Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 7128 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.G. ha chiesto, con ricorso del 20 giugno 2007, alla Corte d’appello di Napoli di condannare il Ministero della Giustizia a corrispondergli "quello che riterrà di ragione, tenendo conto dei parametri stabiliti dalla C.E.D.U.", a titolo di equa riparazione per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivatigli dalla irragionevole durata del processo da lui introdotto davanti al Tribunale di Salerno con citazione del 17 dicembre 1992, in opposizione a decreto ingiuntivo per un credito professionale dell’Ing. B.V., di L. 14.404.601, concluso in primo grado da sentenza del 22 giugno 2006 di accoglimento dell’opposizione.

La Corte d’appello, con il decreto di cui in epigrafe, computata la complessiva durata del processo presupposto in anni 11 e mesi 8 e ritenuta equa una durata di anni tre per il primo grado che ha esaurito l’intero giudizio, ha riconosciuto il solo danno non patrimoniale, liquidandolo in Euro 800,00 all’anno, oltre agli interessi legali dalla domanda e determinando l’equo indennizzo in complessivi Euro 6.930,00, condannando il Ministero convenuto a pagare, in relazione all’esito della lite solo in parte favorevole all’attore, la metà delle spese del processo. Per la cassazione di tale decreto il P. ha proposto ricorso di cinque motivi, cui ha resistito il Ministero della giustizia con controricorso.
Motivi della decisione

1.1. Il primo motivo di ricorso del P. lamenta violazione della L. n. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per avere la Corte di merito liquidato il danno non patrimoniale, non uniformandosi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (da ora C.E.D.U.), che fissa in una somma da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00 annui i parametri entro i quali può ritenersi reintegratorio di tale specifico pregiudizio l’equo indennizzo, dai quali il decreto impugnato immotivatamente si discosta.

1.2. Il secondo motivo dell’impugnazione denuncia le carenze motivazionali del decreto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo disapplicato i parametri di cui al primo motivo solo per la scarsa rilevanza degli interessi in gioco, senza considerare le condizioni economiche del ricorrente, che rendevano particolarmente angosciosa la sua attesa della soluzione della causa, relativa a una somma significativa per le condizioni socio-economiche dell’istante e i tempi e le circostanze a cui si riferiva la vertenza relativa a competenze professionali di un tecnico, per la ricostruzione d’un fabbricato rurale dopo il terremoto del 1980 in Campania.

1.3. In ordine alle spese di causa, il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso ad esse relativi, possono esaminarsi insieme.

Essi censurano il decreto della Corte di merito, per avere disapplicato gli artt. 91 e 92 c.p.c. e il principio di soccombenza, nel disporre la parziale compensazione delle spese, denunciando la carente motivazione di tale scelta, perchè generica e contraddittoria (quarto motivo) e la violazione delle tariffe, pure con la riduzione alla metà disposta nel merito, in ordine ai diritti di avvocato, per le ventidue voci di prestazioni per i quali gli stessi spettavano al difensore.

Il Ministero controricorrente contesta le deduzioni del P. in specie circa le voci per le quali sono chiesti i diritti e domanda il rigetto del ricorso e la conferma del decreto impugnato.

2.1. In ordine al primo e secondo motivo di ricorso, il concreto discostamento dai minimi previsti di liquidazione del danno non patrimoniale per ingiusto ritardo del processo viene giustificato dal decreto impugnato per la esiguità della posta in gioco, in rapporto alla "contenuta rilevanza degli interessi" controversi.

Il decreto liquida l’indennizzo per danno non patrimoniale in Euro 800,00 annui, discostandosi di poco dai minimi di Euro 1.000,00 della C.E.D.U., con una valutazione che si fonda non solo sulla misura non elevata del credito controverso nel processo presupposto, ma anche sul fatto che le opere per le quali era chiesto il pagamento delle prestazioni professionali del creditore riguardavano lavori eseguiti con il contributo della L. n. 219 del 1981, per cui la somma dovuta dal ricorrente era solo una parte di quella pretesa con l’ingiunzione da questo opposta, comunque revocata in accoglimento della opposizione del P. che negava l’esistenza del diritto del professionista. La controversia in sostanza riguarda la parte di credito professionale non coperta dal contributo statale per la ricostruzione di cui alla L. n. 219 del 1981 e comunque l’accoglimento dell’opposizione evidenzia l’insussistenza del credito azionato nel processo presupposto, per cui la rilevata modestia della posta in gioco da parte del giudice di merito non risulta scalfita dal ricorso, che non specifica le circostanze che evidenzierebbero le condizioni socio – economiche particolarmente precarie del P., comunque proprietario del fabbricato rurale ristrutturato per il quale si pretendeva il compenso professionale, non risultando quindi le ragioni per le quali l’attesa dell’esito del giudizio abbia potuto determinare in lui particolare ansia o angoscia.

In tale contesto la riduzione ad 800,00 annui disposta nel merito della liquidazione dell’equo indennizzo si conforma a precedenti di questa Corte (Cass. 8 luglio 2009 n. 16086) e si allontana di poco dal criterio prevalente di determinazione di tale danno, successivamente adottato da questa stessa Corte (Cass. 4 ottobre 2009 n. 21840): quindi, i primi due motivi del ricorso devono rigettarsi, perchè infondati.

2.2. In ordine alle spese del giudizio, la eccezionale parziale compensazione di esse appare giustificata con il solo parziale accoglimento della domanda e con il richiamato comportamento processuale del convenuto Ministero della giustizia, che già nel merito si è rimesso alla decisione della Corte d’appello sulla generica domanda di equo indennizzo della controparte.

In ordine alla dedotta violazione delle tariffe professionali per i diritti, il ricorso non appare autosufficiente in quanto, come rileva il controricorrente, non necessariamente la Corte di merito doveva riconoscere tutte le voci per le quali tali diritti furono richiesti e, in ogni caso, ciò potrebbe essere accaduto solo se vi sia stata una nota spese di parte che le riportava, circostanza questa di cui neppure è cenno in ricorso che, per tale profilo, non è autosufficiente.

In tale contesto nulla esclude che alcune delle ventidue voci della tariffa elencate in ricorso non siano state riconosciute come prestazioni effettive del professionista dal giudice del merito che solo può valutarle, per cui non può ritenersi necessariamente incongrua la liquidazione delle spese nel giudizio di merito ridotta alla metà per i diritti, in difetto della prova di una eccessiva riduzione di esse in rapporto a prestazioni effettivamente attuate, per le quali non è neppure dedotto essersi avuta richiesta dal difensore del P. delle somme pretese con una specifica nota spese.

Il ricorso deve quindi essere rigettato e le spese del presente giudizio, per la soccombenza, devono porsi a carico del ricorrente.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.000,00 (mille/00), di cui Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *