Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 6845 Elezioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 25 marzo 2009 il signor C.E. conveniva dinanzi al Tribunale di Cagliari il sig. C.P., eletto consigliere regionale nella circoscrizione di Olbia – Tempio nelle votazioni per il rinnovo del consiglio della regione autonoma Sardegna tenutesi il 15 – 16 febbraio 2009, per sentire accertare la sua ineleggibilità della L.R. 10 luglio 2008, n. 1, ex art. 25, commi 2 e 3, (c.d. legge statutaria) e del D.Lgs. 30 novembre 1992, n. 502, art. 3, comma 9, (Riordino della disciplina in materia sanitaria).

Esponeva che il C.P. si era dimesso dalla carica di direttore sanitario dell’azienda sanitaria locale n. (OMISSIS) di Olbia, integrante una causa di ineleggibilità, tardivamente rispetto al prescritto termine di 180 giorni anteriori alla scadenza naturale della legislatura.

Costituitosi ritualmente, il convenuto eccepiva il rispetto del termine di sette giorni successivi alla data del provvedimento di scioglimento del consiglio regionale di cui all’art. 25, terzo comma, della legge statutaria: termine, che operava autonomamente per l’ipotesi, verificatasi nella specie, di fine anticipata della legislatura.

Con distinto ricorso notificato 19 maggio 2009 i sigg. G. P. e D.I. proponevano analogo ricorso nei confronti del C.P., deducendo la sua condizione di ineleggibilità, non tempestivamente rimossa nel rispetto del distinto termine di sei mesi prima della data di accettazione della candidatura: non trovando applicazione la legge statutaria tra regione Sardegna 1/2008 invocata dal convenuto, perchè annullata con sentenza della Corte costituzionale 4 maggio 2009 n. 149.

Riuniti i ricorsi, il Tribunale di Cagliari con sentenza 8 giugno 2009 dichiarava l’ineleggibilità del C.P. e per l’effetto proclamava eletto in sua sostituzione il candidato C.E.; con compensazione integrale delle spese processuali.

Il successivo gravame era respinto dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza 25 marzo 2010.

La corte territoriale motivava – che non era applicabile alla fattispecie la L.R. 10 luglio 2008, n. 1, venuta meno per effetto della sentenza 8 maggio 2009, n. 149 della Corte costituzionale:

che, investita del conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del consiglio dei ministri nei confronti della regione Sardegna, aveva annullato l’atto di promulgazione illegittimamente emesso dal presidente della regione, nonostante la mancata approvazione della predetta legge in sede di referendum popolare, ex art. 15 dello statuto speciale;

– che tale annullamento, dotato dell’efficacia retroattiva propria delle pronunzie della Corte costituzionale, travolgeva gli effetti medio tempore prodotti; senza che si potesse attribuire rilevanza all’affidamento sulla legittimità della legge da parte del C. P., che all’epoca di dimissioni conosceva la pendenza del conflitto di attribuzione;

che trovava invece applicazione il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, comma 9, (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 21, art. 1), da interpretare nel senso che presupposto indefettibile della validità della candidatura fosse la cessazione, delle funzioni di direttore sanitario dell’A.s.l. almeno 180 giorni prima della data di scadenza del periodo di durata del consiglio regionale;

che tale requisito vigeva anche nell’ipotesi di scioglimento anticipato, in concorso con l’ulteriore termine di sette giorni successivi alla data del provvedimento di scioglimento per le dimissioni dalla carica, come contestualmente previsto nella norma in questione: a pena di un irragionevole disparità di trattamento rispetto ad altri candidati, eventualmente affetti da analoga causa di ineleggibilità, che invece avessero rispettato il termine dilatorio semestrale.

Avverso la sentenza notificata il 24 giugno 2010, il C.P. proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi e notificato il 13 luglio 2010. Deduceva:

1) la violazione del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 e segg., per la difformità tra il dispositivo letto in udienza e quello riportato nel testo scritto della sentenza in ordine al regolamento delle spese di giudizio, rispettivamente compensate e poste a carico dell’appellante;

2) la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 9, e della L.R. n. 1 del 2008, art. 25 perchè la Corte d’appello di Cagliari aveva erroneamente applicato la prima delle suddette norme, invece dalla seconda;

3) la violazione dei principi di affidamento e di ragionevolezza;

4) la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 9.

