Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-10-2010) 10-02-2011, n. 4892 Pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

eni e Antonio Salvatore Scordo.
Svolgimento del processo

A seguito di annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, di una precedente pronuncia della Corte d’Appello di Messina, la Corte di Reggio Calabria è stata investita, quale giudice di rinvio, dell’appello proposto da C.P. avverso la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Messina per il delitto di tentato omicidio volontario ai danni di D.B. D..

L’annullamento ha riguardato soltanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche e si è fondato sulla illogicità delle argomentazioni con le quali il giudice di appello, valorizzando la sola gravità del mandato omicidiario impartito dal C. nel 1980, aveva negato rilevanza al suo comportamento successivo e alla pur riconosciuta assenza attuale di pericolosità sociale.

Con sentenza in data 17 novembre 2009 la Corte reggina ha confermato il diniego delle attenuanti generiche, limitandosi a ridurre la pena da 14 a 13 anni di reclusione. Ha motivato il deliberato considerando che la gravità intrinseca del fatto non costituiva l’unico elemento atto a gettare una luce negativa sulla personalità dell’imputato, concorrendo con esso i precedenti penali e la stessa condotta susseguente alla commissione del fatto. Sotto il primo profilo ha evidenziato condanne definitive per furto e percosse anteriori al tentato omicidio del novembre 1980; sotto il secondo profilo ha preso in osservazione tre condanne per associazione per delinquere ed una per omicidio, riguardanti fatti commessi in epoca posteriore. Ha aggiunto quel collegio che il dedotto cambiamento di vita del C., ritiratosi nell’isola di Lipari per dedicarsi ad un’attività commerciale, in parte non rispondeva a verità in quanto dal suo certificato penale risultava una condanna per associazione a delinquere commessa nel 1992; inoltre la nuova condotta non valeva ad elidere lo straordinario disvalore del regime di vita precedentemente tenuto, caratterizzato dal compimento di gravissimi reati, tali da delineare una personalità votata al totale disprezzo delle regole del vivere civile e, in più di un’occasione, della stessa vita altrui.

Avverso quest’ultima sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, dapprima per il tramite del difensore, con deduzione di quattro motivi; quindi con altro atto, personalmente presentato unitamente al difensore e affidato ad un solo motivo.

Col primo motivo del ricorso, a firma dell’avvocato Giovambattista Freni, il ricorrente eccepisce l’irritualità dell’acquisizione del certificato penale aggiornato, prodotto dal Procuratore Generale in udienza nel corso della discussione e recepito dalla Corte senza motivazione alcuna.

Col secondo motivo lamenta che sia stata disattesa la propria istanza di acquisizione della sentenza evidenziata nell’ultima annotazione del certificato penale aggiornato.

Col terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 627 c.p.p. per essersi il giudice di rinvio posto in contrasto con le prescrizioni dettate nella sentenza di annullamento; rimprovera, in aggiunta, alla Corte di merito di essere incorsa in una superficiale lettura dell’ultima annotazione del certificato penale aggiornato, donde emergeva che la condanna inflitta il 26 novembre 1992 riguardava fatti in continuazione col reato associativo commesso il 5 agosto 1981.

Col quarto motivo rileva essere frattanto maturato il termine di prescrizione del reato ascrittogli.

Nell’atto congiuntamente presentato dall’imputato e dal difensore si rileva che la Corte d’Assise di Messina, con sentenza irrevocabile del 30 ottobre 2009 – risultante dal certificato penale – ha riconosciuto al C. le attenuanti generiche per un reato più grave; nella mancata valutazione di tale circostanza addita un vizio di illogicità della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento in ogni sua parte e va, perciò, disatteso.

A confutazione del primo motivo basti richiamarsi al principio giurisprudenziale in base al quale l’acquisizione del certificato penale aggiornato è atto di natura amministrativa, estraneo al regime proprio dell’assunzione dei mezzi di prova (Cass. 6 aprile 1977 n. 902) e appartenente comunque al novero dei poteri-doveri del giudice che – in qualunque fase processuale – non reputi sufficiente il certificato del casellario giudiziale in atti (Cass. 26 settembre 2006 n. 35495, in motivazione; Cass. 26 maggio 1994 n. 2514).

