Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-11-2010) 16-02-2011, n. 5805 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 17.6.20101, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari dispose la custodia cautelare in carcere di P.C., indagato per i reati di art. 416 bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 8, dall’agosto del 2006 all’attualità, L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, L. n. 110 del 1975, art. 23, L. n. 203 del 1991, art. 7, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3, e 4 con l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il ricorrente proponeva istanza di riesame e il Tribunale con ordinanza del 22.7.2010, in parziale accoglimento della stessa, annullava la gravata ordinanza in ordine al delitto di cui al capo b1) confermandola per i residui due delitti.

Si tratta di una complessa indagine (operazione Osiride) condotta dal Distretto antimafia di Bari in ordine ad una associazione di stampo mafioso radicatasi nei territori di Ceglie del Campo, Adelfia, Capurso e Valenzano diretta alla commissione di delitti contro il patrimonio, la persona, in materia di armi ed al narcotraffico, con a capo D.C.A..

L’ordinanza del Tribunale ricostruiva il nuovo radicarsi nel territorio del clan, dopo una prima operazione giudiziaria, rilevata da intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonchè da servizi di osservazione, pedinamento e controllo del territorio.

L’ordinanza alle pagine 6-10 ricostruiva l’orientamento giurisprudenziale in ordine alla sussistenza degli elementi integranti il reato di cui all’art. 416 bis c.p., nonchè in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e richiamava sul punto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza le dichiarazioni rese dai numerosi collaboratori di giustizia come R.N., C.M., D.B.N., A. A., V.V., R.A. e O.M., nonchè le informative di P.G. che consentivano di affermare con assoluta certezza la natura di associazione mafiosa del clan facente capo al D.C. visto il radicamento nel territorio, la nomina di referenti locali del capoclan, la detenzione di armi e di motorini ricettati utilizzati anche in spedizioni punitive, l’insorgere di conflitti violanti con sodalizi avversari per il controllo di territorio, la celebrazione di riti iniziativi ed affiliazioni, la muta assistenza tra sodali, l’omertà diffusasi nell’ambiente in cui operava il clan, operazioni estorsive per il pagamento del pizzo.

A pagg. 16 e 17 si richiamano le operazioni di narcotraffico in grande stile (individuate dalla P.G.) con la predisposizione di stabili canali di rifornimento anche da paesi stranieri, una suddivisione organica di ruoli per lo spaccio, la predisposizione di luoghi ove riparare la sostanza stupefacente, l’esistenza di mezzi strumentali all’attività di spaccio.

Per la specifica posizione del P. il Tribunale rilevava la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza circa l’adesione all’associazione sub a) e a quella sub c) dall’agosto del 2006; circa il primo punto sussistevano e dichiarazione dei collaboratori di giustizia R.N. e C.M.; il R. ha riferito che il ricorrente fu uno della capritata che prese parte alla sua cerimonia di affiliazione; inoltre partecipò al commando armato composto dal M.G. e dallo S.R. che aveva attaccato appartenenti al clan rivale Stramaglia come riferito da Bu.Sa. e aveva indicato il P. come uno dei vertici del clan Di Cosola.

Il C. riferiva a sua volta dell’affiliazione, non indicando però il padrino e chiariva che operava per il clan in Bitritto.

Da una intercettazione emergeva che il ricorrente aveva partecipato ad un rito di affiliazione mafiosa, in altra si riferiva che nell’ambito di una commissione per un rito iniziatico il P. era un membro sfavorevole, in altra il D’. riferiva proprio al P. di alcune promozioni intervenute nel comune clan. Circa il reato sub c) si richiamano gli esiti di numerose intercettazioni riguardanti il contributo offerto dal ricorrente all’attività di spaccio in Ceglie con ordini ai sottoposti ed ai puscher con l’incarico anche di recuperare somme per forniture di stupefacente non saldate.

Il Tribunale rilevava il certo pericolo di reiterazione nel reato alla luce della estrema gravità dei fatti, dei precedenti penali e dei rapporti con gli altri membri del clan. Ricorre l’imputato che allega l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Era del tutto illogico la contestazione dell’appartenenza a due associazioni per periodi diversi, sebbene le fonti di prova fossero le stesse.

Circa l’elemento della partecipazione ad una cerimonia di iniziazione emergeva che gli agenti intervenuti ad osservare e seguire l’evento non avevano individuato proprio il ricorrente.

Non era emerso alcun elemento che provasse la partecipazione del ricorrente ad atti estorsivi o una sua partecipazione a momenti di spartizione del bottino.

