Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-12-2010) 16-02-2011, n. 5807

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 9.6.2010 il Tribunale della Libertà di PALERMO rigettava l’istanza di riesame proposta da T.M.S. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip del locale Tribunale il 18.5.2010 per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici territoriali, doveva ritenersi che il T. fosse stabilmente inserito nel collaudato sistema di veicolazione, al latitante R. D., capo della famiglia mafiosa di Altofonte, di messaggi da e per gli altri sodali indispensabili non solo per eludere le ricerche dello stesso R. da parte degli inquirenti, ma anche per consentirgli i contatti necessari per continuare a gestire la cellula mafiosa di appartenenza.

La catena di trasmissione dei messaggi al R. si sarebbe articolata in varie fasi, a partire dalla consegna dei "pizzini" che li contenevano all’interno degli uffici di T.M.S., dove si incaricava di prelevarli C.G., per affidarli a sua volta a L.G., che li girava infine a Li.

M., autore del recapito finale presso l’abitazione dei coniugi C. in Calatafimi, dove il latitante aveva trovato ospitalità.

Il flusso contrario di comunicazioni, infine, si sarebbe articolato a ritroso, a partire, cioè, dalla consegna di "pizzini" da parte del R. al Li. fino al recapito dei messaggi negli uffici del T..

In questo sistema, la cui ricostruzione in sede investigativa aveva portato all’arresto del R. il 15.11.21009, all’interno di un immobile oggetto di frequenti visite dei coniugi C., il ruolo del T., era desunto dai giudici del riesame sulla base di una serie di intercettazioni ambientali, a loro volta più volte collegate ai servizi di osservazione e pedinamento attivati dagli inquirenti nel corso delle indagini.

Ricorre il difensore dell’imputato, deducendo anzitutto il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), in relazione agli artt. 125, 273, 326 e 414 c.p.p., per avere i giudici del riesame ritenuto la ritualità della riapertura delle indagini a carico del T., nei confronti del quale la stessa notizia di reato, oggetto del precedente proc. Pen. Nr. 1147/05, era stata già archiviata, e l’utilizzabilità delle presunte nuove prove, nonostante le contrarie indicazioni fornite dalle sequenze processuali di interesse.

La difesa rileva che la precedente richiesta di archiviazione era stata formulata dal PM l’11.12.2009, cioè appena 11 giorni prima della richiesta di riapertura delle indagini, peraltro formulata sulla base di un’annotazione di indagine di 3.12.2009 e, quindi, antecedente persino alla stessa richiesta di archiviazione.

Ne deriverebbe l’immanenza degli effetti preclusivi del decreto di archiviazione rispetto all’utilizzabilità degli atti di indagine anteriori alla sua emanazione.

A questo riguardo, sarebbe contraria alle specifiche disposizioni processuali di riferimento, l’affermazione del Tribunale secondo cui sarebbero comunque utilizzabili, anche se raccolti prima della data di emissione del decreto di archiviazione, nonchè del successivo decreto di riapertura delle indagini, gli elementi di prova non sottoposti al vaglio del gip ai fini dell’archiviazione.

Ancora, la nuova attività di indagine sarebbe illegittima, perchè compiuta con riferimento ad un arco temprale in cui il T. non risultava indagato, e comunque sarebbe rilevabile un evidente difetto di motivazione nel decreto di riapertura delle indagini, che si limita genericamente a richiamare, per relationem, il contenuto dell’annotazione di indagine di 3.12.2009.

Con il secondo motivo, la difesa denuncia il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione dell’ordinanza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. B) ed E), in relazione agli artt. 273, 192 e 125 c.p.p., e art. 416 bis c.p., in ordine alla valutazione della gravità indiziaria.

Nonostante la concentrazione sul T., di un’intensa attività investigativa, non sarebbe emersa a suo carico alcuna peculiare condotta personale sintomatica dell’asserita militanza nell’organizzazione mafiosa, nemmeno in riferimento al presunto ruolo del ricorrente di supporto logistico a favore del latitante R.D..

