Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 6838 Risarcimento del danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 26 marzo 1992 la Corte d’Appello di Palermo confermò la sentenza del 22 giugno 1988, con cui il Tribunale di Marsala aveva condannato la Provincia Regionale di Trapani al risarcimento dei danni subiti da L.S. e P. G. per l’occupazione illegittima di un fondo di loro proprietà, disposta ai fini della realizzazione della strada provinciale litoranea (OMISSIS).

2. – Il ricorso per cassazione proposto dalla Provincia fu accolto con sentenza del 4 marzo 1997, con cui questa Corte, previa affermazione dell’applicabilità del termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2947 cod. civ., comma 1, rinviò la causa alla Corte d’Appello per l’accertamento del momento in cui si era verificata l’irreversibile destinazione dell’area all’esecuzione dell’opera pubblica.

3. – A seguito della riassunzione del giudizio nei confronti della P. e di Gi. e L.G., eredi del defunto L.S., la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 18 marzo 2004, ha riformato la sentenza di primo grado, dichiarando prescritto il diritto al risarcimento.

A fondamento della decisione, ha rilevato che da una certificazione dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia in data 14 gennaio 1984, avente natura di atto pubblico, risultava che l’opera era stata ultimata il 25 marzo 1974, aggiungendo che gli stessi attori avevano dichiarato nella citazione che la strada era stata costruita agli inizi del 1973, mentre dai verbali di immissione in possesso risultava che l’occupazione aveva avuto luogo il 30 giugno 1973, con la conseguenza che l’irreversibile trasformazione del fondo doveva ritenersi avvenuta anteriormente all’occupazione, disposta con decreto del 17 settembre 1974. 4. – Avverso la predetta sentenza ricorrono per cassazione Gi. e L.G., per un solo motivo. La Provincia Regionale di Trapani resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., sostenendo che la Corte d’Appello ha erroneamente qualificato come atto pubblico la certificazione dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia, la quale non è munita di fede privilegiata, provenendo da un organo della stessa Provincia ed essendo stata redatta nel corso del giudizio. Tale certificazione, peraltro, contrasta con quanto affermato dalla Provincia nella comparsa di costituzione, in cui la convenuta aveva riconosciuto che l’occupazione aveva avuto luogo dopo la redazione dello stato di consistenza e che l’opera era stata realizzata nel corso del 1979, con la conseguenza che all’epoca della notificazione dell’atto di citazione, effettuata il 28 febbraio 1981, il diritto al risarcimento non poteva ritenersi prescritto.

1.1. – Il motivo è infondato, pur dovendosi procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, la quale non risulta conforme al diritto, nonostante la condivisibilità delle conclusioni cui è pervenuta la Corte d’Appello.

Ai fini dell’accertamento della data in cui si è verificata l’irreversibile trasformazione del fondo, che, determinando l’acquisto della proprietà a titolo originario da parte dell’Amministrazione con la conseguente perdita del medesimo diritto da parte del proprietario, segna la decorrenza del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno per la c.d. occupazione acquisitiva, la Corte d’Appello ha infatti richiamato, tra l’altro, una certificazione dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico della Provincia, prodotta in giudizio dal Comune ed attestante la data di ultimazione dei lavori per la realizzazione dell’opera pubblica, attribuendo alla stessa la fede privilegiata propria dell’atto pubblico.

Orbene, il fondamento della fede privilegiata riconosciuta alle attestazioni provenienti da pubblici ufficiali è rappresentato dal potere certificativo, il quale, costituendo espressione d’una funzione pubblica, può essere esercitato solo in ipotesi tassativamente predeterminate, nessun potere pubblico essendo configurabile in difetto di una norma dalla quale esso venga espressamente attribuito. Se è vero, infatti, che la caratteristica essenziale dell’atto pubblico consiste nella formazione ad opera di un soggetto investito della funzione di certificare la verità di un fatto che si svolge dinanzi a lui o di cui egli stesso è autore, affinchè un documento pubblico possa essere qualificato come atto pubblico non è sufficiente che esso provenga da un pubblico ufficiale, ma è necessario che la legge attribuisca a quest’ultimo la capacità di essere fonte di pubbliche certezze (cfr. Cass., Sez. Un., 9 aprile 1999, n. 215; Cass., Sez. 3^, 19 aprile 2001, n. 5835;

Cass., Sez. 2^, 24 luglio 1999, n. 8021).

In quest’ottica, non può riconoscersi efficacia di atto pubblico all’attestazione della data di ultimazione dei lavori per la realizzazione dell’opera pubblica, rilasciata dal capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale, non essendo individuabile alcuna disposizione che attribuisca a quest’organo, in proposito, un potere certificativo con effetti erga omnes, tale da consentire di ricollegare a quanto da lui dichiarato la fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ..

Anche a voler ritenere che tale efficacia probatoria non sia limitata agli atti compiuti dal pubblico ufficiale o alle circostanze obiettive cadute sotto la sua diretta percezione, ma si estenda al contenuto di documenti ufficiali formati dall’Amministrazione cui l’autore dell’atto appartenga od alla conservazione dei quali egli sia preposto, deve escludersi che essa possa coprire le risultanze degli atti sottoscritti dall’appaltatore dell’opera pubblica e dal direttore dei lavori, che costituiscono verosimilmente la fonte dell’attestazione in esame, non configurandosi tali documenti come atti pubblici o certificazioni amministrative, ma come mere scritture private inerenti al rapporto di appalto, la cui valenza probatoria non può mutare per il solo fatto dell’avvenuto recepimento in una certificazione amministrativa (cfr. Cass., Sez. 1^, 20 aprile 1985, n. 2616).

Tanto premesso, si osserva peraltro che l’errata qualificazione dell’attestazione prodotta in giudizio non ha spiegato effetto determinante ai fini della decisione, in quanto la Corte d’Appello, nella formazione del proprio convincimento, non si è avvalsa unicamente delle risultanze del documento in esame, ma le ha integrate con quelle dei verbali di consistenza e di immissione in possesso e con l’ammissione compiuta dagli stessi ricorrenti nell’atto di citazione, pervenendo all’individuazione della data del completamento dell’opera pubblica attraverso una valutazione complessiva di tutti gli elementi in suo possesso.

Tale apprezzamento non è in alcun modo inficiato dalla negazione dell’efficacia di piena prova al documento in questione, nè dalla provenienza dello stesso dalla medesima Amministrazione che se n’è avvalsa in giudizio, non escludendo tali circostanze la facoltà del giudice di merito di avvalersene quale elemento indiziario ai fini della formazione del proprio convincimento, in concorso con altri elementi acquisiti agli atti (cfr. Cass., Sez. 1^, 7 febbraio 2000, n. 1320, 20 aprile 1985, n. 2616, cit.).

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, la quale, al di là dell’erronea qualificazione del documento prodotto, appare sorretta da un percorso argomentativo di per sè idoneo a giustificare la decisione, indipendentemente dall’omessa valutazione delle ammissioni compiute dal convenuto nella comparsa di costituzione, la cui denunzia coinvolge un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. Quest’ultimo, infatti, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass., Sez. lav. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass., Sez. 3^, 24 maggio 2006, n. 12362).

2. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna L.G. e L. G. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, ivi compresi Euro 2.500,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

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