Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-02-2011, n. 901 Armi da fuoco e da sparo Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado M.G. ha impugnato il decreto in data 16 ottobre 2003, con il quale il Prefetto di Catanzaro aveva respinto la sua istanza per ottenere il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso difesa personale.

Si era ivi evidenziato che il M., incensurato e senza carichi pendenti, era titolare del detto permesso da numerosi anni, con rinnovo annuale; era titolare di un’attività concessionaria di vetture e motocicli e di un’agenzia di disbrigo di pratiche automobilistiche e, in quanto esposto al rischio di subire aggressioni e rapine, era legittimato ad ottenere il titolo abilitativo.

Con l’atto impugnato in primo grado, il Prefetto aveva negato il rinnovo del titolo e il M. aveva presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (Catanzaro) per violazione di legge ed eccesso di potere sotto varii profili.

Il Tribunale amministrativo, premesso un excursus circa giurisprudenza e dottrina, ha accolto l’impugnazione per carenza di motivazione: l’atto, infatti, si limitava ad affermare che la licenza di porto d’armi era stata a suo tempo concessa in considerazione dell’attività svolta, ma che dagli accertamenti svolti non si ravvisava la necessità per il M. (che pure continuava a svolgere l’attività di operatore commerciale) di girare armato.

La motivazione dell’atto, per la sentenza, non era esaustiva, sia per l’apoditticità delle affermazioni, sia perché non si esternavano le ragioni del mutamento di situazione soggettiva ed oggettiva: pur essendo consentito all’amministrazione di mutare opinamento, le ragioni dovevano essere spiegate al cittadino: ne conseguiva la illegittimità dell’impugnato decreto. Allo stesso M., poi, era stata riferita la frequentazione di soggetti pregiudicati e la sentenza ha ritenuto che, quanto all’essersi accompagnato il 27 novembre 1992 con tale Persico Francesco (con precedenti per ricettazione, usura, e favoreggiamento) era non soltanto fatto remoto, ma anche ininfluente, dato che al M. era stata accordata l’autorizzazione al porto dell’arma sino al 2003. Quanto all’essersi accompagnato il 26 dicembre 2002 con M. Salvatore, costui (mai condannato e soltanto denunciato per falsi e truffa) era il suo fratello germano ed era ben plausibile che l’incontro si inquadrasse in uno scambio di auguri legato alle festività natalizie.

La sentenza è stata appellata dall’Amministrazione, che ne ha contestato la fondatezza in quanto, tra l’altro, non aveva tenuto conto che l’atto erta stato adottato sulla base di un dato – proveniente dalla Questura di Catanzaro – secondo il quale, avuto riguardo alla complessiva situazione ambientale sociale e familiare, l’interessato, pur titolare di esercizio commerciale, non necessitava del porto d’arma.

L’errore consisteva semmai nelle pregresse abilitazioni legittimate dall’amministrazione; esse erano emendabili in autotutela, Ne discendeva comunque la correttezza dell’azione amministrativa contestata, fondata su complessive valutazioni, incentrate anche sulla circostanza che l’appellato si era accompagnato con pregiudicati.
Motivi della decisione

L’atto impugnato con il ricorso di base è il decreto 16 ottobre 2003, con cui il Prefetto di Catanzaro respinse l’istanza di M.G. di rinnovo della licenza di porto di pistola per uso difesa personale.

L’appello dell’Amministrazione contro la sentenza di accoglimento è infondato e va respinto.

Non è inutile rammentare che la revoca della licenza del porto di fucile costituisce esercizio del potere di cui all’art. 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, che implica una valutazione discrezionale sull’affidabilità del titolare della licenza ai fini dell’uso dell’arma (Cons. Stato, VI, 22 maggio 2006, n. 2945). Pertanto sono legittimi il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e la revoca del permesso al porto di pistola disposti sulla base di fatti i quali, nell’apprezzamento dell’amministrazione, possono indurre in quel momento ad ipotizzare un uso improprio dell’arma in modo da non recare danno ed altri (es. Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006, n. 3992). Quanto agli elementi di fatto da valutare, ai fini della revoca del porto d’armi è sufficiente che sussistano elementi indiziari circa la mera probabilità di un abuso dell’arma da parte del privato (es. Cons. Stato, VI, 7 novembre 2005, n. 6170). Quanto alle condotte possibili a base della revoca,è consolidata la tesi (che vi comprende anche le mere disattenzioni e le mancanze di diligenza) per cui ai fini della revoca del porto d’armi, "abuso" dell’arma non è solo il suo uso illegittimo, ma anche l’omissione delle cautele per impedire che persone diverse dal titolare possano impadronirsene e servirsene (Cons. Stato, I, 10 giugno 1977, n. 1538).

In sintesi, in tema di concessione della licenza di porto d’armi ai sensi dell’art. 42 r.d. n. 773 del 1931, l’apprezzamento discrezionale che compete all’Amministrazione si incentra su una valutazione di concreta affidabilità del soggetto circa la possibilità di un abuso dell’arma che domanda di essere autorizzato a portare, o a portare ulteriormente. Dunque, anche in riferimento alla norma generale dell’art. 11 circa le e autorizzazioni di polizia, la licenza di porto d’armi va negata a quanti non danno affidamento di non abusare delle armi, in riferimento alle superiori esigenze dell’ordine e della sicurezza pubblica e della prevenzione del danno a terzi da indebito uso e inosservanza degli obblighi di custodia, della prevenzione di reati agevolati dal mezzo di offesa.

Pertanto, il rilascio di siffatta licenza postula che, nella valutazione discrezionale dell’Amministrazione, il soggetto risulti indenne da mende, osservi una condotta di vita improntata a osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile: elementi dai quali può essere dato trarre la ragionevole convinzione che non siano ravvisabili sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma.

Siffatta valutazione amministrativa – che cautela l’interesse pubblico mediante un giudizio prognostico che, ex ante, tale da portare ad escludere la possibilità di un abuso – è per sua natura di lata discrezionalità, e il suo esercizio è suscettibile di sindacato solo riguardo all’eventuale uso distorto.

Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza qui impugnata dall’Amministrazione, pare aver esattamente colto la contraddizione dell’azione amministrativa, consistente nell’avere ora escluso che il M. avesse necessità di essere autorizzato al porto della pistola a scopo di difesa, quando in passato (passato rispetto al quale nulla risulta mutato circa la professione dal medesimo esercitata) tale necessità era stata positivamente vagliata.

Quanto al richiamo agli atti istruttori sottesi al diniego, da un canto risulta da quelli che l’appellato M.G. non ha mai compiuto atti di abuso del titolo.

Sotto altro profilo, è emerso che l’episodio (la circostanza che l’ appellato si era accompagnato il 27 novembre del 1992 con tale Persico Francesco) che è stato posto a sostegno della revoca era (oltre che assai remoto) temporalmente antecedente al rilascio del titolo abilitativo, e non integrava una rilevante novità a fini del ritiro dell’abilitazione.

Quanto all’altro episodio assunto come elemento denotativo del pericolo di abuso, esattamente il primo giudice ha ritenuto che l’Amministrazione ne avesse compiuto una valutazione eccessiva: e ciò per l’effettiva scarsa, se non assente, valenza dimostrativa, trattandosi di un incontro breve intercorso con il fratello germano, in periodo natalizio, dal quale nessuna valutazione presuntiva negativa in pregiudizio di parte appellata poteva l’Amministrazione far discendere in senso concludente.

Deve poi rimarcarsi che entrambi i soggetti con i quali l’appellato M.G. si era brevemente intrattenuto, non avevano precedenti penali per reati di criminalità organizzata, da potere fare ipotizzare cointeressenze associative che in qualche modo potessero coinvolgerlo.

Non è in discussione il potere dell’amministrazione di revocare il titolo in esame; ma il modo illegittimo con cui si è nella specie proceduto.

Esattamente, ritiene il Collegio, il Tribunale amministrativo regionale ha riscontrato l’assenza di un’adeguata motivazione nella deliberazione: al di fuori di generiche considerazioni, non è stata prospettata una ragione riferita al titolare che esternasse perché costui – che del titolo abilitativo non risultava aver mai abusato – non fosse realmente meritevole del rinnovo (e ciò rimanendo immutate le condizioni sottese al provvedimento di rilascio e relative alla professione da questi esercitata).

L’atto di appello fa generico riferimento alla lata discrezionalità posseduta dall’Amministrazione in materia, ma in concreto non indica elemento alcuno che giustifichi in modo convincente la mutata valutazione sottesa al provvedimento reiettivo impugnato: né il richiamo agli "atti istruttori" sottesi al provvedimento contiene elementi atti a dimostrare un mutamento della situazione di fatto rilevante e tale da giustificare la mutata valutazione del Prefetto.

La valutazione del primo giudice resiste dunque alle censure dell’appello, il quale va respinto..

Sussistono nondimeno le condizioni di legge per opportunamente compensare le spese processuali delle parti, a cagione della complessità in fatto delle questioni trattate.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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