Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-10-2010) 10-02-2011, n. 4882 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9 novembre 2009 la Corte d’Appello di Salerno, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Vallo della Lucania, ha riconosciuto C.G. e C. C. responsabili, in concorso fra loro, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della società "Immobiliare Cilentana di Franciulli Gina & C. s.a.s.".

Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, nella veste di amministratori di fatto i due imputati avevano distratto dall’attivo della società beni strumentali per un valore di L. 83.300.000 vendendoli alla società Geprocal 90 s.r.l., della quale lo stesso C.G. era amministratore; nonchè un Caterpillar del valore di 9.520.000 vendendolo a G.C.;

inoltre avevano distrutto o sottratto le scritture contabili relative all’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, allo scopo di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione i due imputati, per il tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello, pur avendo ritenuto fondata la denuncia di illegittimità della disposta revoca dell’ammissione di un teste a motivo della sua omessa citazione, si sia ugualmente astenuta dal provvedere alla relativa assunzione, illegalmente esercitando il potere discrezionale di cui all’art. 603 c.p.p..

Col secondo motivo i ricorrenti contrastano l’attribuzione a C.G. dello status di fallito, osservando che nei confronti di costui non vi è mai stata estensione del fallimento della società. Entrambi contestano poi di aver assunto la qualità di soci di fatto, non avendo al riguardo valenza probatoria il giudizio espresso dal curatore sulla base di fatti non caduti sotto la sua diretta osservazione.

Col terzo motivo deducono l’insussistenza del reato di bancarotta fraudolenta, nel suo duplice profilo patrimoniale e documentale.

Osservano, al riguardo, che le vendite risalgono a quattro o cinque anni prima del fallimento, sono state stipulate a prezzi congrui e regolarmente fatturate e contabilizzate; manca, altresì, l’elemento psicologico del reato.
Motivi della decisione

I ricorsi dei due imputati, confluiti nell’atto d’impugnazione congiuntamente depositato, sono privi di fondamento e vanno, perciò, disattesi.

Per quanto si riferisce al primo motivo, valga ricordare il principio in base al quale la mancata acquisizione di una prova può costituire motivo di ricorso per cassazione solo quando ricorra il requisito della decisività: vale a dire che l’oggetto della mancata prova deve essere tale, che la sua assunzione avrebbe condotto il giudice di merito a una diversa decisione (Cass. 25 marzo 2010 n. 14916). E’ compito del ricorrente, in applicazione del principio cd. di autosufficienza del ricorso, dar conto di tale carattere del mezzo istruttorio di cui lamenta l’omessa acquisizione, specificando su quali circostanze di fatto la prova avrebbe dovuto vertere e per quale via l’esito di essa avrebbe potuto determinare un diverso esito processuale. Nel caso di specie nulla di tutto ciò è dato rinvenire nel ricorso congiunto degli imputati, onde non è possibile la verifica di fondatezza della doglianza.

A confutazione del secondo motivo va detto che, secondo costante giurisprudenza (v. per tutte Cass. 13 ottobre 2009 n. 43036; Cass. 10 ottobre 1994 n. 12496), risponde del delitto di bancarotta fraudolenta anche l’amministratore di fatto di una società in nome collettivo o in accomandita, indipendentemente dalla sua dichiarazione di fallimento in estensione. Alla stregua della menzionata regula iuris non interessa qui stabilire se C. G. sia stato oppure no dichiarato fallito in estensione del fallimento della società "Immobiliare Cilentana di Franciulli Gina & C. s.a.s.": il giudice di merito ha infatti accertato, in base a motivazione immune da vizi logici e giuridici, l’assunzione da parte sua della qualità di amministratore di fatto, in virtù della quale egli si è reso diretto destinatario del precetto penale. Sicchè in ordine a tale accertamento – così come per quello riguardante la analoga posizione di C.C. – non giova ai ricorrenti contrastare il giudizio espresso dalla Corte territoriale col prospettare una lettura alternativa delle emergenze probatorie, in ciò concretandosi un indebito sconfinamento nell’area del merito, la cui rivisitazione non è consentita nel giudizio di cassazione.

Analoghe considerazioni inducono a disattendere il terzo motivo, il quale si sofferma su censure non consentite nella parte in cui contesta che gli atti di alienazione qualificati come distrattivi si siano compiuti in prossimità del fallimento, quando lo stato di decozione era ormai avanzato: si tratta, invero, di accertamento di fatto che, siccome sonetto da motivazione logicamente ineccepibile, in quanto basata sulle notizie riferite dal curatore fallimentare (sulla cui utilizzabilità v. Cass. 9 giugno 2004 n. 39001; Cass. 13 aprile 1999 n. 6887), si sottrae in questa sede di legittimità al controllo di conformità ai dati processuali.

E’ appena il caso di aggiungere che la regolare fatturazione e contabilizzazione delle vendite non rileva ai fini della penale responsabilità (che si concreta nel depauperamento della garanzia patrimoniale dei creditori, in dipendenza del mancato rinvenimento sia dei beni venduti, sia del corrispettivo riscosso), e che l’elemento soggettivo richiesto per il perfezionarsi della fattispecie delittuosa è il dolo generico, il quale consiste nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, un pregiudizio per i creditori (Cass. 30 gennaio 2006 n. 7555); di ciò la Corte di merito ha ritenuto ampiamente raggiunta la prova, con giudizio ancora un volta non sindacabile in questa sede.

E’ infine da escludere che l’aver rilevato l’avvenuta distrazione del prezzo di vendita dei beni alienati, in alternativa alla distrazione dei beni stessi, abbia comportato inosservanza del principio di correlazione tra contestazione e condanna; tale vizio si verifica soltanto quando nei fatti – rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità (Cass. 6 novembre 2008 n. 81/09): il che non è riscontrabile nel caso di specie.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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