Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 6848 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il sig. S.A. con ricorso alla Corte d’appello di Napoli in data 4 febbraio 2008 chiedeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001 la liquidazione dell’equa riparazione, in Euro 13.250,00 per il danno non patrimoniale derivatogli dall’eccessiva durata di un processo promosso dinanzi al TAR della Campania in data 28 luglio 2000, ancora pendente al momento della proposizione del ricorso alla Corte d’appello ed avente ad oggetto una domanda di risarcimento per prestazioni lavorative prestate in violazione sulle prescrizioni relative al riposo settimanale. La Corte d’appello, con decreto depositato il 12 novembre 2008, rilevato che la sentenza del TAR era stata depositata il 9 giugno 2008, ritenuta congrua la durata del giudizio in tre anni, per il periodo di eccessiva durata, pari ad anni quattro e dieci mesi, liquidava la somma complessiva di Euro 5.000,00, rivalutati all’attualità della pronuncia, con gl’interessi da tale data. Compensava le spese di causa per due terzi. Avverso tale decreto l’attore ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 luglio 2009, formulando sette motivi. Il Ministero resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 6 della CEDU, della L. n. 89 del 2001 e della regola secondo la quale la normativa della CEDU prevale su quella nazionale. Si formula il seguente quesito: La L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU o di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale e applicare la CEDU? Il motivo va dichiarato inammissibile per l’inadeguatezza del quesito formulato, in quanto del tutto astratto e privo di riferimento alla decisione ed alla fattispecie concreta.

2. Con il secondo e il terzo motivo si contesta sia l’ammontare dell’indennizzo liquidato, sia il fatto che esso sia stato ragguagliato solo al periodo di eccessiva durata del processo e non a tutta la sua durata. Anche tali motivi sono infondati, avendo la Corte d’appello liquidato oltre Euro 1000,00 per ogni anno di durata del processo, così validamente esercitando la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo con riferimento agli standard della CEDU. Mentre la liquidazione con riferimento al solo periodo di eccessiva durata è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (ex multis Cass. 14 febbraio 2008, n. 3716; 14 febbraio 2008, n. 3716) in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 la legge nazionale impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole del processo e non all’intera durata dello stesso; e tale modalità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge citata ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana con la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

3. Con il quarto e il quinto motivo si censura la mancata concessione del "bonus" di 2000,00 Euro, che si asserisce dovuto trattandosi di causa di lavoro e l’omessa pronuncia al riguardo. I motivi vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili in quanto, come già statuito da questa Corte, (ex multis Cass. 6 settembre 2010, n. 19064; 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869), in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto per il danno non patrimoniale, la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e a riparare un pregiudizio normalmente sempre presente ed uguale, mentre l’attribuzione di una somma ulteriore (cosiddetto "bonus") postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore; conseguentemente, nel caso in cui il giudice di merito abbia negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla circostanza che il "bonus" spetta "ratione materiae", era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che non sono allegate nei motivi e quesiti formulati al riguardo.

4. Il sesto motivo, con il quale si censura in diritto la compensazione per metà delle spese, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per inidoneità del quesito, formulato in modo generico, astratto e senza collegamento con la motivazione del decreto impugnato. Il settimo motivo, con il quale si censura sotto l’aspetto motivazionale la compensazione delle spese per metà, è infondato, avendo la Corte d’appello adeguatamente motivato la compensazione delle spese in detta misura in relazione al solo parziale accoglimento della domanda.

Il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di Euro novecento/00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *