Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-01-2011) 16-02-2011, n. 5831

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza della Corte d’Appello di Milano veniva confermata la condanna inflitta dal gup del Tribunale di Milano nei confronti dell’imputata, per il reato cui al D.Lgs. n. 286 del 1978, art. 12, comma 3, e art. 3 ter, nonchè per il reato di induzione alla prostituzione di D.S. e per sfruttamento della prostituzione della medesima, in epoca risalente all’aprile 2002, condanna inflitta nella misura di anni quattro di reclusione ed Euro 20.000 di multa.

L’affermazione di colpevolezza discendeva fondamentalmente dalle dichiarazioni di D.S. – parte offesa – ritenute plausibili, logiche e precise. La donna aveva raccontato in modo dettagliato la sua odissea per fuggire dall’Albania ove il marito, ex poliziotto, era stato giustiziato, per introdursi nel nostro paese, conquistato a peso d’oro, oro consegnato nelle mani di svariati faccendieri, tra cui la C., che l’aveva portata a Gorizia, quindi a Venezia e infine a Milano, dove l’aveva consegnata a tale M.P. (condannato con la sentenza di primo grado e rimasto acquiescente) l’aveva costretta – anche con la violenza -, a prostituirsi ed a consegnare tutto il ricavato della sua attività a lei medesima.

Poichè la D. ad un certo punto non ce la faceva più a sopportare quelle angherie, nel maggio successivo, aveva chiesto protezione alla Questura che l’aveva collocata, insieme ai figli che aveva portato con sè, presso un centro di accoglienza, all’esterno del quale – nel luglio 2003 – la D. era stata avvicinata dal M., armato di bloccasterzo e dall’imputata. Nell’occasione era presente L.G., – soggetto che aveva assistito ad una scena di violenza di cui era stata vittima la D. e che si era sensibilizzato ai problemi della donna – che aveva disarmato il M.; ne era nata una colluttazione, ragion per cui la stessa imputata aveva richiesto l’intervento dei Carabinieri che avevano identificato i presenti. Veniva valorizzata la testimonianza del L. perfettamente compatibile con il racconto della persona offesa, nonchè in chiave di riscontri, venivano valutati gli esiti di accertamenti di PG sui vari luoghi in cui ebbe a passare la donna (accertata presenza negli alberghi menzionati, nonchè presso gli appartamenti ove aveva detto di aver dimorato, accertata presenza del M. e dell’imputata all’esterno del centro di accoglienza). Il giudizio di affidabilità espresso sulla parte offesa dai giudici di merito non veniva ritenuto scalfito dal fatto che la donna aveva sporto denuncia tardivamente, circostanza che veniva ampiamente giustificata dal particolare stato di difficoltà in cui versava la donna, tra l’altro clandestina nel nostro paese; detto giudizio veniva invece ampiamente confermato dalla inconsistenza delle versioni dell’imputata. La C. veniva considerata la vera organizzatrice del viaggio e non già la mera accompagnatrice, nonchè colei che indusse ed obbligò all’esercizio del meretricio la D., da cui poi pretese la consegna di tutto il denaro, anche quello aveva ricevuto a titolo di regalia dal L.. Il reato di cui al capo a) veniva ritenuto integrato poichè venne favorito l’ingresso clandestino sia della D. che dei suoi tre figli, al fine di lucro; anche l’aggravante contestata (reclutamento di persone da destinare alla prostituzione) veniva ritenuta sussistente, non solo perchè il fine dello sfruttamento sessuale riguardava anche la figlia A. della D., quindi più persone, – come aveva ritenuto il gup, ma soprattutto perchè il termine persone utilizzato dalla norma all’epoca vigente andava intesa, sia come singolare che come plurale, non essendo immaginabile l’insussistenza dell’aggravante alla presenza di una sola persona ed atteso che la successiva modifica legislativa è stata finalizzata solo ad escludere ogni equivoco. Il reato di cui al capo e), relativo a cessioni di stupefacente del tipo cocaina, ipotizzato sulla base del racconto della D. – che assumeva di aver visto la donna confezionare delle dosi di polvere bianca in sua presenza nell’aprile 2002, veniva dichiarato estinto per il decorso del tempo.

2. Avverso la sentenza interponeva ricorso per Cassazione l’imputata, pel tramite del difensore, per dedurre:

2.1 Violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p., e mancanza e contraddittorietà della motivazione. Secondo la difesa, non sarebbe stata offerta congrua motivazione circa la lamentata incongruenza delle dichiarazioni della denunciante, sotto il profilo intrinseco, essendo stato evidenziato dalla difesa la tardività e pretestuosità della denuncia, da ricondurre alla necessità della donna di evitare l’espulsione dal nostro paese. Il racconto della D., in quanto frammentario e contraddittorio richiedeva il supporto di riscontri esterni ed autonomi, pur trattandosi di testimonianza, elementi che non sarebbero stati cercati, con il che si sarebbe prodotta una frattura rispetto principi enunciati dall’art. 192 c.p.p..

2.2. violazione di legge in riferimento al D.L. n. 286 del 1998, art. 12: sostiene la difesa che al momento del commesso reato la legge, nel prevedere il reato di favoreggiamento dell’immigrazione a fini sessuali, usava i termini stranieri e persone, al plurale, laddove nell’attuale formulazione i sostantivi sono usati al singolare (taluno), dal che deve essere desunto che nella prima formulazione per la configurazione dell’ipotesi delittuosa occorreva il reclutamento di più persone, quindi l’ipotesi di reato nel caso di specie, risalente al 2002 e avente ad oggetto la sola persona della D., non sarebbe apprezzabile. A parere della difesa, i giudici di merito nell’ipotizzare che anche la figlia A., della D., sarebbe stata favorita nell’ingresso in Italia, nella prospettiva di un suo sfruttamento a fini sessuali, si sarebbero basati su un dato meramente congetturale, cioè sui timori che vennero rappresentati dalla madre che anche la figlia fosse oggetto di insane attenzioni.

