T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 11-02-2011, n. 267 Edilizia e urbanistica Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ale;
Svolgimento del processo

R.F. e G.M. sono proprietari di due immobili, adibiti a rispettive abitazioni, siti in Pedergnano di Erbusco ai civici 5 e 5 b di via Trieste, di fronte ad un edificio attualmente disabitato, distinto al locale catasto così come riportato in epigrafe, che riveste interesse storico e artistico in quanto già censito al catasto napoleonico del 1812 (doc. ti 2 e 3 ricorrenti, copia atto di proprietà abitazioni; doc. 12 b ricorrenti, copia mappa catastale storica), edificio per il quale la proprietaria E. S.n.c., odierna controinteressata, ha presentato il giorno 8 giugno 2006, col prot. n°8247, una DIA volta al recupero del sottotetto mediante una sopraelevazione (doc. ti d e c Comune, copie della DIA in questione e delle tavole di progetto).

Ritenendo l’intervento, localizzato in zona A- centro storico, categoria A3 (doc. d Comune citato, ove l’azzonamento), non conforme alle norme vigenti, e in ciò sostenuto anche da una petizione di cittadini in tal senso, R.F. ha invitato il Comune a sospendere l’efficacia della DIA e della relativa integrazione ad essa presentata con lettere 10 ottobre e 16 novembre 2006; ricevuta dal Comune stesso comunicazione di avvio del procedimento volto all’eventuale dichiarazione di inefficacia della DIA stessa, presentava poi in tale ambito le proprie osservazioni, sostenendo in sintesi estrema che la programmata sopraelevazione sarebbe stata non consentita in quanto superiore in altezza agli edifici storici circostanti, in particolare alla vicina chiesa di San Nicola; riceveva però all’esito il provvedimento meglio indicato in epigrafe, che ritiene non sussistenti i presupposti per la dichiarazione di inefficacia stessa, in quanto "l’edificio esistente antistante la chiesetta di San Nicola, posizionato fra la chiesetta e l’edificio oggetto di recupero del sottotetto è più alto della chiesetta, infatti si rileva un (recte: una altezza di) circa metri 8,90 in gronda e un (recte: una altezza di metri) 10 in colmo, quindi tale edificio preclude ogni vista della chiesa mentre lascia visibile il campanile; a seguito della realizzazione del sottotetto in questione, la vista sulla chiesa di San Nicola non muta, infatti rimane visibile il campanile esattamente come prima, ed inoltre la pratica è stata valutata anche dalla commissione per il paesaggio con parere espresso il 31 maggio 2006… dal quale si evince che l’intervento migliora la percezione di insieme" (v. per tutto ciò doc. ti ricorrenti 5 e 7, copie lettere F./Comune; doc. 6 ricorrenti, copia avviso di inizio del procedimento; doc. 8 ricorrenti, copia petizione; doc. 11 ricorrenti, copia osservazioni e doc. 1 ricorrenti, copia provvedimento impugnato, da cui la citazione).

Avverso tale provvedimento negativo, propongono in questa sede impugnazione i detti F. e M., con ricorso articolato in sei censure, corrispondenti in ordine logico ai cinque motivi che seguono:

– con il primo di essi, corrispondente alle censure prima a p. 4 e quarta a p. 11 dell’atto, deducono difetto di motivazione, asserendo che il provvedimento comunale non avrebbe spiegato in modo pertinente le ragioni per cui l’intervento sarebbe ammissibile. In particolare, affermano che il parere della commissione paesaggio, da loro qualificato (p. 11 atto, undecimo rigo) "autorizzazione paesaggistica", sarebbe viziato da un non corretto apprezzamento dello stato di progetto, in quanto la sopraelevazione in parola, oltre ad essere di non modesta entità, comporterebbe l’apertura di nuove finestre disassate e differenti per dimensione, sia fra loro sia rispetto alle esistenti, così da determinare un "pessimo risultato estetico" (p. 12 ottavo rigo);

– con il secondo di essi, corrispondente alla seconda censura a p. 5 dell’atto, deducono violazione dell’art. 8 del D.M. 2 aprile 1968 n°1444, nel senso che la sopraelevazione di che trattasi verrebbe a innalzarsi, in modo non consentito, a livello superiore a quello degli edifici storici circostanti, costituiti non tanto e non solo dalla ricordata chiesa di San Nicola, ma anche da altri edifici antistanti, come la "casa Lazzari", sulla quale esistono particolari architettonici settecenteschi (doc. 13 ricorrente, copia pubblicazione in merito). Sostengono comunque che nel calcolo delle altezze non si potrebbe tener conto della torre campanaria, in quanto "volume tecnico", e che in ogni caso, pur in mancanza di edifici storici, non sarebbe possibile stravolgere l’impianto di un centro storico elevando le altezze al di sopra dell’esistente;

