Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 08-02-2011, n. 127 Internet

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Il Ministero dell’interno, anche per conto della sua articolazione periferica (Questura di Caltanissetta), impugna la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, nella parte in cui il T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, ha accolto il ricorso, promosso dal signor Ma.Ri., onde ottenere, tra l’altro, l’annullamento del provvedimento, adottato dalla Questura della Provincia di Caltanissetta in data 12 settembre 2008, con il quale fu negato il rilascio di una licenza di pubblica sicurezza per l’esercizio, per conto della Stanleybet, dell’attività di intermediazione telematica, presso il centro trasmissione dati sito in Niscemi (CL), via XX Settembre, n. 237.

2. – Si è costituito, per resistere all’impugnazione, il predetto signor Ri., il quale ha chiesto in via principale il rigetto dell’appello e, in via subordinata, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, in ordine ai quesiti, dettagliatamente dimessi nelle rispettive memorie.

3. – Questo Consiglio ha accolto, in sede cautelare, la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza gravata.

4. – Occorre premettere che il signor Ma.Ri. è il legale rappresentante di una impresa individuale, denominata "Centro Trasmissione Dati", la quale ha stipulato un contratto con la Stanleybet, società di diritto inglese e titolare di una "Class 2 Licenze" rilasciata dalla Lotteries and Gaming Autorithy della Repubblica di Malta, per esercitare nel territorio italiano l’attività di bookmaking (ossia di accettazione di scommesse per conto altrui). La Stanleybet, a sua volta è interamente posseduta dalla "Stanley International Betting", la quale è notoriamente un primario operatore europeo nel settore del betting and gaming, autorizzato dalla UK Gambling Commission e che esercita attività di raccolta di scommesse su eventi sportivi ed altro nei principali paesi europei.

Tanto premesso, va riferito che il signor Ri. richiese alla Questura di Caltanissetta il rilascio di idonea autorizzazione all’esercizio dell’attività di che trattasi, sul presupposto che l’istante avrebbe operato sul territorio nazionale nell’esclusivo interesse della menzionata Stanleybet e limitandosi unicamente alla prestazione dei servizi on-line (cioè alla trasmissione alla ridetta società anglosassone dei dati, relativi alle scommesse raccolte, attraverso un’apposita strumentazione telematica), senza incidere sull’organizzazione delle scommesse, sull’accettazione o sulle modalità di gioco e senza poter in alcun modo apportare modifiche ai dati, agli elementi e alle istruzioni fornite dalla stessa Stanley.

La Questura nissena respinse l’istanza presentata dal signor Ri. con la seguente motivazione: "(c)onsiderato che le società … non risultano in possesso di alcuna autorizzazione dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato necessaria per la raccolta delle scommesse in parola".

Il T.A.R. per la Sicilia, dopo aver analiticamente ricostruito il quadro giurisprudenziale di riferimento (citando decisioni della Corte di Giustizia in materia di libera circolazione dei servizi e delle attività di impresa, della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato), ha accolto e giudicato assorbente la censura con la quale il signor Ri. aveva lamentato, in primo grado, la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni interne del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in combinato disposto con l’art. 4 L. n. 401/1989, per il ravvisato contrasto con i principi comunitari di cui agli artt. 43 e 49 del Trattato CE, oltre che per eccesso di potere sotto diversi profili. In dettaglio, il primo giudice ha ritenuto che:

– in Italia, per lo svolgimento dell’attività in questione, è previsto un regime concessorio doppiato da un sistema di autorizzazione (disciplinato dall’art. 88 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dall’art. 37, comma 4, della L. 22 dicembre 2000, n. 388, che rimanda a sua volta all’art. 11 dello stesso T.U.L.P.S. circa i requisiti soggettivi delle persone richiedenti);

– gli effetti di detto duplice assenso amministrativo comportano, secondo l’interpretazione dell’Amministrazione dell’interno (v. la direttiva 557/PAS.8153.13500.F(27) dell’8 agosto 2007, diramata dal Dipartimento della pubblica sicurezza – Ufficio per l’amministrazione generale), che l’autorizzazione di polizia ai sensi del citato art. 88 T.U.L.P.S. possa essere concessa soltanto ai soggetti che abbiano ottenuto le previste concessioni, cosicché al difetto di queste ultime (come accaduto nella fattispecie oggetto della presente controversia), segua di necessità il diniego della suddetta autorizzazione;

