euro 5.000,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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