– con il terzo motivo, corrispondente alla quinta censura a p. 13 dell’atto, deducono ancora violazione della delibera 3 marzo 2006 n°19 del Consiglio comunale di Erbusco, che esclude dalla disciplina regionale del recupero dei sottotetti gli edifici in zona A3 con più di tre piani. Sostengono in merito che l’edificio per cui è causa, ancorché strutturato su due soli piani, sarebbe assimilabile in virtù della sua altezza alla categoria predetta;

– con il quarto motivo, corrispondente alla sesta censura a p. 15 dell’atto, deducono violazione dell’art. 16 comma 3 delle NTA, perché l’apertura di nuove finestre sarebbe consentita solo nel rispetto dei limiti massimi di altezza;

– con il quinto motivo, corrispondente alla terza censura a p. 6 dell’atto, deducono infine che in ogni caso un intervento come quello in esame si sarebbe potuto realizzare solo mediante piano di recupero e permesso di costruire.

Resistono al ricorso il Comune di Erbusco, con atto 22 maggio 2007 e memoria 6 dicembre 2010, e la E., con atto 23 maggio 2007 e memoria 10 dicembre 2010, i quali:

– in via preliminare, sostengono l’irricevibilità del ricorso, a loro dire tardivamente rivolto avverso l’originaria DIA (memoria Comune p. 3 e memoria E. p. 7);

– sempre in via preliminare, sostengono l’inammissibilità del ricorso per non essere i ricorrenti legittimati a proporlo (memoria E., p. 8);

– nel merito, ne sostengono l’infondatezza in ogni motivo prospettato. In ordine al primo, premettono che l’intervento non sarebbe soggetto ad autorizzazione paesistica, ma a valutazione di compatibilità paesaggistica, nella specie correttamente compiuta, e ribadiscono come esso non modifichi la percezione precedente sia della chiesa sia del campanile (memoria Comune, pp. 3 e 56). In ordine al secondo e al quinto, premettono ancora che l’art. 8 del DM 1444/1968 sarebbe norma non applicabile in Lombardia (memoria Comune, p. 5 dal sesto rigo), e comunque puntualizzano che l’altezza dell’intervento programmato sarebbe ammissibile, dato che non esisterebbero edifici di carattere storico artistico vicini e che comunque non sarebbe superata quella del campanile. In ordine al terzo e al quarto, fanno presente che l’immobile in parola ha tre piani e che i sottotetti in base all’art. 64 della l. r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12 si possono sempre recuperare senza bisogno di piano attuativo.

Con memoria 22 dicembre 2010, i ricorrenti hanno ribadito le proprie tesi.

La Sezione all’udienza del giorno 12 gennaio 2010 tratteneva il ricorso in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è in parte fondato, ai sensi di quanto appresso.

1. Va anzitutto respinta la prima eccezione preliminare, che qualifica il ricorso come irricevibile in quanto, a dire dell’amministrazione e della controinteressata, tardivamente rivolto avverso l’originaria DIA, e in proposito è necessaria una premessa di carattere generale.

2. Com’è noto, sui rimedi esperibili nei confronti di una DIA -ed ora dell’istituto che lo ha sostituito, denominato "segnalazione certificata di inizio attività", in sigla SCIA- da parte del terzo che si ritenga leso dall’attività in tal modo assentita si confrontano, in sintesi estrema, due teorie: la prima di esse assimila la DIA ad un atto privato, quindi lo ritiene non impugnabile come tale e demanda la tutela in questione ad una azione di accertamento, nei termini delineati per tutte da C.d.S. sez. VI 9 febbraio 2009 n°717 e dalla conforme C.d.S. sez. VI 15 aprile 2010 n°2139; l’altra invece ritiene trattarsi di una autorizzazione implicita, e quindi di un provvedimento, da impugnare secondo le regole generali nei termini di decadenza, come sostenuto, sempre per tutte, da C.d.S. sez. VI 5 aprile 2007 n°1150. Su quale sia la tesi preferibile, al momento, non vi è univocità di vedute, tanto che la questione relativa è stata rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la recente ordinanza 5 gennaio 2011 n°14.

3. L’esito del riferito contrasto (dottrinale e) giurisprudenziale è però non rilevante nel caso di specie. Come infatti dispone in modo non equivoco l’art. 19 della l. 7 agosto 1990 n°241, che disciplinava all’epoca dei fatti in via generale la DIA, ed ora la SCIA, a fronte di una attività disciplinata in tal modo "E’ fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21 -quinquies e 21- novies" della stessa legge. Ciò è avvenuto nel caso di specie, come si è detto in narrativa, in cui il Comune, su sollecitazione dell’odierno ricorrente R.F. (doc. ti ricorrenti 5, 6 e 7, cit.), ha avviato proprio un procedimento per verificare la legittimità della DIA, e però lo ha concluso in modo reputato non soddisfacente dai ricorrenti stessi, in quanto ha ritenuto che di un proprio intervento repressivo non vi fossero i presupposti.