La formulazione del secondo motivo, se individualmente considerata, sarebbe carente del requisito di specificità per mancata precisazione delle ragioni che renderebbero, in thesi, decisivo il documento non acquisito, cioè la sentenza evidenziata nell’ultima annotazione del certificato penale aggiornato. La censura, peraltro, può essere recuperata valutandola in connessione col terzo motivo, col quale il ricorrente si addentra nella disamina delle condanne attestate, per l’appunto, nel certificato penale, al fine di supportare la tesi secondo cui i reati accertati con quelle sentenze risalgono tutti ad un arco di tempo assai circoscritto e prossimo al tentato omicidio oggetto del presente giudizio: e ciò a confutazione del convincimento del giudice di rinvio, secondo cui l’attività illecita si sarebbe protratta anche in epoca successiva. Nella stessa linea difensiva s’inserisce il rilievo riguardante l’oggetto della pronuncia di condanna risultante dall’annotazione n. 6, per rimarcare che il delitto con essa accertato è stato considerato in continuazione col reato associativo commesso fino al (OMISSIS) (donde la dedotta appartenenza a una serie di eventi che avrebbe correlazione col regime di vita antecedente).

La complessa doglianza che scaturisce dall’esame congiunto dei due motivi in questione non può trovare accoglimento. Il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere è reato permanente, la cui consumazione si protrae nel tempo e viene interrotta – solo dal punto di vista tecnico-giuridico – dalla sentenza di condanna, conseguendone che la porzione di condotta illecita successiva alla pronuncia, se pur ontologicamente non disgiungibile dalla precedente, è perseguibile a titolo di reato autonomo, ancorchè legato al precedente segmento di condotta dal vincolo della continuazione (v. per tutte Cass. 3 marzo 2009 n. 15133). Da tale premessa deve trarsi l’ineludibile conclusione che la partecipazione del C. al sodalizio criminoso, accertata in sequenza fino a tutto il (OMISSIS) dalle sentenze succedutesi nel tempo, sia stata correttamente valutata dalla Corte d’Appello reggina come dimostrativa di un sistema di vita criminoso protrattosi ben oltre l’epoca del tentato omicidio ai danni di D.B.D..

Nella motivazione addotta, del resto, il giudice di rinvio ha mostrato di aver valutato in modo esauriente e completo l’intera condotta tenuta dal C., sia prima sia dopo l’episodio criminoso oggetto del presente processo; traendone conclusivamente il giudizio che il cambiamento di vita ultimamente adottato non è comunque idoneo ad elidere – ai fini dell’invocata applicazione delle attenuanti generiche – la valenza negativa derivante dalla intrinseca gravità del fatto per cui è processo e dalla condotta di vita tenuta dal C., per lunghi anni prima e dopo la commissione di esso.

Non vi è stata, pertanto, alcuna violazione del disposto dell’art. 627 c.p.p., essendosi il giudice di rinvio dedicato alla valutazione della personalità dell’imputato sotto ogni aspetto, anche tenuto conto del comportamento successivo al reato, secondo le prescrizioni della sentenza di annullamento.

L’eccezione di prescrizione che informa il quarto motivo è, a sua volta, destituita di fondamento.

La collocazione temporale della sentenza di primo grado, risalente al 25 marzo 2003, rende applicabile alla fattispecie il regime prescrizionale anteriore all’entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005 n. 251, secondo il disposto della norma transitoria ivi contenuta nell’art. 10, comma 3. Orbene, in base al testo previgente dell’art. 157 c.p., per il delitto di tentato omicidio aggravato da premeditazione (punito con la pena da dodici a ventiquattro di reclusione) il termine prescrizionale ordinario viene ad essere determinato in venti anni; sicchè, per effetto degli atti interruttivi succedutisi nel corso dell’iter processuale, il termine massimo applicabile ascende a trent’anni. Avuto riguardo all’epoca del commesso reato (novembre 1980), la scadenza dell’evento estintivo viene ad essere fissata al giorno 1 novembre 2010, ancora appartenente al futuro.

Non ha alcun addentellato normativo l’assunto propugnato dal ricorrente, a tenore del quale l’art. 56 c.p., comma 2, là dove stabilisce soltanto la sanzione minima di dodici anni di reclusione qualora per il reato consumato sia prevista la pena dell’ergastolo, dovrebbe essere inteso nel senso che il massimo sia determinabile in sedici anni per aumento di un terzo. Costituisce invece un principio generale, applicabile in ogni caso di determinazione della sola pena minima, quello per cui la pena massima irrogabile è quella stabilita dall’art. 23 del citato codice, e cioè, nel caso della reclusione, quella di ventiquattro anni (Cass. 24 aprile 2002 n. 26350; Cass. 14 settembre 1996 n. 2119).

Da ultimo merita di essere rimarcato che la sentenza della Corte d’Assise di Messina in data 30 ottobre 2009, evocata nel secondo atto d’impugnazione (da intendersi come memoria con motivi nuovi) per l’applicazione ivi data alle attenuanti generiche, si riferisce a un diverso reato in rapporto al quale, evidentemente, la valutazione complessiva degli elementi di cui all’art. 133 c.p. ha condotto a un diverso apprezzamento, non vincolante in questa sede.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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