Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 7127

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato a mezzo posta il 26 – 27 novembre 2007 al P.G. presso la Corte d’appello di Genova e al Ministero dell’interno una prima volta presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato della stessa città e, in sede di rinnovo di tale notificazione ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11 presso l’Avvocatura generale dello Stato in data 6 – 8 febbraio 2010, S.M.J., nato a (OMISSIS), chiede a questa Corte la cassazione della sentenza n. 979 del 7 ottobre 2006 della indicata Corte di merito la quale, rigettando il suo gravame, ha confermato la sentenza del locale Tribunale del 22 gennaio 2005, che aveva respinto la sua domanda di vedere riconosciuto il suo stato di cittadino italiano, per essere nato da madre già cittadina italiana, C. C.J., nata a (OMISSIS) da padre italiano ( C.A., nato a (OMISSIS) e deceduto in (OMISSIS)), avendo la stessa perduto la cittadinanza ai sensi L. 13 giugno 1912, n. 555, art. 10 per avere contratto matrimonio con un cittadino peruviano, dall’unione con il quale era nato l’istante.

L’attore aveva dedotto che la cit. L. del 1912, art. 10 e art. 1 sulla cittadinanza, norme che rispettivamente privavano della cittadinanza, indipendentemente dalla volontà della stessa, la donna coniugata con lo straniero e impedivano la trasmissione dello stato di cittadino ai figli nati da donna italiana, sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale, perchè in contrasto con la carta fondamentale, rispettivamente con le sentenze n.ri 87 del 16 aprile 1975 e 30 del 9 febbraio 1983.

Si sono ritenuti incostituzionali l’art. 10 citato, per la parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza per la donna senza il concorso della sua volontà e solo per il matrimonio con lo straniero, e l’art. 1 della previgente legge sulla cittadinanza, per la parte in cui non prevedeva l’acquisto della cittadinanza del figlio di madre cittadina italiana, acquistandosi invece lo stato solo dal padre. Il ricorso, notificato ritualmente al Ministero dell’interno presso l’Avvocatura Generale dello Stato con sanatoria retroattiva della nullità relativa della prima notificazione e illustrato da memoria, ha validamente instaurato il contraddittorio tra le parti e il Ministero dell’interno non si è difeso in questa sede di legittimità (Cass. 30 giugno 2006 n. 15062, 14 maggio 2005 n. 20000, 18 novembre 2003 n. 18191 e 3 marzo 1999 n. 1774).

L’istante è cittadino peruviano per la legislazione vigente alla data della nascita, e con la domanda introduttiva del presente giudizio ha chiesto gli fosse riconosciuta la cittadinanza italiana dalla nascita, denunciando, anche per il profilo della eventuale non manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale più violazioni di legge e insufficienze motivazionali della sentenza impugnata, che chiede di cassare perchè in contrasto con norme della carta costituzionale ( art. 9, 10 e 3 Cost.) e violativa della L. n. 151 del 1975, art. 219, comma 1, anche in rapporto alla L. n. 91 del 1992, che ha novellato la disciplina sulla cittadinanza, collegando alla sola dichiarazione della donna coniugata con lo straniero, il riacquisto, per lei e i suoi discendenti, della cittadinanza italiana; si sono poi denunciate le carenze motivazionali della pronuncia oggetto di ricorso.

L’impugnazione si articola in quattro motivi che lamentano la violazione delle citate norme di legge ordinaria, applicabili ratione temporis e l’eventuale loro contrasto con gli artt. 3, 9 e 10 Cost., chiudendosi con i seguenti quesiti di diritto: 1) se appaia non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 5 febbraio 1992, n. 92 sulla cittadinanza, che impone la dichiarazione della donna coniugata con lo straniero che per tale matrimonio abbia perso il suo stato di cittadina italiana per il riacquisto eventuale della cittadinanza, a differenza di altre ipotesi in cui si garantisce l’automatico riacquisto dello stato di cittadino a chi lo ha perso, per norme poi dichiarate illegittime dal giudice delle leggi, con la conseguenza che il soggetto, nato anteriormente al 1 gennaio 1948 da cittadina italiana, che abbia perso la sua cittadinanza a seguito di matrimonio con uno straniero, può riacquistare la cittadinanza italiana dalla madre, anche se questa non abbia espresso la volontà di recuperare tale stato con la dichiarazione di cui all’art. 219 della riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151 del 1975; 2) se la Corte d’appello non abbia immotivatamente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma citata del diritto di famiglia di cui al punto 1, sollevata dall’appellante; 3) se non siano incostituzionali le norme ordinarie di cui sopra, per non avere previsto una norma specifica che consenta al soggetto nato da donna italiana che ha perso la cittadinanza per matrimonio di lei con lo straniero, un modo di recuperare lo stato di cittadino senza la volontà della madre, per violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento della amministrazione; 4) se il mancato riconoscimento dello stato di cittadino italiano al figlio di donna coniugata con straniero, nel vigore della previgente L. n. 555 del 1912, non violi le norme già citate della Costituzione e le Convenzioni internazionali a tutela della parità delle posizioni di uomo e donna.