Non potrebbero essere ritenuti sospetti i rapporti tra il T. e il C., risalenti nel tempo e legati alla familiarità tra i rispettivi nuclei parentali; non risulterebbe alcun contatto telefonico significativo tra il ricorrente e gli altri coindagati, oggetto delle esclusive frequentazioni del C., che mai ne avrebbe fatto cenno al T.; del tutto impropriamente i giudici del riesame avrebbero valorizzato singoli incisi delle conversazioni tra il T. e il C. e altrettanto illogicamente avrebbero rilevato presunte anomalie nel rapporto tra i due, inferendole dai giorni prevalentemente scelti per i loro incontri o dalla presunta "prudenza" del linguaggio usato durante le conversazioni; a proposto delle quali non risulta comunque in alcun modo l’impiego di un linguaggio in codice o comunque criptico, tanto che in definitiva, le contrarie valutazioni dei giudici territoriali sulla valenza indiziaria dei colloqui si risolverebbero nulla più che in apprezzamenti meramente soggettivi ed ipotetici.

Nel ricorso è analizzato tra l’altro il riferimento alle "pillole" che compare in una delle conversazioni intercettate, secondo la difesa valorizzato dai giudici del riesame, sulla base del presupposto utilizzo, inedito e indimostrato, da parte del R. del nemmeno identificato farmaco in questione.

Sintetizzando le proprie doglianze, la difesa rileva quindi che i giudici territoriali avrebbero ritenuto la gravità indiziaria soltanto sulla base di frequentazioni personali non sospette e comunque troppo saltuarie per argomentarne sul ruolo del ricorrente di tramite tra il R. e l’organizzazione mafiosa, mancando inoltre di attribuire il giusto peso all’assoluta mancanza di indicazioni a carico del T. da parte dei collaboratori di giustizia, il contributo dei quali sul conto del ricorrente è riconosciuto peraltro irrilevante nello stesso provvedimento impugnato.

L’ultimo motivo è incentrato sulla questione della qualificazione giuridica della condotta dell’imputato, che la difesa propone subordinatamente sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 273 e 125 c.p.p., e all’art. 378 c.p., rilevando che i giudici territoriali avrebbero erroneamente applicato i criteri distintivi tra la fattispecie di favoreggiamento personale e quella di partecipazione all’associazione mafiosa, optando ingiustificatamente per quest’ultimo titolo di reato nonostante l’esclusività del rapporto del T. con il R. e l’assenza di collegamenti del ricorrente con altri esponenti dell’organizzazione mafiosa.

Il primo motivo di ricorso ripropone le stesse deduzioni già avanzate dalla difesa davanti al giudice del riesame, che ne ha confutato il fondamento con ampia e condivisibile motivazione, sostenuta da puntuali riferimenti giurisprudenziali.

E così, sulla questione della presunta inutilizzabilità degli atti di indagine per violazione del disposto di cui all’art. 414 c.p.p., il tribunale ha correttamente osservato che la sanzione di inutilizzabilità colpisce solo gli atti che riguardano lo stesso fatto oggetto dell’indagine conclusa con il provvedimento di archiviazione, e non anche fatti diversi o successivi, benchè collegati con i fatti oggetto della precedente indagine, altrettanto puntualmente rilevando che questa seconda ipotesi ricorre per i reati permanenti – come quello di associazione a delinquere oggetto del caso di specie – in relazione ai quali il provvedimento di archiviazione relativo ad indagini concernenti fatti od elementi temporalmente definiti non impone di richiedere il decreto di riapertura delle indagini, se queste riguardano fatti o elementi diversi o successivi (Cass. Sez. 3^, Sentenza n. 43952 del 28/09/2004 Imputato: Israel Rodriguez; Cass. Sez. 1^ sent. n. 28377 del 15.6.2006, con cui la Corte, nell’ambito di procedura incidentale de libertate, respinse l’istanza difensiva di inutilizzabilità degli atti di indagine per violazione dell’art. 414 c.p.p., e conseguente caducazione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, osservando che la richiesta di riapertura delle indagini non era necessaria, attesa la diversità del fatto avuto riguardo al periodo temporale di commissione del reato, ai partecipanti, alle caratteristiche oggettive dell’organizzazione criminale, al ruolo assunto nella stessa dall’interessato).

