Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-02-2011) 16-02-2011, n. 5794

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1.7.2008, il Tribunale di Palermo dichiarò:

– C.P. e Mu.Vi. responsabili del reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies (capo a);

– C.P. e M.A. responsabili del reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies (capo b);

– C.P. responsabile del reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies (capo c);

– C.P. responsabile del reato di cui all’art. 81 c.p., L. n. 646 del 1982, artt. 31 e 32 (capo d);

unificati sotto il vincolo della continuazione i reati ascritti a C.P. e – concesse le attenuanti generiche a M. A. ed a Mu.Vi. – condannò:

C.P. alla pena di anni 3 di reclusione;

M.A. e Mu.Vi. alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione ciascuno, pena sospesa per entrambi.

Con la sentenza fu ordinata la confisca di due appartamenti.

Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 17.2.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarò non doversi procedere nei confronti di M.A. e Mu.Vi. per essere i reati loro ascritti estinti per intervenuta prescrizione.

Ricorrono per cassazione il difensore dell’imputato C. P., nonchè M.A. e Mu.Vi. personalmente.

Il difensore di C.P. deduce:

1. violazione di legge ( L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies) e vizio di motivazione in relazione alla disposta confisca dei beni in quanto il ricorrente avrebbe fornito prova della genesi dei beni connessa agli immobili oggetto di confisca; la prova circa la sproporzione fra i beni ed il reddito grava sull’accusa; nel caso in cui venga fornita tale prova sussiste una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale che può essere superata da specifiche e verificate allegazioni dell’interessato; nella sentenza impugnata non vi è indicazione di alcun nesso tra l’attività delittuosa addebitata a C. successivamente ed i beni, nè alcuna indicazione circa la sproporzione fra la capacità reddituale di C. e la realizzazione dell’immobile; in particolare non vi è alcuna valutazione in ordine all’acquisto del terreno ed ai fatti che provano l’origine e la liceità del bene; è altresì omessa ogni valutazione dell’assenza di rapporto tra gli esborsi ed il reato contestato, commesso 25 anni dopo;

2. violazione di legge ( L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies) e vizio di motivazione in quanto l’affermazione di responsabilità di C. per aver fittizziamente intestato ai suoceri M. V. e M.A., tramite la moglie Mu.An.Ma., sua procuratrice speciale fin dal 1995, un appartamento ciascuno, ravvisando l’elemento soggettivo del reato sulla scorta di presunzioni o supposizioni e trascurando che il procedimento di prevenzione nei confronti di C. si era già concluso e non considerando che la presunzione di illegittima acquisizione deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale; è stata trascurata la doglianza svolta nei motivi di appello circa la mancanza di prova sulla incapacità reddituale dei suoceri; peraltro in contrasto con le emergenze processuali sarebbe l’aver ritenuto inverosimile che i due M. avessero speso risparmi accantonati a seguito del lavoro svolto nella fabbrica di mattoni del padre di Mu.Vi.; sarebbe stato travisato il dato probatorio relativo all’aver i suoceri aiutato la figlia, sicchè tali aiuti sarebbero da porre in conto dell’acquisto degli immobili;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità di C. per il reato di cui all’art. 81 c.p., L. n. 646 del 1992, artt. 30 e 31 per aver omesso la comunicazione della variazione patrimoniale conseguente alla alienazione dell’immobile di cui al capo C); nei motivi di appello era stata dedotta la mancanza del dolo e l’ignoranza della legge penale, ma sul punto manca del tutto motivazione;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in ragione del diniego delle attenuanti generiche nonostante gli argomenti dedotti dalla difesa nell’appello.

M.A. e Mu.Vi., con distinti ricorsi di identico contenuto, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata revoca della confisca pur essendo stata pronunziata sentenza di non doversi procedere per essere il reato a ciascuno di loro ascritto estinto per prescrizione.

Vero che la confisca è stata disposta anche nei confronti di C.P., ma ciascuno di essi ha interesse a vedere eliminato il provvedimento di confisca in quanto, ove venisse meno il provvedimento di confisca disposto nei confronti di C. P., gli immobili dovrebbero essere restituiti.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C. P. è manifestamente infondato per la parte in cui deduce violazione di legge e generico per la parte in cui deduce vizio di motivazione.

In ordine alla dedotta violazione di legge va ricordato che la condanna per uno dei reati indicati nel D.L. n. 306 dell’8 giugno 1992, art. 12 sexies, commi 1 e 2, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356 (modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorchè, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi.

Di talchè, essendo irrilevante il requisito della "pertinenzialità" del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 920 del 17.12.2003 dep. 19.1.2004 rv 226490).