4. E’avverso tale ultimo provvedimento (doc. 1 ricorrenti, cit.) che il presente ricorso è stato tempestivamente proposto, come si ricava anche dal fatto che ad esso si riferiscono tutti i motivi dedotti, mentre la DIA si dichiara impugnata solo nel quadro della nota formula di stile della impugnativa di ogni atto presupposto. Ciò è del tutto legittimo in conformità alla regola generale per cui l’atto conclusivo di un procedimento di autotutela che l’amministrazione abbia aperto, pur non essendo specificamente obbligata a farlo, di fronte ad una istanza del privato "è impugnabile con un ambito di sindacabilità adeguato all’ambito proprio di valutazione del potere di ritiro": così in massima TAR Liguria sez. I 12 ottobre 2005 n°134, più recente sul punto. Nel presente giudizio, pertanto, si controverte soltanto sulla legittimità dell’atto di diniego di esercizio dell’autotutela, non in via diretta della precedente DIA, qual che ne sia la natura giuridica.

5. E’ parimenti infondata la seconda eccezione preliminare, di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione. Basta in proposito ricordare che secondo costante giurisprudenza, anche di questo TAR, sono legittimati ad impugnare un provvedimento edilizio reputato pregiudizievole nei propri confronti i soggetti i quali possano dimostrare uno stabile radicamento dei propri interessi nelle vicinanze della zona corrispondente: così per tutte C.d.S. sez. IV 29 luglio 2009 n°4756, proprio con riferimento a un proprietario frontista, e TAR Lombardia Brescia 10 dicembre 2008 n°1739. Tale è sicuramente il caso degli odierni ricorrenti, appunto proprietari di immobili nella stessa via Trieste nella quale si trova l’edificio sul quale è previsto l’intervento per cui è causa (doc. ti ricorrenti 2 e 3, cit.).

6. Venendo quindi al merito del ricorso, il primo motivo di esso, incentrato sul presunto difetto di motivazione del diniego di autotutela impugnato, risulta non fondato. Come risulta a sua semplice lettura nei termini riportati in premesse, esso è infatti volto a contestare un presunto dubbio "pregio estetico" dell’intervento, con valutazioni che, per quanto di per sé rispettabili, non possono essere proposte nella presente sede giurisdizionale, in quanto andrebbero a sindacare il merito dell’azione amministrativa, caratterizzata nella materia in esame da ampia discrezionalità, non censurabile al di fuori di casi, nella specie non ravvisabili, di apprezzamenti manifestamente illogici o incoerenti (sul principio, si veda per tutte C.d.S. sez. IV 4 maggio 2010 n°2545). Si aggiunge solo per completezza che l’intervento per cui è causa, come correttamente rilevato dalla difesa del Comune, era soggetto non ad una distinta autorizzazione paesistica, ma ad un semplice giudizio della commissione per il paesaggio, espresso nel quadro del medesimo procedimento relativo alla DIA.

7. E’invece fondato e assorbente il secondo motivo, relativo all’asserita violazione dell’art. 8 del D.M. 2 aprile 1968 n°1444. Come è noto, secondo detta norma "Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue. 1) Zone A): non è consentito superare le altezze degli edifici preesistenti, computate senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture; per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l’altezza massima di ogni edificio non può superare l’altezza degli edifici circostanti di carattere storico- artistico…".

8. In proposito, va subito chiarito che la norma risulta applicabile nel caso di specie. La clausola di disapplicazione di cui all’art. 103 comma 1 bis lettera b) della l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, introdotta con l’art. 1 comma 1 della l. r. Lombardia 14 marzo 2008 n°4 infatti è anzitutto entrata in vigore dopo la data del provvedimento impugnato, come ha lealmente ricordato la difesa del Comune, e comunque si applica solo in un caso ben preciso, ovvero alle revisioni dei vigenti piani urbanistici che dovranno dar luogo ai nuovi piani per il governo del territorio. Si tratta quindi di una deroga consentita in un preciso contesto di valutazioni di carattere generale, e non in via episodica di singolo intervento.

9. Ciò posto, contrariamente a quanto sostiene la difesa del Comune, la norma in questione richiede semplicemente che gli edifici circostanti la cui altezza non si può superare siano "di carattere storico- artistico", inteso nel senso di cui appresso, e non impone che si tratti anche di edifici vincolati: così anzitutto la lettera dell’espressione usata, che di vincoli non parla, ed anche il rilievo, conforme a comune esperienza, per cui il valore di un centro storico deriva dal suo aspetto di insieme, e come tale è prodotto da tutto l’esistente che vi rientri, mentre il singolo immobile che lo va a comporre potrebbe, isolatamente considerato, non rivestire un pregio tale da giustificare un vincolo specifico.