Nel caso in esame, i giudici territoriali rilevano appunto che la contestazione del reato associativo comprende un periodo ulteriore rispetto a quello del precedente procedimento derivandone che l’arco temporale dell’associazione è diverso e più ampio rispetto a quello relativo alla notizia di reato di cui al procedimento archiviato.

Ugualmente condivisibile sul piano dei principi è l’affermazione dei giudici del riesame secondo cui sono acquisibili e utilizzabili ai fini dell’emissione di un provvedimento di cautela personale atti di indagine provenienti da altro procedimento (nella specie, verbali di dichiarazioni di collaboratori di giustizia), anche dopo archiviazione o sentenza di non doversi procedere, e prima del decreto di riapertura delle indagini, in quanto l’acquisizione di atti già formati non corrisponde al compimento di nuova attività di indagine in senso proprio.

Ma è vero inoltre che le risultanze di prova utilizzabili in relazione ad un procedimento archiviato rispetto al quale venga richiesta la riapertura delle indagini, sono anche quelle già acquisite prima del decreto di archiviazione, ma non valutate dal Gip ai fini dell’accoglimento della corrispondente richiesta del pm; si è così ritenuto (Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 36784 del 02/07/2003, Imputato: Castelli) che sono utilizzabili le conversazioni telefoniche intercettate prima della data di emissione del decreto di archiviazione e del successivo decreto di riapertura delle indagini, che non erano state sottoposte al Gip e quindi non erano state valutate ai fini dell’archiviazione.

In ordine al secondo motivo, è agevolmente rilevabile il tentativo della difesa di disarticolare le risultanze istruttorie organicamente ricostruite dai giudici del riesame, per puntare all’isolata considerazione di ciascun dato indiziario, come di per sè insignificante o comunque non dotato di adeguata valenza dimostrativa ai fini della rilevazione della gravità indiziaria.

Ne deriva, peraltro, una evidente sovrapposizione argomentativa di merito delle deduzioni difensive rispetto alle argomentazioni dei giudici territoriali, alle quali ci si deve invece precipuamente riferire secondo il principio di contestualità, per valutare la tenuta del provvedimento impugnato allo scrutinio di legittimità.

In ordine alla gravità indiziaria, il percorso argomentativo del provvedimento impugnato è peraltro lineare e coerente.

I giudici del riesame prendono le mosse dai ripetuti contatti telefonici e personali tra il T. e C.G., tra l’altro finalizzati alla consegna di "pillole" al primo da parte del secondo, laddove non è chiara la notazione difensiva riguardo all’assenza di indicazioni sulla specialità farmacologica, rilevando peraltro incisivamente, al riguardo, il tribunale, che appare comunque strano che qualunque prodotto farmaceutico dovesse essere procurato ad un non meglio identificato destinatario attraverso le accidentate modalità rilevabili nella specie; sottolinea ancora, il tribunale, il coinvolgimento del T. negli incontri lungo la SS 624, km 45, caratterizzati da strane manovre di deposito (meglio, di "lancio") di sacchi e dall’interazione operativa del T. con il C., il L. ed altri personaggi di interesse investigativo; rilevano il protagonismo dell’indagato negli avvenimenti dell’11.10.2009, quando compare sulla scena delle indagini C.B., cioè il soggetto che aveva assicurato rifugio al R. durante la sua latitanza; rimarcano che proprio dal monitoraggio di questi contatti gli inquirenti erano pervenuti all’identificazione del rifugio del latitante e al suo arresto, eseguito il 15.11.2009 e in occasione del quale furono ritrovati appunti scritti che facevano riferimento ad un "postino" e ad un nuovo luogo per il "lancio", cioè ad una pratica singolarmente corrispondente alla tecnica di allocazione dei sacchi trasportati fino allo strategico snodo stradale della SS 624; ricostruiscono, in definitiva, un sistema di relazioni personali e di contatti operativi del T. con altri soggetti, che vanamente la difesa pretende di ricondurre esclusivamente all’ambito delle normali frequentazioni personali del ricorrente, essendo condivisibile, piuttosto, al riguardo, l’ovvia notazione dei giudici del riesame che nulla esclude che ad un sostrato di legittime frequentazioni potesse sovrapporsi una ben diversa tipologia di rapporti personali.