– le norme italiane non siano tuttavia da interpretarsi nel senso patrocinato dal Ministero dell’interno, posto che, diversamente opinando, verrebbe a determinarsi una sicura antinomia tra dette previsioni e i superiori principi del diritto comunitario in materia di home country control e di libera prestazione dei servizi, siccome evincibili dai pronunciamenti della Corte di Giustizia (sentenze del 24 marzo 1994, in causa C-275/92, caso "Schindler"; del 21 settembre 1999, in causa C-124/977, caso "Laara"; 6 novembre 2003, in causa C-243/01, caso "Gambelli"; 6 marzo 2007, caso "Placanica" e altri, nelle cause C-338/04, C-359/04 e C-360/04); – anche secondo il Consiglio di Stato (sez. VI, 21 ottobre 2008, n. 6027; id., 16 gennaio 2009, n. 204; id., 7 maggio 2009, n. 2827) – ha soggiunto il primo Giudice – la non conformità del (solo) regime concessorio italiano sarebbe stata stigmatizzata dalla Corte di Lussemburgo con riferimento ai seguenti tre profili: a) alla previsione di un ristretto numero di concessioni, giacché la limitazione di esse potrebbe compromettere le libertà di circolazione accordate dal Trattato; b) alla introduzione di ingiustificate preclusioni alla partecipazione delle imprese alle gare per l’aggiudicazione delle concessioni in questione; c) alla decisione dello Stato italiano, maturata in epoca successiva alle prime sentenze della Corte di Giustizia e alla riforma introdotta con la legge finanziaria per l’anno 2003, di conservare il regime di monopolio in favore dei concessionari pubblici e, soprattutto, di prorogare le concessioni già attribuite, così scegliendo in modo consapevole di aprire la strada alla possibilità che la situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario si protraesse per alcuni anni ancora.

In coerenza con i superiori rilievi, il T.A.R. ha affermato che il regime autorizzatorio interno non sarebbe da ritenere in sé incompatibile con il quadro comunitario, fatta eccezione per la parte in cui tale sistema di regole, subordinando il rilascio della autorizzazione al previo ottenimento della concessione, rischia di portare a ulteriori conseguenze le ingiustificate limitazioni alla libertà di stabilimento e alla prestazione dei servizi nell’ambito dell’Unione derivanti dal regime concessorio e, in particolare, impedisce alle società comunitarie di porre rimedio alla esclusione dal mercato italiano attraverso l’apertura di punti di raccolta dati gestiti da persone domiciliate in Italia.

Analoghi limiti ingiustificati alle suddette libertà fondamentali potrebbero prodursi nei confronti delle persone, bensì operanti in Italia, ma escluse dal rilascio delle autorizzazioni ai sensi del sunnominato art. 88 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 per il solo fatto di svolgere l’attività di raccolta delle scommesse per conto di società prive di concessione e non anche per autonomi motivi di ordine pubblico, valutabili in vista dell’obiettivo di prevenire fenomeni criminali o di frode.

Sulla scorta di tali argomenti il T.A.R. ha annullato il suddetto diniego, facondo salvi gli ulteriori, eventuali provvedimenti di competenza dell’Amministrazione e, per l’effetto, ha ritenuto di poter prescindere dalla rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni interpretative sollevate dalla parte ricorrente, in quanto asseritamente superate dalle considerazioni giuridiche sopra riportate.

5. – Il Ministero dell’interno è insorto in appello osservando che la decisione del Tribunale risultava viziata dall’omessa considerazione delle sopravvenienze normative, rappresentate in modo particolare dall’art. 38 del D.L. n. 223/2006 (con cui è stata disposta la messa a gara di 16.000 diritti di concessione), le quali avrebbero aperto il sistema concessorio nazionale a una piena concorrenza; per contro, la giurisprudenza europea, richiamata dal T.A.R., avrebbe fatto esclusivo riferimento alla situazione della normativa interna vigente in epoca anteriore al 2006.

6. – Ritiene il Collegio che, allo stato, la causa non possa essere decisa e che si imponga, invece, la necessaria sospensione del giudizio ai sensi degli artt. 79 del Codice del processo amministrativo e dell’art. 295 c.p.c. Ed invero, il T.A.R. ha potuto definire la controversia, prescindendo dall’invio degli atti alla Corte di Giustizia in quanto giudice di primo grado e, come tale, non gravato dell’obbligo, ribadito anche ai sensi del nuovo art. 267 del TFUE, di rimettere a Lussemburgo la decisione in via pregiudiziale di ogni questione non agevolmente definibile sulla base dei principi desumibili da una consolidata giurisprudenza comunitaria.

Opina però il Collegio che, nella specie, il "diritto vivente" espresso dal Giudice europeo presenti margini per ulteriori chiarimenti alla luce della normativa interna di rango primario sopravvenuta nel 2006, alla quale ha fatto riferimento l’Avvocatura dello Stato.

Non a caso, condividendo tali residue perplessità, anche i giudici amministrativi di primo grado, con riguardo a fattispecie pressoché identiche alla presente (attinenti cioè all’impugnazione di dinieghi della licenza di cui all’art. 88 T.U.L.P.S. motivati sul difetto di una presupposta concessione), hanno preso atto di un recente rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte di cassazione (sez. III penale, giusta, tra le altre, l’ordinanza n. 1705 del 25 gennaio 2010) e, per l’effetto, hanno sospeso i giudizi in attesa che la Corte di Giustizia si pronunci sulle seguenti questioni: "se esista compatibilità tra la normativa nazionale, introdotta a partire dal decreto Bersani, cioè il (citato) D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito in L. n. 248 del 4 agosto 2006, con gli artt. 43 e 49 del Trattato CE, con riferimento a una disciplina interna che prevede, fra l’altro:

a) l’esistenza di un indirizzo generale di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore e al termine di una gara che aveva illegittimamente escluso una parte degli operatori;

b) la presenza di disposizioni che garantiscono di fatto il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite (come ad esempio il divieto per i nuovi concessionari di collocare i loro sportelli al di sotto di una determinata distanza da quelli già esistenti);

c) la previsione di ipotesi di decadenza della concessione nel caso che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto di concessione.".

Orbene, la decisione in ordine alla compatibilità comunitaria dell’art. 88 T.U.L.P.S. e alla obbligatorietà di una sua eventuale inapplicazione nella parte in cui la disposizione stabilisce che: "(l)a licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione" dipende anche dalla prodromica valutazione di conformità, alla normativa europea, della disciplina nazionale relativa al predetto sistema concessorio.

7. – Analoga soluzione si impone, dunque, anche nel caso in esame, con l’unica rilevante differenza che la sospensione del giudizio deve essere disposta, oltre che ai sensi dell’art. 295 c.p.c., anche nelle forme e con le modalità stabilite dall’art. 267 TFUE (ex art. 234 del Trattato CE), dall’art. 23 del protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia e dall’art. 3, comma 1, della L. 13 marzo 1958, n. 204. In effetti, sebbene la ridetta sospensione del giudizio, sul piano del diritto processuale interno, assuma la sostanza di una pronuncia ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (atteso il nesso di pregiudizialità che tiene avvinta la presente controversia rispetto alle questioni già sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia), nondimeno questo Consiglio, in quanto giudice di ultima istanza, è comunque tenuto ad osservare le vincolanti regole dell’ordinamento sovranazionale e, quindi, a trasmettere il presente provvedimento, insieme a copia dei fascicoli e dei documenti di parte, alla Cancelleria della Corte di Giustizia, in conformità alle disposizioni richiamate.

8. – La sospensione del giudizio, disposta nelle forme e secondo le modalità sopra indicate, esaurisce però l’oggetto della presente pronuncia, dal momento che il Collegio non ritiene di dover sollevare le altre questioni pregiudiziali suggerite dal signor Ma.Ri., sia perché in parte sovrapponibili a quelle già formulate dal Supremo Collegio nella su richiamata ordinanza sia perché non rilevanti ai fini del decidere.

9. – In applicazione dell’art. 80 del Codice del processo amministrativo, spetterà pertanto alla parte più diligente proseguire il presente giudizio, presentando apposita istanza di fissazione entro novanta giorni dalla comunicazione della futura sentenza della Corte di Giustizia.

Vista la Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali (2009/C 297/01);
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando:

1) sospende il giudizio ai sensi degli artt. 70, comma 1, del Codice del processo amministrativo, 295 c.p.c., 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, 23 del protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia e 3, comma 1, della L. 13 marzo 1958, n. 204, e 2) dispone l’immediata trasmissione, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, alla Cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea di copia in carta libera tutti gli atti del processo di appello, inclusa la presente ordinanza;

3) riserva alla pronuncia definitiva ogni ulteriore e impregiudicata decisione sul rito, sul merito e sul riparto delle spese processuali.

4) dispone che la presente ordinanza, sempre a cura della segreteria, sia comunicata alle parti costituite.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 4 novembre 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Filoreto D’Agostino, Gabriele Carlotti, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.

Depositata in Segreteria il 8 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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