Sollevava inoltre eccezione di incostituzionalità del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 sotto il triplice profilo dell’eccesso di delega; della mancata previsione della facoltà di rimuovere la causa di ineleggibilità del collegio elettorale in cui sia ricompreso il territorio dell’azienda sanitaria locale ove il candidato presta servizio, nel caso di scioglimento anticipato dell’assemblea regionale; della violazione del principio di eguaglianza e di uniformità che deve regolare su tutto il territorio nazionale il regime di ineleggibilità ( artt. 3 e 51 Cost.).

Resistevano con controricorso gli intimati.

All’udienza del 24 gennaio 2011 il Procuratore generale ed i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Il difensore del sig. C.E. depositava note d’udienza.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 e segg., per difformità del dispositivo riportato nel testo scritto della sentenza rispetto a quello letto in udienza.

Il motivo è fondato.

L’oggettiva discordanza tra il dispositivo letto in udienza, documentato in atti, e quello riportato nel testo successivamente redatto determina la cassazione in parte qua della sentenza. Ad essa può peraltro seguire la decisione nel merito ( art. 384 c.p.c., comma 2), dovendosi attribuire valore solo al primo, stante il principio di immutabilità della decisione, una volta resa pubblica nelle forme di legge.

Nè si può parlare, nella specie, di difformità tra dispositivo e motivazione, in carenza di un’esposizione di puntuali argomentazioni a sostegno della condanna, che è semplicemente enunciata: cosicchè si deve concludere che la compensazione originariamente disposta trovi la sua implicita giustificazione nelle caratteristiche di incertezza e disputabilità peculiari della fattispecie decisa.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 9, (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 21, art. 1) e della L.R. 10 luglio 2008, n. 1, art. 25 (legge statutaria).

Il motivo è infondato.

Appare esatta la premessa, in diritto, dell’applicabilità della legge statutaria della Regione Autonoma della Sardegna n. 1 del 2008, dal momento che l’annullamento del suo atto di promulgazione, con sentenza della Corte costituzionale 8 maggio 2009 n. 149, non aveva, in sè, valore retroattivo, in difetto di sospensione "peroravi motivi" L. 11 marzo 1953, n. 87, ex art. 40, (Norme sulla costituizione e sul funzionamento della Corte costituzionale): i cui presupposti sono quelli consueti della materia cautelare, e cioè il fumus boni iuris ed il periculum in mora. Quest’ultimo, in particolare, ha riguardo proprio all’idoneità dell’atto impugnato a produrre, medio tempore, effetti pregiudizievoli irreversibili; tanto più, quando l’atto impugnato coinvolga scelte fondamentali di livello costituzionale, come appunto il diritto di elettorato.

Infatti principio generale, in tema di impugnazione di delibere destinate ad avere vigenza temporalmente indeterminata, di far salvi gli atti di esecuzione compiuti nelle more, che solo la sospensione cautelare può pertanto prevenire. La natura oggettiva della legislazione esclude che, in carenza di sospensione, la salvezza possa invece dipendere da un requisito soggettivo di buona fede, connaturale solo al diritto privato (cfr. art. 2377 c.c., comma 7 e art. 2379 c.c., u.c.).

Tuttavia, l’applicazione dell’art. 25 della citata legge statutaria della Sardegna non giova alla tesi del ricorrente.

La norma riproduce, infatti, pressochè alla lettera, il disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 applicato invece dalla corte territoriale. In entrambi è previsto un termine perentorio di centottanta giorni prima della data di scadenza dell’organo da rinnovare (nella specie, il consiglio regionale) per la cessazione dalla carica, la cui inosservanza determina l’ineleggibilità; ed un secondo termine, di eguale natura, di giorni sette, decorrente dalla data del provvedimento di scioglimento anticipato.

L’unica diversità di disciplina risiede nella diversa norma di cui alla L.R., art. 24, che è, però, inconferente nel caso in esame, riferendosi a cause di ineleggibilità alla carica di presidente – e non di consigliere – della regione: norma, richiamata nel ricorso a titolo di tertium comparationis a sostegno della diversa interpretazione prospettata. Solo l’art. 24, infatti, al comma 2, contiene l’esplicita precisazione che il termine di sette giorni per l’eliminazione della causa di ineleggibilità si applica in caso di cessazione anticipata della legislatura, intervenuta prima dei 180 giorni antecedenti la scadenza naturale. La mancata riproduzione della medesima locuzione nel successivo art. 25 – riguardante, come detto, la diversa casistica delle cause di ineleggibilità dei consiglieri – viene posta dal ricorrente a fondamento di un’interpretazione a contrario, volta ad attribuire a tale norma una configurazione autonoma ed atomistica, in cui assurga a presupposto esclusivo il rispetto del termine di sette giorni successivo alla data di scioglimento anticipato dell’organo. In sintesi: il concorso di entrambi i termini vigerebbe, in ipotesi, solo per l’elezione del presidente della regione, e non pure dei consiglieri, per i quali basterebbero le dimissioni ex post, entro sette giorni dall’evento dissolutivo dell’assemblea regionale.