Quanto agli altri motivi, appare corretta la contestazione della fattispecie associativa, in luogo della meno grave ipotesi di favoreggiamento personale, in considerazione della specifica attività di supporto offerta dal T. al R., in quanto refluente sull’operatività della consorteria criminale facente capo al secondo (vedi, in tema di aiuto prestato in modo generale e sistematico da un associato in favore di un altro partecipe latitante, Cass. Sez. 6^, Sentenza n. 40966 del 08/10/2008 Imputato:

Pillari; cfr. in termini, anche Cass. Sez. 6^ nr. 2533 del 26.11.2009, citata nell’ordinanza impugnata, dove l’individuazione del criterio distintivo tra le condotte di partecipazione all’associazione per delinquere e quella di favoreggiamento personale, è operata con riferimento alla funzione della condotta di favore, che travalica i limiti del reato di cui all’art. 378 c.p. quando sia destinata non tanto a rispondere ai primari bisogni del soggetto favorito, quanto ad assicuragli autonomia operativa pur nella situazione di latitanza, garantendogli la continuità del flusso di notizie riguardanti il sodalizio e il mantenimento del controllo delle attività criminali).

E che tale fosse il contributo del T. e degli altri fiancheggiatori alle attività criminali del R., il Tribunale lo desume in sostanza coerentemente dalla complessità organizzativa, dal quadro dei plurimi coinvolgimenti soggettivi, e dalla sistematicità delle condotte di supporto, di massima in effetti incompatibili con la rispondenza a minute esigenze "private" del beneficiario (nella specie, di "quel" beneficiario), mentre i termini "probabilistici" censurati dalla difesa sono in realtà adeguati al livello probatorio proprio della fase cautelare, in cui si richiede soltanto una qualificata probabilità di commissione dei reati, non la prova piena della colpevolezza dell’indagato.

Nè, infine, il quadro di gravità indiziaria potrebbe ritenersi inequivocabilmente smentito, come sostiene il ricorrente, dalla circostanza che i collaboratori di giustizia ricordati nell’ordinanza impugnata non abbiano fatto menzione del T. nelle loro dichiarazioni confessorie, e ciò, per la ragione della tutt’altro che decisiva rilevanza intrinseca dell’argomento, sia in generale (nel senso che la conoscenza reciproca tra i partecipanti non sia decisiva ai fini del riconoscimento della esistenza dell’associazione per delinquere, cfr. Corte di Cassazione; nr. 25454 del 13/02/2009 sez. 6^ Imputato Mammoliti e altro; vedi, anche, Corte di Cassazione nr. 05146 del 29/10/1987, sez. 6^, Melis secondo cui per la sussistenza del dolo nel reato di associazione per delinquere è sufficiente la coscienza che la propria azione individuale sia radicata in una struttura organizzativa, senza la necessità che ogni associato conosca la identità degli altri ed abbia concreti rapporti con gli stessi), che per lo specifico ruolo del T., essendo ovvio che la diffusione, anche all’interno dell’organizzazione criminale interessata, di notizie relative ai fiancheggiatori di un capo latitante, sarebbe in larga misura contraddittoria con le ovvie esigenze di riservatezza imposte dalla situazione.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenti statuizioni sulle spese.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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