Nelle dichiarazioni del R. non si indica il grado di camorra rivestito dal ricorrente, nè la qualità rivestita all’interno della capriata.

Il R. peraltro era molto risentito nei confronti del clan Di Cosola e pertanto le sue dichiarazioni non sono attendibili.

Al D.C. era già state sequestrate armi e pertanto tale circostanza priva di riscontro le dichiarazioni del R..

Il R. dichiarava di una stanza presso la propria abitazione adibita a rifugio, ma questa non fu trovata dall’A.G..

Non c’erano riscontri di sorta all’episodio narrato dal R. della partecipazione del ricorrente ad un agguato a membri di un clan rivale.

L’altro collaboratore il C. non aveva saputo indicare il padrino del ricorrente, il suo ruolo e del suo grado.

Le dichiarazioni sono del tutto generiche.

In generale il collaboratore è poco credibile come mostrato dall’episodio di una spartizione di soli 1.500,00 Euro tra 11 persone.

La telefonata nel corso della quale emergerebbe che il ricorrente avrebbe avuto la carica di quarta non è riscontrato da altri elementi e non è accertato che al telefono fosse proprio il P..

Ancor più nebulosi sono i contorni della pretesa partecipazione del ricorrente all’associazione per il narcotraffico.

Gli assuntori non hanno mai fatto riferimento al ricorrente, non ci sono stati sequestri a lui riconducibili, i soggetti identificati per i canali con l’Olanda e la Germania non hanno alcun collegamento con il ricorrente, il C. attribuisce come zona di operatività del ricorrente Bitritto, mentre per l’impostazione accusatoria si tratta di Ceglie; dalle intercettazioni effettuate non si desume mai il ruolo del ricorrente.

Le conversazioni captate con altri sodali sono pochissime e al più potrebbero determinare il concorso in singoli episodi di spaccio e detenzione di stupefacente.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa la pretesa manifesta illogicità e comunque la carenza della motivazione della sentenza impugnata va ricordato l’orientamento di questa Corte (cass. Sez. un. n. 11/2000) secondo cui:

"in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

(In motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 c.p.p. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza)".

Ora il Tribunale ha osservato che i gravi indizi di colpevolezza circa l’adesione all’associazione sub a) e a quella sub c) dall’agosto del 2006 sussistono alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia R.N. e C.M.;

il R. ha riferito che il ricorrente fu uno della capritata che prese parte alla sua cerimonia di affiliazione; inoltre partecipò al commando armato composto dal M.G. e dallo S. R. che aveva attaccato appartenenti al clan rivale Stramaglia come riferito da Bu.Sa. e aveva indicato il P. come uno dei vertici del clan Di Cosola.

Il C. riferiva a sua volta dell’affiliazione, non indicando però il padrino e chiariva che operava per il clan in Bitritto.

Da una intercettazione emergeva che il ricorrente aveva partecipato ad un rito di affiliazione mafiosa, in altra si riferiva che nell’ambito di una commissione per un rito iniziatico il P. era un membro sfavorevole, in altra il D’. riferiva proprio al P. di alcune promozioni intervenute nel comune clan. Circa il reato sub c) si richiamano gli esiti di numerose intercettazioni riguardanti il contributo offerto dal ricorrente all’attività di spaccio in Ceglie con ordini ai sottoposti ed ai puscher con l’incarico anche di recuperare somme per forniture di stupefacente non saldate.

Tali elementi allo stato appaiono una solida piattaforma indiziaria che integra le dichiarazioni rese dai collaboranti che allegano anche episodi specifici molto gravi a carico del ricorrente, ai riscontri oggettivi e indubitabili delle intercettazioni effettuate.

Le deduzioni per cui la voce in alcuni casi non sarebbe quella del ricorrente o non si parlerebbe di costui sono del tutto generiche e prive di riscontri.

Emerge dal complesso indiziario l’intraneità del ricorrente nel clan di appartenenza come dimostrano gli episodi di partecipazione a riti iniziatici riservato notoriamente ai dirigenti delle organizzazioni criminali.

Anche sul punto dell’associazione per lo spaccio le deduzioni sono del tutto generiche e non giungono nemmeno a contestare l’esistenza di plurimi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, mentre dalla intercettazioni emerge in realtà un’opera direttiva da parte del ricorrente con istruzioni ai sottoposti circa l’illecita attività.

La motivazione appare congrua e logicamente coerente; mentre le censure sono di mero fatto, spesso non circostanziate e generiche, soprattutto riguardo le intercettazioni svolte.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal cit. art. 94, comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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