Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 29-03-2011, n. 7100 Procedimento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con nota del 24.4.2009 il P.G. presso la Corte di Cassazione ebbe a promuovere azione disciplinare nei confronti del Dott. D. M.M., giudice presso il Tribunale di Roma, incolpandolo, tra l’altro e per quel che rileva, – dell’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e comma 1 e art. 2, comma 1, lett. A (capo B) per ritardi gravi ed ingiustificati nel compimento di atti d’ufficio consistiti nel mancato deposito, sino al 9.1.2009, delle motivazioni di 66 sentenze civili (assunte in decisione tra dicembre 2006 e luglio 2007), nel mancato deposito dei provvedimenti assunti in riserva in 74 cause civili tra novembre 2006 e luglio 2007, nel mancato deposito della motivazione di 8 provvedimenti in materia di locazione decisi nell’anno 2007; – dell’illecito di cui al D.Lgs. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. D per avere, con grave scorrettezza nei confronti del Presidente del Tribunale e del coordinatore della a.d. di Ostia, restituito i fascicoli dei procedimenti sopra indicati solo il 9.1.2009 ed a seguito di reiterate insistenze, altresì ignorando la formale richiesta 29.9.2008 del Presidente di fornire chiarimenti su detti processi entro giorni venti.

Con ordinanza 11.5.2009 la Sezione Disciplinare del C.S.M. accoglieva la richiesta del P.G. di disporre la sospensione dell’incolpato.

Disposta la sospensione dei termini in ordine al capo A), per il quale il magistrato era sottoposto a procedimento penale, il Dr. D. M. era tratto al giudizio della Sezione Disciplinare e si celebrava il dibattimento con interrogatorio dell’incolpato ed acquisizioni documentali.

Con sentenza 15 giugno depositata il 29 Luglio 2010 la Sezione ha dichiarato l’incolpato responsabile delle incolpazioni ascritte ed ha inflitto la sanzione della sospensione dalle funzioni per un anno e mesi sei.

Nella motivazione della decisione, la Sezione Disciplinare dopo aver richiamato gli incontestati episodi di mancato deposito e mancata decisione e la reiterata e sempre frustrata insistenza del capo dell’Ufficio ad ottenere spiegazioni, nonchè la conclusione della vicenda, avveratasi con la riconsegna dei fascicoli, tutti privi di motivazione o decisione, solo in data 9.1.2009, ha:

– richiamato e condiviso le valutazioni formulate nella ordinanza di sospensione cautelare;

– dato atto della esistenza di un grave stato patologico a carico dell’incolpato ma escluso che esso avesse potuto escludere la sua capacità di intendere e di volere (come del resto emergeva dalla sentenza 80/2003 del CSM che lo aveva prosciolto da incolpazione afferente ben minori ritardi, e dalla decisione anteatta di non luogo a provvedere in data 28.5.1999, l’uno e l’altro provvedimento descriventi dati strutturali di scarsa produttività e di tempi redazionali illimitati);

– considerato al proposito che l’incidenza dello stato patologico era certamente esclusa dalla gravità, ingiustificatezza e sistematicità dei ritardi e dal rifiuto di offrire alcuna collaborazione in grado di ridurre i disagi cagionati al servizio e semmai consentiva di attenuare la severità della sanzione (altrimenti essa dovendosi irrogare con maggior severità), ferma restando la valutazione di tale stato in sede di possibile dispensa dal servizio (valutazione in atto in altra sede e che si muoveva su piani diversi da quelli afferenti la valutazione sottoposta);

– affermato che dalla gravità, reiterazione ed ingiustificatezza dei ritardi derivava la certa responsabilità per la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. Q (esclusa quella di cui alla lett. A) e che la reiterata e immotivata resistenza alle richieste di restituzione dei fascicoli provenienti dal capo dell’Ufficio integrava certamente la responsabilità per la contestata violazione dell’art. 2, comma 1, lett. D della rubrica.

Per la cassazione di tale sentenza il dr. D.M. ha depositato in data 12.10.2010 ricorso nel quale ha denunziato violazione delle norme applicate e contraddittorietà della motivazione: ad avviso del ricorrente l’avere affermato la sussistenza del grave stato patologico era di per sè in contraddizione con la susseguente affermazione di diniego della sussistenza di causa di esonero dalla responsabilità; anzi, la successiva precisazione per la quale la estrema gravità e consistenza dei ritardi superava ogni limite di tollerabilità, rivelava ancor più la violazione commessa là dove faceva dipendere la sussistenza di una esimente soggettiva dalla gravità dell’illecito ascritto. Contraddittoria era anche la affermazione per la quale premesso che lo stato di salute andava valutato quoad poenam si riteneva equo irrogare la sospensione e comminarne una entità consistente.
Motivi della decisione