10. Tali considerazioni sono fatte proprie in giurisprudenza da C.G.A. Sicilia 22 marzo 2006 n°107, citata anche dai ricorrenti, per cui l’espressione "edifici storico artistici" rilevanti ai sensi dell’art. 8 va intesa "non nel senso del linguaggio comune (vale a dire di "edifici eccelsi’), ma nel senso di "edifici risalenti nel tempo" e quindi – sotto questo profilo – storici". Così poi, per implicito ma in modo non equivoco, nella giurisprudenza della Sezione anche la sentenza 28 novembre 2003 n°1447, confermata da C.d.S. sez. IV 30 luglio 2005 n°3461.

11. Sempre secondo la ricordata C.G.A. 107/2006, infine, il parametro dell’altezza massima riferita agli edifici storici così individuati va interpretato senza tener conto delle cd. "emergenze architettoniche", ovvero di quegli edifici, come le torri di qualunque natura, che per loro natura si ergono, anche a notevole altezza, al di sopra di tutto l’abitato. Si è infatti osservato in proposito che "il mantenimento dei delicatissimi rapporti tra l’edilizia minore e quella monumentalecelebrativa (destinata al culto, alla polis, alle manifestazioni artistiche, alla memoria collettiva), costituisce l’aspetto essenziale e irrinunciabile della tutela dei centri storici. Se effettivamente fosse possibile parametrare l’altezza della edilizia abitativa a quella dei c.d. edifici storici, si comprometterebbe inevitabilmente (sino a cancellarlo del tutto) il volto della gran parte delle città e dei centri minori del nostro Paese, caratterizzati (quasi sempre) dalla presenza – proprio nelle zone A – di edifici monumentali, di torri e campanili". Per chiarire con un esempio, l’interpretazione criticata consentirebbe, di per sé, di realizzare nel centro storico di Bologna un grattacielo di novantasette metri, in quanto di altezza pari a quella della nota Torre degli Asinelli, e ciò è all’evidenza assurdo.

12. Tanto premesso in termini generali, nel caso di specie va osservato in primo luogo che, come dimostrato dai ricorrenti (v. planimetria con fotografie da essi prodotte come doc. ti 20 e 21 e non specificamente contestate), l’intervento edilizio per cui è causa conduce ad innalzare l’immobile interessato ad una quota superiore non solo a quella della più volte ricordata chiesetta di S. Nicola, ma anche a quella di un edificio prospiciente, la Casa Lazzari, di indubbio carattere storico artistico, in ragione delle risalenti testimonianze d’arte che la caratterizzano (v. doc. 13 ricorrente, cit.. pure non contestato nei suoi contenuti).

13. Va poi osservato che, alla luce dell’interpretazione dell’art. 8 che si è esposta, non rileva né che dall’edificio della E. la chiesetta di S. Nicola sia direttamente non visibile, dato che la norma tutela il centro storico nel suo complesso, e non le singole vedute, né che la sopraelevazione contestata sia di altezza comunque inferiore al campanile, che è "emergenza architettonica" di cui non si deve tener conto.

14. Come accennato, rimangono infine assorbiti i motivi terzo, quarto e quinto, che riguardano, in sintesi, il dettaglio costruttivo del suo intervento: se esso risulta non conforme alla normativa generale e imperativa sulle altezze, sono irrilevanti tanto il suo carattere di sottotetto recuperato, quanto la forometria per esso prevista.

15. La domanda di annullamento va quindi accolta, e il provvedimento 5 febbraio 2007 prot. n°1846 del Responsabile dell’area tecnica del Comune di Erbusco va annullato. Tenendo conto di quanto detto ai Par.Par. 14 che precedono circa la corretta individuazione dell’oggetto di questo ricorso, l’amministrazione dovrà quindi rinnovare il procedimento di autotutela sulla DIA 8 giugno 2006 prot. n°8247 e successive integrazioni, conformandosi a quanto esposto in motivazione per quanto concerne il carattere e l’altezza degli edifici circostanti.

16. Va invece respinta la domanda risarcitoria, in quanto i ricorrenti non hanno allegato né provato alcuno specifico pregiudizio di carattere economico che loro sarebbe derivato dall’intervento per cui è causa.

17. La parziale soccombenza è giusto motivo per compensare le spese, restando come per legge il contributo unificato a definitivo carico dei ricorrenti che lo hanno anticipato.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

a) accoglie ai sensi di cui in motivazione la domanda di annullamento e per l’effetto annulla il provvedimento 5 febbraio 2007 prot. n°1846 del Responsabile dell’area tecnica del Comune di Erbusco;

b) respinge la domanda risarcitoria;

c) compensa per intero fra le parti le spese di lite, ponendo il contributo unificato a definitivo carico dei ricorrenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *