Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-03-2011, n. 7240 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con citazione dell’aprile 1998 la società americana U.S.A.A. – United services Automobile Association di S. Antonio-Texas, società assicuratrice per la r.c.a di un autoveicolo, di proprietà di M. S., che costui aveva affidato per l’esecuzione di riparazioni all’officina di riparazioni di M.L., conveniva quest’ultimo in giudizio, dinanzi al Pretore di Pordenone, per sentirlo condannare – in rivalsa ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 1, u.c. – alla rifusione di quanto corrisposto in forza della garanzia assicurativa sul veicolo dello S. in conseguenza di un sinistro stradale occorso fra esso, mentre era condotto durante l’affidamento, dal M., ed il veicolo di un terzo.

A sostegno della rivalsa adduceva che la causazione del sinistro era da addebitare all’esclusiva responsabilità del M. e che costui era risultato circolare con il veicolo dello S. munito di una targa di prova assicurata presso altra società, ma priva di copertura per mancato pagamento dei premi.

1.1. Il M. si costituiva e, oltre a contestare la domanda per motivi che qui non sono più di interesse, adduceva che al momento del sinistro l’autovettura non circolava con targa di prova – che egli aveva a bordo solo perchè doveva recarsi nella stessa mattinata a rinnovare la relativa polizza scaduta – bensì con la sua targa originaria AF1; sosteneva di essere autorizzato a circolare con veicoli targati AFI, sulla base di un accordo contrattuale con il Military Car Sales della Base USAF di (OMISSIS) relativo all’esecuzione di manutenzione e riparazione di veicoli; assumeva ancora che comunque l’affidamento del veicolo da parte dello S. lo legittimava a circolare. p. 1.2. Con sentenza del marzo del 2002 il Tribunale di Pordenone, subentrato al Pretore per effetto della soppressione dell’ufficio pretorile, accoglieva la domanda, reputando che il M. fosse unico responsabile del sinistro e, per quanto ancora in questa sede interessa, che al momento del sinistro non stesse circolando per provare l’autovettura, bensì per fini personali. p. 2. Sull’appello del M. la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado.
Motivi della decisione

p. 1. Il Collegio reputa inutile dar conto dei due motivi di ricorso, in quanto quest’ultimo appare tardivo.

Infatti, la copia autentica della sentenza depositata ritualmente dal ricorrente, dopo la pagina undici, che di seguito al dispositivo – che indica come data della deliberazione nella Camera di consiglio quella del 1 giugno 2005 – reca la sottoscrizione del consigliere estensore e del presidente del collegio ed una sottoscrizione con timbro del cancelliere senza alcuna data, nella successiva pagina dodici reca la seguente dicitura: "depositato in cancelleria il con timbro 13-6-2005 a penna e pubblicata il con timbro 4 luglio 2005 con timbro.

In base a tale attestazione del cancelliere la data di deposito della sentenza si identifica, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., commi 1 e 2, in quella del 13 giugno 2005. L’art. 133 c.p.c., infatti, costruisce la fattispecie della pubblicazione della sentenza come fattispecie complessa risultante da due comportamenti. Il primo è rappresentato dal "deposito" della sentenza da parte del giudice che l’ha pronunciata presso la cancelleria del suo ufficio. Tale attività, nei casi nei quali il giudice che pronuncia la sentenza è collegiale, è attività che deve compiere il presidente del collegio, attesa la sua posizione. Nessuna norma lo specifica, ma sembrerebbe doversi desumere dall’attribuzione che l’art. 132 c.p.c., comma 2, fa al presidente della sottoscrizione per il caso di impedimento o morte dell’estensore, sia dall’attribuzione delle funzioni del presidente impedito o morto al consigliere più anziano, oltre che naturalmente dalla stessa natura della posizione del presidente. L’attività di deposito necessariamente si concreta nella consegna dell’originale della sentenza, recante le sottoscrizioni del presidente e del relatore (salvo i de casi appena indicati), al cancelliere.

Lo fa manifesto l’art. 133, comma 2, che affida al cancelliere la seconda attività di cui si compone la pubblicazione, dicendo che "il cancelliere da atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma". L’attività del cancelliere assume valore decisivo di attestazione con efficacia di atto pubblico del momento nel quale il deposito è avvenuto. In forza di quanto attesta il cancelliere, indicando che il deposito è avvenuto e specificandone la data la fattispecie della pubblicazione si intende compiuta nel momento risultante da detta attestazione come momento di consegna dell’originale al cancelliere.

Il cancelliere, nell’ambito esclusivo delle sue funzioni amministrative è poi tenuto a procedere, com’è noto: a) sia all’annotazione del deposito nel registro delle sentenze e degli atti e provvedimenti emessi e pubblicati (art. 13, comma 1, n. 16, richiamato dal comma 4 per la corte d’appello, del D.M. Giustizia 27 marzo 2000, n. 264, emanato in base alla L. n. 59 del 1997, art. 11, comma 3 e giusta la previsione dell’art. 28 disp. att. c.p.c., come sostituito dalla L. n. 399 del 1991, art. 1); b) sia all’inserimento dell’originale del provvedimento nel registro cronologico dei provvedimenti e degli atti originali (art. 13, comma 1, n. 44, del citato D.M., pure richiamato per la corte d’appello dal comma 4).

Entrambe le attività è previsto debbano essere compiute anche su registri digitalizzati (art. 15 e ss. del citato D.M.).

Ebbene, queste attività del cancelliere sono estranee alla fattispecie della pubblicazione della sentenza, di cui all’art. 133 c.p.c., costituendo soltanto gli adempimenti successivi ad essi necessari per la tenuta degli atti dell’ufficio, fra cui le sentenze.

Ciò premesso, l’attestazione risultante sulla sentenza impugnata dell’essere stata la sentenza depositata il 13 giungo 2005 è quella che evidenzia il completamento della fattispecie complessa della sua pubblicazione agli effetti dell’art. 133 e, quindi, dell’art. 327 c.p.c., comma 1, cioè ai fini dell’inizio del decorso del c.d. termine lungo per l’esercizio del diritto di impugnazione. Detta attestazione avendo ad oggetto il deposito della sentenza esaurisce la suddetta fattispecie.

La successiva attestazione della "pubblicazione" in una data successiva, per un’evidente principio di non contraddizione fra due diverse attestazioni del cancelliere, che nel compierle è pubblico ufficiale, non può essere intesa come riferentesi al deposito quale attività risultante dalla successione fra consegna ed attestazione della consegna dell’originale del provvedimento, ma deve riferirsi ad attività che il cancelliere attesta compiuta dopo il deposito e che, dunque, nonostante l’uso del participio "pubblicata" nulla ha a che fare con la fattispecie dell’art. 133. Verosimilmente, si deve trattare dell’attività connessa alle indicate registrazioni cui il cancelliere è tenuto a procedere.

In base al paradigma dell’art. 133 c.p.c., il Collegio osserva che dovrebbe escludersi che il cancelliere, una volta avuta la consegna dell’originale della sentenza, cioè una volta avvenuto il suo "deposito", possa compiere l’attestazione della sua verificazione indicando una data diversa da quella della consegna. Ciò, perchè l’attività di attestazione supposta dall’art. 133, è prevista dal secondo comma della norma non come da compiersi una volta avvenuto il deposito, cioè come attività eventualmente successiva e, quindi, non necessariamente contestuale, bensì come attività di attestazione contestuale del deposito: la norma dice, infatti, che "il cancelliere da atto del deposito". Il dare atto si riferisce al deposito.

