T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 11-02-2011, n. 1342 Pensione di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone il ricorrente – già dipendente dell’Ufficio Italiano Cambi, ora Banca d’Italia – di aver chiesto, in data 13 febbraio 2009, il riconoscimento:

– della pensione diretta di invalidità, non per causa di servizio, nella parte eccedente l’importo corrisposto dall’INPS per il periodo di servizio effettivamente prestato alle dipendenze dell’UIC (5 gennaio 1982 – 30 giugno 1999)

– e dell’integrazione dell’indennità di anzianità, a partire dalla data di collocamento a riposo (1° luglio 1999)

ai sensi, rispettivamente, degli artt. 14 n. 2 e 19 del Regolamento del Trattamento di quiescenza dell’UIC.

Con il provvedimento ora impugnato, la Banca d’Italia ha respinto la suindicata istanza, osservando che il ricorrente era cessato dal servizio a seguito di collocamento a riposo d’ufficio per raggiunti limiti di età e non per cessazione a domanda per inabilità, senza aver maturato l’anzianità minima (20 anni) per il riconoscimento del diritto alla pensione integrativa.

Questi i motivi di censura dedotti con il presente gravame:

Violazione e falsa applicazione del Regolamento del Personale dell’UIC del luglio 1992, nei suoi artt. 35, 79 e 82 e del Regolamento per il Trattamento di quiescenza del personale, art. 14 n. 2. Eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, contraddittorietà fra atti e nella motivazione, difetto assoluto di motivazione.

Confuta in primo luogo l’assunto della Banca d’Italia, secondo cui soltanto in costanza di rapporto di impiego può essere chiesta la cessazione dal servizio per inabilità.

Si assume, al riguardo, che la richiesta da ultimo indicata integra una mera facoltà – e non certo un obbligo – del dipendente; escludendosi che sia rinvenibile alcuna disposizione regolamentare che imponga che l’effettuazione dei relativi accertamenti debba obbligatoriamente intervenire in costanza di rapporto di impiego.

Al contrario, la domanda rivolta a conseguire la pensione di invalidità ben potrebbe essere proposta anche successivamente alla cessazione del rapporto anzidetto, attesa l’attribuibilità "d’ufficio" della pensione di invalidità a seguito degli accertamenti disposti dall’Istituto.

In tal senso, sarebbe del tutto priva di fondamento l’asserzione, pure esplicitata dalla Banca d’Italia, circa la pretesa immodificabilità della causa di cessazione del rapporto di lavoro: per effetto di tale tesi escludendosi che sia la domanda di cessazione, sia i conseguenziali accertamenti, debbano intervenire necessariamente prima della cessazione stessa.

Militerebbe, in senso favorevole rispetto alla tesi propugnata dal ricorrente, il contenuto della circolare del Ministero del Tesoro n. 57 del 24 giugno 1998, nonché un’interpretazione giurisprudenziale che ha confermato la possibilità di presentare la domanda di accertamento dello stato di inabilità anche in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

La Banca d’Italia, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

Con ordinanza n. 3870 del 3 agosto 2009 la Sezione ha dato formalmente atto della rinunzia, da parte del ricorrente, alla domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, proposta in via incidentale, giusta dichiarazione resa a verbale dell’udienza camerale dal procuratore in giudizio dell’avv. P..

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 9 febbraio 2011.
Motivi della decisione

1. Giova precisare, ad integrazione di quanto esplicitato in narrativa, che l’avversata determinazione in data 1° giugno 2009 – con la quale la Banca d’Italia ha dichiarato insuscettibile di accoglimento l’istanza dall’avv. P. presentata il precedente 13 febbraio – è essenzialmente incentrata sull’affermata esigenza che la domanda di cessazione dal servizio per inabilità debba essere presentata, da parte del dipendente interessato, esclusivamente in costanza di rapporto di impiego.

In ragione di tale presupposto, la Banca d’Italia ha conseguentemente ritenuto che la suindicata richiesta – formulata dall’odierno ricorrente in data largamente successiva al collocamento a riposo dello stesso per raggiunti limiti di età – non potesse incontrare esito favorevole.