Sarebbero poi incorsi in un chiaro errore di diritto, quando hanno ritenuto che il termine persone vada inteso sia come singolare che come plurale, poichè il dato letterale è insuperabile e con simile interpretazione è stato forzato.

2.3 violazione di legge e contraddittorietà della motivazione della sentenza, in relazione agli artt. 129 e 192 c.p.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73: in ordine al reato sub e), sostiene la difesa che la dichiarazione di prescrizione non soddisfa, perchè sarebbe carente la motivazione.

2.4 erronea applicazione della legge e contraddittorietà della motivazione, in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p.: secondo la difesa, sarebbe mancata adeguata motivazione dei criteri adottati per negare le circostanze attenuanti generiche e nel commisurare la pena:

sarebbero state usate stereotipate formule per respingere gli argomenti offerti dalla difesa e non sarebbe stata data congrua ragione del fatto che la pena è stata inflitta in misura sensibilmente superiore al minimo.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Quanto al primo motivo, deve essere sottolineato che il percorso logico ed argomentativo che ha portato i giudici di merito alla doppia pronuncia conforme di colpevolezza ha trovato come base inferenziale le dichiarazioni della persona offesa, espresse con ricchezza di dettagli sottoponibili a verifica, le dichiarazioni del testimone D., assolutamente conformi alla realtà rappresentata dalla persona offesa ed il dato dell’accertamento di polizia, in esito al quale l’imputata venne rinvenuta insieme al M., proprio avanti al luogo ove la parte offesa era ospitata ed in detta sede venne accertato che sia il M. che il L. erano feriti, segno di una pregressa colluttazione, confermata dal rinvenimento di coltello e blocca sterzo. Sulla base dei contributi rappresentativi che si sono intrecciati tra loro e sulla base dei dati obiettivi rilevati dalle forze dell’ordine, è stato espresso il giudizio di piena affidabilità della parte offesa testimone, riscontrata, tra l’altro – come ampiamente documentato nella sentenza di primo grado a pag. 8 e segg. -, dagli accertamenti condotti dalla polizia sui dati di contesto che la stessa ebbe ad offrire. Pertanto non è apprezzabile alcuna forzatura da parte dei giudici di merito, nè nella ricezione del flusso di informazioni, nè nella coordinazione delle stesse, all’esito di un ragionamento corretto e coerente. Ragionamento che non può ritenersi forzato per il semplice fatto che la denuncia della D. sarebbe stata tardivamente sporta, atteso che i giudici di merito hanno fornito adeguata e plausibile giustificazione del fatto che la donna attese a sporgere denuncia e fu l’implosione dei fatti, quando cioè la C., insieme al M. l’andarono a cercare all’esterno della struttura dove era ospitata con i suoi figli, ad averla convinta che continuava ad essere esposta al pericolo di essere fatta oggetto di ritorsioni e ricatti.

Quanto al secondo motivo corretta è stata l’interpretazione del disposto normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 2, e art. 3, precedente formulazione, poichè per quanto la norma punisse l’attività diretta a favorire l’ingresso di stranieri e prevedesse l’aggravamento se il fatto era commesso al fine di reclutamento di persone da destinare allo prostituzione, utilizzando quindi termini al plurale, non si può accedere alla interpretazione strettamente letterale, proposta dalla difesa, secondo cui il reato non sussisterebbe laddove il favoreggiamento riguardi un solo straniero, ovvero la destinazione alla prostituzione riguardi una sola persona. L’utilizzo del termine al plurale non può essere inteso in questo limitato senso, essendo scontata la volontà del legislatore di non tollerare e quindi di colpire l’attività diretta a favorire anche l’ingresso di un solo cittadino straniero, tanto più se con la prospettiva di destinarlo alla prostituzione. Il contenuto precettivo della norma è chiarissimo e non ammetteva – nè avrebbe potuto ammetterle – soglie di tolleranza che si sarebbero tra l’altro prestate a frazionare l’attività delittuosa in più soluzioni, con conseguente impunità; il fatto che in seguito la norma abbia trovato una più felice formulazione, non toglie nulla alla iniziale portata del disposto, con il che corretta è stata l’interpretazione offerta dalla corte d’appello, che ha privilegiato in sede interpretativa la reale volontà del legislatore. Non è quindi condivisibile l’interpretazione patrocinata dalla difesa.

Quanto al terzo motivo, la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui al capo c) è correttamente intervenuta sulla base di un compendio probatorio sulla sussistenza del fatto rappresentato dalle dichiarazioni del teste diretto D., a cui si è riportato il primo giudice; la corte territoriale a fronte del dato testimoniale non poteva applicare l’art. 129 c.p.p., comma 2, cosicchè non è ravvisabile alcuna forzatura della legge.

Infine, non sono apprezzabili i vizi di motivazione, quanto al capo della sentenza sul trattamento sanzionatorio, posto che già il giudice di primo grado aveva ampiamente giustificato il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la misura della pena inflitta, facendo valutazioni in fatto, riprese dalla Corte d’appello – su cui questa Corte non può interloquire, dando peraltro prova di un corretto esercizio del suo potere discrezionale in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio.

Al rigetto dell’impugnazione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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