Tuttavia, come in ogni caso di previsione di una forma, la mancanza di un’espressa previsione di nullità per la sua inosservanza e la stessa circostanza che la pubblicazione è atto complesso, risultante, come si è detto, di due distinte "operazioni", l’eventuale mancanza di coincidenza cronologica, cioè di contestualità, fra la consegna (il deposito) dell’originale da chi vi sia autorizzato e l’attestazione di tale consegna (del deposito) da parte del cancelliere sull’originale, ove si verifichi (il che può darsi per notorio e pacifico, tenuto conto che l’adempimento di attestazione da parte del cancelliere può non essere immediatamente esigibile, per i carichi di lavoro dell’ufficio di cancelleria), non determina una nullità, atteso che non incide in alcun modo sulla idoneità della atto complesso a determinare i suoi effetti, a raggiungere cioè il suo scopo. Che è quello di dare pubblicità, cioè di assicurare un notum facere convenzionale, alla sentenza, ritenuto idoneo a far decorrere il c.d. termine lungo per la sua impugnazione, ove ammessa.

Ove ciò avvenga e sull’originale risulti apposta una attestazione di deposito che, in realtà non lo sia stata nel giorno della consegna dell’originale, l’eventuale dimostrazione aliunde di tale mancanza resta di norma irrilevante, a meno che risulti impossibile alla data del compimento dell’attestazione che possa essere attestato il deposito. Il che potrebbe accadere se, dopo la consegna dell’originale non attestata hic et inde, si sia verificato un evento che renda impossibile individuare al momento in cui si procede all’attestazione in la data del deposito: si pensi alla morte del Presidente dopo la consegna dell’originale. Non è questa la sede per soffermarsi sull’evenienza ora indicata.

L’ipotesi di mancanza di contestualità fra consegna dell’originale e attestazione dell’essere essa avvenuta di cui si discorre è, comunque, quella in cui sull’originale figuri solo l’attestazione successiva. Si tratta dell’ipotesi in cui formalmente la scissione fra i due momenti non emerga, perchè l’unica attestazione di deposito che figuri sull’originale è quella compiuta in una certa data.

Quando invece – come nella specie – figurino due date e la prima sia indicata come di deposito, oltre al principio di non contraddizione innanzi richiamato, assume rilievo l’espresso uso del termine "deposito", che è quello della legge e non v’è alcuna possibilità, specie se si considera che si è in tema di atto pubblico, di intendere quel termine in modo diverso da quanto l’art. 133, ritiene integrare la pubblicazione. Perchè la successiva attestazione di "pubblicazione" faccia aggio su quella di deposito è necessario che nello stesso atto formale di attestazione vi sia una qualche espressione che riveli che l’attestazione di deposito non è quella indicata dall’art. 133 c.p.c.. Il che mai può accadere se si parli di deposito sic et simpliciter.

E’ appena il caso di osservare che nella specie l’attestazione del "depositato" non è riferita all’eventuale minuta con cui la sentenza potrebbe essere stata redatta (per cui si veda la disciplina dell’art. 119 disp. att. c.p.c.). Ipotesi questa, peraltro, che non sembra essere occorsa nella specie anche perchè alla pagina undici figura la sottoscrizione del cancelliere, il che, se anche ve ne fosse bisogno (ma così non è dato il tenore dell’attestazione del "depositato") conferma che il cancelliere ricevette in consegna direttamente l’originale. p. 2. Quanto fin qui affermato è sostanzialmente conforme alla giurisprudenza della Corte.

Si veda, per una fattispecie concreta quasi similare a quella che si giudica, Cass. n. 17290 del 2009: "Ai fini della decorrenza del termine annuale per l’impugnazione, occorre avere riguardo al momento in cui, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. civ., comma 2, la sentenza è resa pubblica mediante il deposito risultante dall’annotazione apposta dal cancelliere in calce alla sentenza, la quale costituisce atto pubblico la cui efficacia probatoria, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., può essere posta nel nulla solo con la proposizione della querela di falso. (Nell’enunciare il suddetto principio, la S.C. ha escluso la rilevanza della diversa attestazione del cancelliere sentenza pubblicata con timbro avente data successiva a quella in cui la sentenza risultava depositata in cancelleria)".

Si veda, per un caso di presenza di due timbri di deposito con date l’una successiva all’altra, Cass. n. 20858 del 2009, secondo la quale: "Qualora la sentenza presenti, oltre la firma del giudice, due timbri di deposito entrambi sottoscritti dal cancelliere, al fine di individuare il giorno del deposito, dal quale decorre il termine di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 cod. proc. civ., occorre far riferimento alla prima data, in riferimento alla quale risulta accertata la formazione della sentenza per la ricorrenza dei requisiti indispensabili prescritti dall’art. 133 cod. proc. civ., comma 1 (ovvero la consegna della sentenza da parte del giudice al cancelliere e il suo contestuale deposito da parte di quest’ultimo), atteso che il successivo timbro di deposito, non potendo attestare un evento già verificatosi (la pubblicazione della sentenza), è riconducibile agli adempimenti a carico del cancelliere medesimo, di cui all’art. 133 cod. proc. civ., comma 2".

Si riferisce, invece, ad ipotesi nella quale sull’originale mancava attestazione del deposito da parte del cancelliere, Cass. n. 2084 del 1992, la quale (come già Cass. n. 381 del 1962), osservò che in tale caso il momento della pubblicazione si può identificare con le attestazioni del cancelliere sui registri da li tenuti, il che si spiega per la loro idoneità ad evidenziare con certezza legale il deposito della sentenza.

Non condivisibile appare, invece, Cass. n. 12681 del 2008, secondo la massima della quale "Per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 cod. proc. civ., il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione e, laddove sulla sentenza pubblicata appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è solo a quest’ultima che bisogna aver riguardo ai fini della decorrenza del termine". 11 principio emergente dalla massima, peraltro, non corrisponde alla motivazione, la quale non è chiaro se si riferisca ad ipotesi in cui la prima data concerneva il deposito della minuta della sentenza, come farebbe supporre l’unico argomento su cui la sentenza si fonda, che è basato sull’evocazione della disciplina dell’art. 119 c.p.c.. Si osserva ancora che si riferisce a questa ipotesi Cass. n. 14862 del 2009, che espressamente è massimata come conforme a Cass. n. 12681 citata e la richiama.

3. Ora, nella fattispecie, avuto riguardo alla data del 13 giugno 2005 come data del deposito e, quindi, della pubblicazione della sentenza impugnata, il ricorso appare tardivo, perchè il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, aggiungendo all’anno solare scaduto il 13 giugno 2006 i quarantasei giorni per la sospensione del periodo feriale del 2005, il termine scadeva il 29 luglio 2006, che era sabato, ma non poteva considerarsi festivo in relazione al procedimento di cui è causa (si veda Cass. (ord.) n. 15536 del 2009).

Il ricorso è stato notificato, invece, il 3 ottobre 2006.

Conclusivamente il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile sulla base del seguente principio di diritto: "Allorquando sull’originale della sentenza figuri l’attestazione del cancelliere che la sentenza è stata depositata in una certa data e pubblicata in una data successiva, poichè la pubblicazione della sentenza, per come individuata dalla norma dell’art. 133 c.p.c., consta di un’attività del giudice, consistente nella consegna dell’originale al cancelliere e di un’attività di quest’ultimo consistente nel dare atto della consegna, deve ritenersi che la data di pubblicazione della sentenza sia la prima attestata come di deposito della sentenza, dovendosi la seconda data, pur riferita alla pubblicazione, correlarsi ad attività compiute dal cancelliere o nell’ambito dei suoi doveri di tenuta dei registri di cancelleria o di avviso alle parti dell’avvenuto deposito. Attività, le une e le altre, estranee alla nozione normativa di pubblicazione della sentenza".

E’ da rilevare che l’applicazione di tale principio di diritto non si risolve in un sacrificio dell’affidamento della parte che deve esercitare il diritto di impugnazione nel c.d. termine lungo, perchè essa, in presenza di una attestazione secca di deposito della sentenza in una certa data non può intendere la fattispecie concreta se non come integratrice della fattispecie astratta dell’art. 133 c.p.c., la quale riferisce l’attività di attestazione spettante al cancelliere non alla "pubblicazione", ma al deposito.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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