Giova preliminarmente esprimere dissenso dalle considerazioni svolte dal Requirente P.G. in discussione, per le quali sarebbe passibile di declaratoria di inammissibilità un ricorso sottoposto alle regole di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, e quindi tenuto alla denunzia di violazioni riconducibili all’art. 606 c.p.p. che sia, come nella specie, costruito alla stregua del ricorso denunziante i vizi di cui all’art. 360 c.p.c.: la rubrica della censura appare infatti, se pur erronea nella intitolazione al codice di rito, affatto inconferente, posto che ai fini della ammissibilità e della fondatezza delle denunzie devesi far capo al contenuto logico giuridico delle denunzie stesse le quali saranno scrutinate alla stregua dei parametri posti dal ridetto art. 606 c.p.p.. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la sentenza della Sezione disciplinare abbia puntualmente applicato il disposto del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. A e Q e art. 2, comma 1, lett. D affermando, secondo principii anche di recente rammentati da queste Sezioni Unite (da ultimo in S.U. n. 508 del 2011 e n. 25305 del 2010), che gli incontestati ritardi nel deposito delle sentenze e delle ordinanze riservate fossero gravi, reiterati e privi di giustificazione, sì da cagionare in via automatica un indebito danno ai diritti delle parti (S.U. n. 14687 del 2010) e che, specularmente, indiscutibilmente grave fosse il fatto che il magistrato, reiterata mente invitato dal Capo dell’Ufficio a rendere i fascicoli dei procedimenti assunti in decisione, ciò avesse fatto soltanto a distanza di lungo tempo.

La attenta motivazione a sostegno di tale decisione, d’altro canto, non soffre nè della denunziata contraddizione nè di alcuna illogicità, resistendo quindi alle generiche critiche che le vengono rivolte.

Ed invero la Sezione Disciplinare ha considerato che la patologia neurologico – depressiva attingente l’incolpato non fosse di tale gravità da escludere la riferibilità soggettiva della gravissima negligenza addebitata, non avesse cioè raggiunto quel livello di incidenza sul comportamento del magistrato da giustificare la sua totale prolungata inerzia nel compiere i propri doveri: la Sezione ha invero rammentato come precedenti pronunzie del CSM del 1999 e del 2003 avessero prosciolto l’incolpato da addebiti per analoghe vicende di ritardi, valorizzando la sua cronica condizione depressiva, ma in un quadro di ben minori irregolarità comportamentali ed ha soggiunto che, nel nuovo quadro normativo, una ancor più larga e diffusa quantità di ritardi, inserita in una imperdonabile vicenda di totale assenza di collaborazione con i capi dell’ufficio, diveniva infrazione assolutamente inescusabile. La valutazione espressa nei sintetizzati termini appare immune da alcuna contraddizione interna, dando ragione della inidoneità della patologia cronicizzata a carico del magistrato a costituire, ancora una volta, ed a fronte della imponenza dei dati numerici e della inconcepibile neghittosità nel compiere l’elementare dovere di rendere sollecitamente i fascicoli trattenuti in decisione, scriminante del suo comportamento.

Appare quindi un inammissibile tentativo di sollecitare una diversa valutazione di tal vicenda la deduzione per la quale, una volta ammessa la esistenza della malattia – sulla idoneità della quale a impedire anche un minimo ordinato lavoro il ricorso appare, in realtà, privo di alcuna autosufficienza – tutti i comportamenti adottati, ivi compresa la abnorme scelta di non redigere nessun provvedimento tra tutti quelli assunti in decisione, sarebbero del tutto giustificati.

Quanto alla pretesa contraddizione con riguardo all’impatto limitato e distorto della patologia, che, secondo la sentenza impugnata, sarebbe valutabile solo quoad poenam, non si scorge alcuna contraddizione: la Sezione ha infatti affermato che la malattia non giustificava quei ritardi, di quella estensione numerica e di quella durata e tampoco la totale assenza di collaborazione, che anche un soggetto affetto da quei disturbi avrebbe potuto tempestivamente dare procedendo alla restituzione dei fascicoli onde consentire alle parti di ottenere, da altri, una decisione delle controversie; ma ha anche soggiunto che della condizione personale ben si poteva tenere conto quanto alla misura della sanzione, in tal modo formulando una affermazione che nè disvela contraddizione di sorta nè offre il fianco ad alcuna censura da parte del soggetto che sia stato interessato dalla predetta mitigazione. Affatto inammissibile è poi la doglianza sulla attribuzione della responsabilità per la infrazione di cui all’art. 2, comma 1, lett. D in disamina, posto che essa è fondata su una personale ricostruzione della vicenda soggettiva, che sarebbe stata animata da un proprio personale intendimento di non aggravare, con la restituzione dei fascicoli, i colleghi dell’Ufficio: si tratta di una ricostruzione che, ben prima che affatto implausibile, non si traduce nella denunzia di alcun vizio di motivazione. Generiche e meramente valutative sono infine le doglianze sulla "severità" della pena irrogata e prive, di alcun fondamento quella sulla pretesa ostativita, alla irrogazione di sanzioni, della pendenza di procedimento di dispensa per incapacità (stante la totale diversità dei piani di intervento delle due procedure). Rigettato il ricorso non è luogo a regolare le spese.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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