In complesso, il ricorrente deduce che le norme costituzionali richiamate dal giudice delle leggi con le sue sentenze sopra indicate in materia di cittadinanza contrastano con un rigetto della sua domanda di recupero dello stato di cittadino che, in base alla legge vigente, deve essere accolta per rispettare la parità di condizione dei cittadini senza distinzione di sesso, incidendo le norme della carta fondamentale nel sistema anche con effetto retroattivo, per essere poste a tutela della cittadinanza della donna, stato che è imprescrittibile, con irrilevanza conseguente delle norme ordinarie che, con disparità di trattamento tra i sessi, imponevano alla donna la perdita della cittadinanza per il matrimonio con lo straniero e determinavano il mancato acquisto dello stato di cittadino per il figlio nato da questa.

Il Ministero dell’interno non resiste in questa sede e il S. ha depositato memoria illustrativa della sua impugnazione ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente fondato, dovendosi osservare il seguente principio di diritto enunciato da S.U. 25 febbraio 2009 n. 4466, che ha risolto il contrasto precedente, in difformità da precedenti decisioni delle stesse sezioni unite: "Per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e 30 del 1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta L. n. 555 del 1912, ex art. 10 per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente alla data del 1 gennaio 1948, indipendentemente dalla dichiarazione da lei resa ai sensi della L. n. 151 del 1975, art. 219 in quanto l’illegittima privazione dello stato dovuta alla norma dichiarata incostituzionale, non si esaurisce con la perdita non volontaria di tale condizione dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre i suoi effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità dei sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli artt. 3 e 29 Cost. Ne consegue che la limitazione temporale della dichiarazione d’illegittimità costituzionale al 1 gennaio 1948, data di entrata in vigore della legge fondamentale, non impedisce il riconoscimento successivo dello status di cittadino, che ha natura permanente e imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo, salva l’estinzione di esso per effetto della rinuncia espressa dell’avente diritto. In applicazione del principio enunciato, pertanto, riacquista la cittadinanza italiana dal 1 gennaio 1948 anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della L. n. 555 del 1912, e tale diritto si trasmette ai suoi figli, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione dello stato di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto in assenza della legge discriminatoria" (in senso conforme cfr. Cass. 10 luglio 1996 n. 6297, 18 novembre 1996 n. 10086 e 22 novembre 2000 n. 15062 e contra S.U. 27 novembre 1998 n. 12602 e 19 febbraio 2004 n. 3331).

Adeguandosi all’orientamento ultimo delle sezioni unite, risolutivo di un preesistente contrasto, questa Corte non può che accogliere il primo motivo del ricorso nei sensi che precedono, con assorbimento di ogni problema di rilevanza e ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale prospettate in sede di merito e riproposte con il ricorso. Le incertezze esistenti alla data della domanda sulla risoluzione della controversia e che avrebbero comportato il rigetto della presente azione in base alla giurisprudenza prevalente alla data dell’atto introduttivo, consentono, eccezionalmente, di compensare interamente tra le parti le spese del giudizio in entrambi i gradi di merito e nella presente fase di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito sulla domanda del ricorrente, ai sensi dell’art. 384 c.p.c.:

a) accoglie la domanda di S.M., nato a (OMISSIS) e lo dichiara cittadino italiano;

b) ordina al Ministero dell’interno e, per esso, all’ufficiale dello stato civile competente, di procedere alle iscrizioni, trascrizioni e annotazioni di legge, nei registri dello stato civile, della cittadinanza italiana della persona sopra indicata, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti.

Compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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