Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-10-2010) 10-02-2011, n. 4905

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 9.11.09 il tribunale di Catania ha confermato la sentenza 3.1.07 del giudice di pace della stessa sede, con la quale C.A. e S.N. erano stati assolti dal delitto di diffamazione nei confronti di S.G., ritenendo sussistente l’esimente di cui all’art. 596 c.p.. Il difensore di S., agli effetti della responsabilità civile, ha proposto ricorso per violazione di legge in riferimento agli artt. 595 e 596 c.p. e per vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il tribunale, da un lato, ha affermato che era stata raggiunta la prova che lo S. non era persona affidabile e che aveva sottratto soldi alla compagnia di assicurazione per cui lavorava; dall’altro, ha affermato che "è stata comprovata l’inaffidabilità dello S. quale libero produttore dell’Alleanza Assicurazioni e il consequenziale storno del denaro ricevuto da alcuni dei clienti da ritenersi quanto meno non trasparente e comunque idoneo ad ingenerare fondati sospetti circa la legittimità del suo operato".

In tal modo ha riconosciuto che non è stata raggiunta la prova che tutto il fatto, nel suo complesso e nelle sue modalità, sia vero e quindi è inidonea a costituire causa di non punibilità. Inoltre la sentenza del tribunale ha immotivatamente ignorato la censura sull’inesistenza del requisito della continenza formale delle espressioni usate dagli imputati, rendendo quindi impossibile, a norma dell’ultimo inciso dell’art. 596 c.p., il riconoscimento dell’esimente.

Il ricorso non merita accoglimento.

In via di premessa, va rilevato che per i fatti attribuiti alla persona offesa è in corso un procedimento penale presso il tribunale di Catania, rendendo così applicabile la scriminante della exceptio veritatis. Si deve ritenere che la prova della verità di quanto affermato dagli imputati è da ritenersi pienamente realizzata.

Dal testo letterale dell’art. 596 c.p., comma 3, n. 2, inequivocabilmente si ricava che la prova della verità non deve derivare da un accertamento realizzato nel processo avente ad oggetto le accuse mosse allo S.. Pur in assenza di una pronuncia irrevocabile su sue condotte illecite, deve comunque ritenersi provato che la sottrazione di denaro all’Alleanza Assicurazioni è emersa:

a) dall’iniziale relazione di un funzionario della società, a seguito della quale sono state effettuate, su incarico sella medesima, verifiche da parte di C. e S., su 150 contratti procacciati dallo S.;

b) sulla base dell’esito di queste verifiche e sulla base della dichiarazione scritta di confessione dello S., è stata presentata querela dalla società nei confronti del medesimo per appropriazione indebita aggravata;

c) instaurato procedimento penale e concluse le indagini preliminari, è stato disposto il rinvio a giudizio di quest’ultimo.

La conclusione della sentenza impugnata sulla realizzazione della prova dello storico verificarsi di sottrazioni illecite di denaro e sulla fondatezza del conseguente giudizio di inaffidabilità dello S. è stata quindi pienamente raggiunta. Sulla configurabilità dei presupposti per una condanna dello S., a conclusione del processo penale per appropriazione indebita, il tribunale, quale giudice di appello nel giudizio per diffamazione, ha ritenuto correttamente di non pronunciarsi, utilizzando, a giustificazione di questa posizione avalutativa, delle improprie espressioni che comunque non incidono sulla pienezza della prova sullo storico verificarsi dei fatti suddetti. Quanto alle modalità espressive, usate, con terze persone, va rilevato che gli imputati sono stati incaricati dalla società di svolgere un’ampia indagine su 150 assicurati del portafoglio clienti dell’agente S.. Alla luce dei risultati di queste indagini, è da rilevare che queste espressioni critiche sono pienamente confacenti all’esito degli accertamenti e sono assolutamente insostituibili da altre di pari significato; nè può ritenersi obbligatorio, nel caso di specie, il ricorso a criptiche, opache eufemistiche espressioni, da parte degli autori di efficaci indagini sulle sottrazioni di denaro della compagnia assicurativa, in danno degli assicurati e in conseguente danno del credito dell’impresa.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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