Nella circostanza, l’Istituto ha altresì soggiunto che le indicazioni di cui alla circolare del Ministero del Tesoro n. 57 del 24 giugno 1998 (dall’interessato evocate a fondamento dell’istanza di che trattasi, segnatamente sotto il profilo della formulabilità della domanda di riconoscimento della cessazione dal servizio per inabilità anche in epoca successiva alla conclusione del rapporto di lavoro) non potessero trovare applicazione alla fattispecie de qua in quanto:

– la normativa come sopra evocata si riferirebbe esclusivamente al riconoscimento della pensione di inabilità nelle forme obbligatorie di previdenza cd. "esclusive" e non sarebbe, pertanto, operante, con riferimento ai trattamenti pensionistici integrativi erogati da UIC e Banca d’Italia;

– il D.M. 8 maggio 1997 n. 187 (del quale la circolare di che trattasi costituisce documento illustrativo) impone la risoluzione del rapporto per infermità non dipendenti da causa di servizio, nonché l’accertamento dello stato di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa in conseguenza dell’infermità che ha dato luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro: circostanza, quest’ultima, che preclude l’operatività delle relative disposizioni al caso dell’avv. P., la cui cessazione dal servizio non è intervenuta per inabilità riconosciuta a domanda.

2. Come sopra doverosamente puntualizzati i termini essenziali di riferimento della sottoposta controversia, le censure articolate con il presente mezzo di tutela non rivelano condivisibile fondatezza.

Va in primo luogo osservato come l’art. 14 n. 2 del Regolamento per il trattamento di quiescenza del personale dell’Ufficio Italiano Cambi prevedesse che "ha diritto alla pensione diretta di che alla lett. a) dell’art. 2… il dipendente che cessi dal servizio e… abbia un periodo di servizio utile non inferiore a 5 anni e sia riconosciuto inabile a prestare ulteriore servizio, per infermità, difetti fisici, o altri motivi di salute, non accertati all’atto dell’assunzione e non derivanti da causa di servizio".

Tale disposizione, invero, è insuscettibile di applicazione se non – doverosamente – coniugata con la previsione dettata dal Regolamento del personale UIC all’art. 77, comma 1, alla stregua della quale "può chiedere di cessare dal servizio per inabilità" il dipendente che, "per infermità, difetti fisici o altri motivi di salute, non sia più in grado di adempiere ai propri compiti".

Nell’osservare come il successivo comma 2 disponga che "l’accertamento delle condizioni di salute è fatto nei modi previsti dall’art. 31 e la cessazione è disposta dal Consiglio di Amministrazione", va escluso che, alla stregua dei referenti regolamentari come sopra riportati (e non impugnati, in parte qua, dall’odierno ricorrente), possa convenirsi con la propugnata tesi in ordine alla proponibilità (ed alla conseguenziale accertabilità) in ogni tempo, della presenza di una causa di inabilità suscettibile di determinare la cessazione del rapporto, laddove quest’ultima – come appunto nel caso in esame – sia già intervenuta a fronte di diverso fondamento giustificativo (nella fattispecie: raggiungimento del limite massimo di età per la permanenza in servizio).

Militano in tal senso non soltanto le previsioni regolamentari sopra riportate – il cui chiaro senso impone di dare atto dell’esigenza di presentazione della domanda di cessazione dal servizio per inabilità in costanza del rapporto di impiego – ma la ratio stessa della previsione, integrante un vero e proprio principio ordinamentale, sostanziata dalla preclusa formulabilità, una volta che il rapporto stesso sia cessato (e, quindi, siano venuti meno gli effetti ad esso riconducibili), di istanze volte a porre nuovamente in discussione il fondamento giuridico della causa di cessazione, ormai cristallizzatosi ed insuscettibile di essere posto in discussione.

