Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 16-02-2011, n. 5832 pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Avverso la sentenza resa il 2 febbraio 2010 dal Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, con la quale è stata applicata nei confronti di R.F., ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena di mesi cinque e giorni venti di reclusione in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 – ter, consumato in Ghedi, il primo febbraio 2010, reato giudicato in continuazione con precedente, analoga condotta di cui ad altra sentenza pronunciata dal medesimo tribunale bresciano il 4.12.2007, propone ricorso al giudice di legittimità il Procuratore Generale della Repubblica, chiedendone l’annullamento giacchè viziata, a suo avviso, da violazione di legge con riferimento all’art. 81 c.p., e difetto di motivazione.

Denuncia, in particolare, il procuratore ricorrente che la sentenza di condanna dell’imputato resa il 4.12.2007 riguarda la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 – ter, nonchè la – contravvenzione di cui all’art. 6 della stessa legge e per essa risulta inflitta all’imputato la pena di mesi cinque e giorni venti di reclusione, pena identica a quella patteggiata ed impugnata, ancorchè relativa, quest’ultima, alle condotte giudicate con la prima sentenza e l’ulteriore condotta delittuosa di cui al presente processo. Da ciò deduce parte istante l’illegittimità della pena inflitta, del tutto vanificata rispetto all’ultimo reato giudicato, sia perchè omessa una motivazione circa la sua singolare determinazione, sia perchè in violazione, per le ragioni dette, degli artt. 132 e 133 c.p., nonchè dell’art. 27 Cost., comma 2.

Il P.G. in sede, con motivata requisitoria scritta, concludeva per l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza. Anche l’imputato depositava proprio atto difensivo, a mente dell’art. 611 c.p.p., deducendo che nella fattispecie in esame non ricorrerebbe alcuna ipotesi di reato, giacchè contestata all’imputato la violazione della condotta tipizzata al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 – ter, in ipotesi in cui tale condotta risultava già consumata, fattispecie considerata dalla giurisprudenza di questa Corte penalmente non prevista nè sanzionata.

Il ricorso è infondato.

Giova rammentare, preliminarmente, che la richiesta di pena concordata ovvero l’adesione alla pena proposta dall’altra parte comporta la rinuncia a far valere le proprie eccezioni e difese (Cass. pen. 25.11.193, Arvieri, m. 197720) e che la necessità di una motivazione della sentenza, in ipotesi di applicazione dell’art. 444 c.p., risulta soddisfatta anche se questa sia articolata succintamente (Cass. sez. un., 27 marzo 1992, Di Benedetto, m.

191135; Cass. pen., sez. 6^, 8 marzo 1991, Caratti, m. 201809). Gli esposti principi cedono però all’ipotesi in cui oggetto del patto processuale sia una pena illegalmente determinata. Ha infatti reiteratamente affermato questa Corte che, in tema di trattamento sanzionatorio del reato continuato, in caso di patteggiamento, poichè l’accordo in ordine ad una pena illegale non può essere ratificato dal giudice e rende nulla la sentenza che lo recepisce, deve essere dichiarata tale la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la quale applichi una pena in contrasto con le norme di essa regolatrice (Cass., Sez. 6^, 04/11/2002, n. 18173; Cass. Sez. 3^, 13/6/2001, n. 27702).

Orbene, nel caso di specie va pertanto delibato se la pena inflitta dal giudice a quo sia o meno illegittima.

Insegna la Corte di legittimità che il giudice dell’esecuzione, in sede di applicazione della continuazione, è vincolato al giudicato solo per l’individuazione del reato più grave e la misura della pena per esso stabilita, mentre può rideterminare gli aumenti di pena per i reati-satellite (Cass., Sez. 1^, 10/11/2009, n. 46905, rv. 245684) Orbene, nel caso di specie il Tribunale ha individuato il reato più grave in quello al suo esame e quelli satellite nei reati giudicati con la sentenza passata in giudicato, la cui relativa sanzione poteva, per questo, essere legittimamente rideterminata, alla stregua dell’art. 81 c.p., nell’ambito di una potestà decisionale del tutto analoga a quella riconosciuta dall’ordinamento al giudice dell’esecuzione allorchè è chiamato a decidere di fattispecie disciplinate dall’art. 671 c.p.p..

Nessuna violazione di legge è pertanto riscontrabile nel caso in esame, non ricorrendo ipotesi di pena illegalmente quantificata ancorchè identica la sanzione inflitta dal primo giudice a quella determinata dal giudicante in applicazione della disciplina in materia di reato continuato, comprensiva, quest’ultima, delle condotte di cui alla precedente sentenza i cui reati sono stati considerati in continuazione con quello successivamente giudicato.

Nè appare idonea ad inficiare la correttezza giuridica delle esposte conclusioni l’argomento, comunque utilizzato dal procuratore ricorrente, che la quantificazione sanzionatoria impugnata comporterebbe, sostanzialmente, l’esenzione dalla pena di un comportamento penalmente rilevante, dappoichè altro è l’esenzione dalla pena, altro è la diversa valutazione di gravità delle condotte giudicate, valutazione che l’ordinamento rimette al giudice che per ultimo emette legittimamente la decisione sulla condotta valutata. Neppure rilevante ai fini del presente giudizio può infine considerarsi l’argomentazione, illustrata dall’imputato con la sua memoria difensiva, secondo cui il giudice di prime cure avrebbe errato nella qualificazione giuridica della condotta contestata, dappoichè non attinente essa al contenuto del ricorso proposto dal procuratore ricorrente (oltre tale decisiva ed assorbente considerazione, può altresì osservarsi che la difesa dell’imputato non tiene conto della circostanza che la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. m), ha sostituito interamente, come è noto, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 – quater, introducendo la figura di reato riferibile alla fattispecie difensivamente evocata e che sul punto si è formato il giudicato in mancanza di impugnazione delle parti interessate).

Il ricorso, su tali premesse, va pertanto rigettato.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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