D’altro canto, al fine di "giustificare la provenienza" dei beni che sono confiscabili ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 "sexies" convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, come introdotto dal D.L. 22 febbraio 1994, n. 123 (non convertito) e D.L. 22 aprile 1994, n. 246, art. 2 non è sufficiente l’esibizione di atti giuridici d’acquisto, stipulati a norma di legge e debitamente trascritti, perchè in tal modo non si da conto della provenienza dei mezzi impiegati per l’acquisizione dei beni di valore sproporzionato alle proprie possibilità economiche; occorre invece che il condannato per taluno dei delitti espressamente indicati nella suddetta disposizione legislativa fornisca esauriente spiegazione della lecita provenienza dei beni di valore non proporzionato al proprio reddito o alla propria attività, dimostrando la loro derivazione da legittime disponibilità finanziarie. (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 2761 del 2.6.1994 dep. 17.6.1994 rv 198159).

In relazione al dedotto vizio di motivazione, va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.

Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Nel motivo di ricorso si afferma che sarebbe stata data ampia prova con elemento documentali e prove testimoniali, (testi F., Fu., B.) della genesi dei beni.

Peraltro il ricorso si limita ad indicare il verbale di udienza 18.3.2008 senza trascrivere o allegare le dichiarazioni di tali testimoni o i documenti che si assumono trascurati.

Ciò determina la genericità del ricorso.

Questa Corte ha infatti affermato che, in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 37982 del 26.6.2008 dep. 3.10.2008 rv 241023).

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di C. P. è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto priva di prova la tesi dell’acquisto reale dei beni del ricorrente da parte dei genitori della moglie sia perchè non vi era alcuna prova documentale delle disponibilità finanziarie in capo a costoro (p. 6 sentenza impugnata), sia perchè il loro redditi erano modestissimi (p 8 sentenza impugnata).

Inoltre M.A. non ha saputo indicare la somma pagata in contanti e la banca che aveva emesso gli assegno (p. 10 sentenza impugnata).

Quanto all’elemento soggettivo, la Corte territoriale lo ha desunto dall’intervenuta condanna per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e della consapevolezza in capo a C. delle conseguenze relative, così decidendo di trasferire fittiziamente i beni ai genitori della moglie per sottrarli a provvedimento ablativo (p. 6 sentenza impugnata).

In tale argomentazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Il terzo motivo di ricorso di C.P. è generico.

Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "in tema di ricorso per cassazione, i relativi motivi non possono limitarsi al semplice richiamo "per relationem" ai motivi di appello, allo scopo di dedurre, con riferimento ad essi, la mancanza di motivazione della sentenza che si intende impugnare.

Requisito, infatti, dei motivi di impugnazione è la loro specificità, consistente nella precisa e determinata indicazione dei punti di fatto e delle questioni di diritto da sottoporre al giudice del gravame.

Conseguentemente, la mancanza di tali requisiti rende l’atto di impugnazione inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre effetti diversi dalla dichiarazione di inammissibilità".

(Cass. Sez. 5^ sent. 2896 del 9.12.1998 dep. 3.3.1999 rv 212610).

Il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di C. P. è manifestamente infondato.

In proposito va ricordato che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime". (Cass. Sez. 2^ sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).

Nel caso di specie tale elemento è stato comunque indicato nell’intensità del dolo e nei gravi precedenti penali e, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, "in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità".

(Cass. Sez. 4^ sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

I ricorsi proposti da M.A. e Mu.Vi. sono manifestamente infondati.

Nei ricorsi si cita la sentenza di questa Corte Sez. 5^, n. 19504 del 16.4.2010. dep. 21.5.2010.

Tale sentenza si limita però ad affermare che nel caso esaminato il bene era contemporaneamente oggetto di un duplice titolo cautelare reale: l’uno eseguito nei confronti del titolare formale del bene e l’altro, disgiunto, riguardante altro indagato sicchè che la prescrizione ipotizzata dal giudice cautelare in favore dell’indagato faceva escludere allo stato la legittimità del sequestro operato in riferimento alla ipotesi di reato che lo riguarda.

Ciò è vero per la misura cautelare reale, ma non per la confisca, la quale, una volta disposta nei confronti di taluno dispiega efficacia nei confronti di tutti coloro che sono stati parte nel processo. (V. Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 34705 in data 11.7.2001 dep. 24.9.2001 rv 219862: "Il provvedimento di confisca della cosa sequestrata, contenuto nella sentenza di condanna o di proscioglimento, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione. Ne deriva che solamente i terzi che non abbiano rivestito la qualità di parte nel processo in cui sia stata disposta la confisca sono legittimati a far valere davanti al giudice dell’esecuzione i diritti vantati su un bene confiscato con sentenza irrevocabile".

Tutti i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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