Altrimenti opinandosi, verrebbe a configurarsi, nella mera disponibilità del(l’ex) dipendente, la possibilità di esercitare in ogni tempo – e, comunque, anche oltre la cessazione del rapporto in precedenza intrattenuto con una Pubblica Amministrazione – pretese volte a riconfigurare la causa di cessazione, con riveniente vulnerazione non soltanto del principio di stabilità dei rapporti giuridici, ma anche del principio, di rango costituzionale, di buon andamento della P.A.

3. Le considerazioni sopra rassegnate trovano indiretta – ma concludente – conferma in una (pur non recente) decisione del Consiglio di Stato, che ha – omogeneamente – escluso la possibilità di rimettere in discussione la causa di cessazione del rapporto di impiego successivamente all’estinzione di quest’ultimo.

Con sentenza n. 5252 del 4 ottobre 2002, la Sezione VI – in una vicenda contrassegnata dalla intervenuta cessazione di un rapporto di impiego pubblico per dimissioni volontarie del dipendente; e dalla richiesta, da quest’ultimo avanzata successivamente al collocamento a riposo, di conseguire la dispensa dal servizio per inabilità – ha escluso che al sollecitato provvedimento di dispensa (avente carattere costitutivo) possa essere attribuita decorrenza anteriore alla data della sua emanazione.

Nel rilevare, ulteriormente, come la determinazione di diversa individuazione causale della ragione del collocamento a riposo verrebbe ad incidere "su di una fattispecie già conclusa con la cessazione dal servizio per altra causa", il giudice d’appello ha affermato che la presenza di un rapporto già estinto, per anticipata e volontaria cessazione, determina la giuridica impossibilità di promuoverne, a mezzo di una richiesta di diversa allocazione causale della relativa cessazione, una pratica "reviviscenza": dimostrandosi, conseguentemente, intangibile l’intervenuta estinzione del rapporto stesso, ancorché ai soli fini di promuovere la valutabilità della presenza di altra causa di cessazione.

4. Se le considerazioni sopra esposte inducono il Collegio a dare atto dell’infondatezza della pretesa sostanziale dal ricorrente fatta valere (escludendosi, per l’effetto, che l’effetto estintivo del rapporto, inoppugnabilmente prodotto, possa essere successivamente alla cessazione dello stesso essere rimesso in discussione), deve, ulteriormente, confutarsi la rilevanza – dal ricorrente stesso valorizzata – che, relativamente alla dedotta fattispecie, assumerebbero le indicazioni di cui alla circolare del Ministero del Tesoro del Tesoro n. 57 del 24 giugno 1998.

Vanno condivise, in argomento, le osservazioni esplicitate nel provvedimento gravato, laddove – in primo luogo – viene posto in evidenza come le relative disposizioni, in quanto riferite esclusivamente al riconoscimento della pensione di inabilità nelle forme obbligatorie di previdenza cd. "esclusive", non possono trovare applicazione (in ragione della evidente inassimilabilità dei relativi presupposti) anche con riferimento ai trattamenti pensionistici integrativi erogati dall’Ufficio Italiano Cambi e dalla Banca d’Italia.

Inoltre, il D.M. 8 maggio 1997 n. 187 (al quale la circolare di che trattasi esplicitamente si riferisce, illustrandone la portata applicativa), contempla l’intervenuta cessazione del rapporto per infermità non dipendenti da causa di servizio, nonché l’accertamento dello stato di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa in conseguenza dell’infermità che ha dato luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro: circostanze, queste, che non ricorrono nella vicenda all’esame, atteso che il ricorrente avv. P. non è cessato dal servizio per inabilità riconosciuta a domanda.

Senza considerare che, giusta quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 4 del citato D.M. 187/1997, l’amministrazione è tenuta a respingere la domanda di pensione di inabilità "senza disporre l’accertamento sanitario… limitatamente ai casi di intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro alla data di presentazione della domanda".

5. Esclusa, sulla base delle indicazioni in precedenza fornite, la fondatezza degli esposti argomenti di doglianza, non può esimersi il Collegio dal disporre la reiezione dell’impugnativa.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna il ricorrente P.F. al pagamento delle spese di giudizio in favore della resistente Banca d’Italia per complessivi Euro 1.500,00 (euro mille e cinquecento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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