Tale interpretazione non può essere condivisa, innanzitutto, per l’eterogeneità delle previsioni normative poste a confronto.

Essa, inoltre, si limita a valorizzare il criterio formale "ubi lex dixit voluit" trascurando del tutto il parametro teleologico, che dev’essere invece apprezzato, in sede ermeneutica, anche per norme di stretta interpretazione, quali quelle in tema di elettorato passivo ( art. 12, disp. gen.).

Per unanime opinione in giurisprudenza e dottrina la ratio della disciplina delle cause di ineleggibilità è quella di prevenire forme di capiatio benevolentiae del cittadino elettore, legate all’influenza sulla sua libertà di voto derivante dall’esercizio di funzioni pubbliche e suscettibile di alterare la par condicio nella contesa elettorale. Ma se è così, il dato temporale nell’eliminazione della posizione di favore, diventa unico ed indefettibilile; ed in entrambe le leggi esaminate consta di 180 giorni anteriori alla data di scadenza naturale della legislatura.

Superato detto termine, il direttore generale di un’azienda sanitaria locale è definitivamente escluso dalla competizione elettorale, avendo operato una scelta di continuità nella sua funzione, preclusiva della candidatura.

Qualora, quindi, la durata ordinaria dell’organo da rinnovare subisca una prematura interruzione dopo la scadenza anzidetto, non vi e spazio per una riapertura dei termini degli ineleggibili: a pena di violazione della par candido, insita nella procrastinata rimozione della condizione di vantaggio rispetto ad eventuali candidati, patimenti ineleggibili, che abbiano però rinunciato, per tempo, alla loro carica.

Si rifletta, al riguardo, che tale alterazione delle condizioni di partecipazione alla gara elettorale potrebbe arrivare alla pratica disapplicazione della causa di ineleggibilità nell’ipotesi – scolastica, certo; ma non per questo, impossibile – di anticipazione dello scioglimento dell’assemblea regionale ravvicinatissima rispetto alla durata naturale (argomento apagogico).

Non è dunque possibile recepire la tesi del ricorrente, che sopravvaluta non poco la portata del dato letterale, facendo di una proposizione esplicativa (che, perciò stesso, non aveva bisogno di essere reiterata in altra disposizione di eguale ratio) il criterio discretivo tra analoghe ipotesi di ineleggibilità, in contrasto con l’intenzione del legislatore.

Il terzo motivo appare assorbito dalla statuizione che precede; a prescindere dall’incongruenza della denunziata violazione dei principi di affidamento e di ragionevolezza, senz’alcun riferimento a norme giuridiche specifiche.

Il quarto motivo è pure infondato, consistendo nella critica all’interpretazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 che non trova applicazione in concreto. Per completezza di analisi, si può aggiungere che l’ineleggibilità nei collegi elettorali nei quali sia ricompreso, in tutto o in parte, il territorio dell’Unità sanitaria locale presso la quale il candidato abbia esercitato le sue funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura appare, comunque, applicabile in via generale: e quindi, sia nel caso di scioglimento ordinario, che anticipato dell’organo. Come rivelato dall’incipit dell’alinea ("In ogni caso…") e dall’identica ratio di impedire la lesione della par condicio per effetto della possibile influenza connaturale alla carica esercitata.

Nè si risolve in una compressione eccessiva del diritto di elettorato passivo, non impedendo che il dirigente si presenti candidato in un diverso collegio. Al riguardo, il precedente citato, consistente in una decisione della Giunta delle elezioni della Camera dei deputati nella quarta legislatura, appare improntato a motivazioni di opportunità politica, non vincolanti in una pronuncia in stretto diritto.

Perdono a questo punto di rilevanza le questioni di illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitarie, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 42, art. 1), dal momento che il fondamento della ritenuta ineleggibilità del C.P. riposa, invece, sulla disciplina dettata dalla legge statutaria della regione Sardegna 10 luglio 2008, n. 1.

Le spese processuali vanno poste a carico del C.P., data la sua prevalente soccombenza; e sono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte.
P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e, decidendo nel merito, compensa le spese del grado d’appello;

– Rigetta i residui motivi e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, sostenute dal C.E., liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, e di quelle sostenute da G.P. e D.I., liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari; oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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