T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 11-02-2011, n. 458 Energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società R. s.r.l. ha impugnato gli atti indicati in epigrafe deducendone l’illegittimità per violazione di legge, in relazione, in particolare, alla legge 1981 n. 689, nonché per eccesso di potere sotto diversi profili e prospettando, in relazione alla contestazione del quantum della sanzione irrogata, l’incostituzionalità dell’art. 2, comma 20 lett. c, della legge 1995 n. 481 nella parte in cui stabiliva un minimo edittale sanzionatorio pari a Euro 25.822,84.

L’amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza del ricorso avversario chiedendone il rigetto.

All’udienza del giorno 03.02.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1) In punto di fatto va osservato che, con la deliberazione n. 237/00 del 28.12.2007, l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (d’ora in poi A.E.E.G. o Autorità) definiva i criteri per la determinazione delle tariffe per le attività di distribuzione del gas e di fornitura ai clienti del mercato vincolato, individuando, tra l’altro, un coefficiente di correzione rapportato alle caratteristiche altimetriche e climatiche delle singole zone (c.d. coefficiente M, il cui valore è specificato nelle tabelle allegate alla delibera).

Con deliberazione n. 124/07, datata 01.06.2007, l’Autorità avviava un’istruttoria conoscitiva sull’applicazione da parte delle imprese di trasporto, distribuzione e vendita del gas naturale, tra l’altro, del coefficiente di adeguamento tariffario stabilito con la deliberazione n. 237/00.

La relativa istruttoria veniva chiusa dall’Autorità con la deliberazione n. 227/07 del 18.09.2007, mediante la quale veniva altresì disposta l’acquisizione del resoconto elaborato dagli Uffici dell’Autorità che avevano svolto l’attività istruttoria.

Successivamente, con deliberazione n. 300/07 del 04.12.2007, l’Autorità avviava un’istruttoria formale per l’adozione di provvedimenti prescrittivi e sanzionatori nei confronti di alcune imprese di distribuzione e vendita del gas naturale, compresa la società R. s.r.l. per violazione dei provvedimenti dell’A.E.E.G. relativi al coefficiente di adeguamento tariffario M.

Infine, con deliberazione datata 4 agosto 2008 – VIS 75/08, l’Autorità accertava la violazione da parte della società R. s.r.l. delle disposizioni in merito al coefficiente M di cui alla deliberazione n. 237/00 e irrogava alla società medesima una sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 2, comma 20 lett. c, della legge 1995 n. 481, pari ad 25.822,84 Euro.

La violazione contestata dall’A.E.E.G. consiste nell’applicazione da parte di R. s.r.l., in relazione a due delle località servite, di un valore del coefficiente M superiore a quello prescritto.

In particolare, la delibera impugnata specifica che "la società ha dichiarato di aver applicato un coefficiente M: – per la località di Brusaporto, limitatamente all’anno 2006, per un valore di 1,02, mentre il valore stabilito dall’Autorità era pari a 1,01; – per la località di Ponteranica, limitatamente all’anno 2006, per un valore di 1,01, mentre il valore stabilito dall’Autorità era pari a 1,00".

2) Con il primo e con il terzo dei motivi proposti – che possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi sul piano logico giuridico – la ricorrente lamenta la violazione della delibera A.E.E.G. 2004 n. 138, nonché la violazione dell’art. 3 della legge 1981 n. 689, rilevando che nel caso concreto l’utilizzazione di un coefficiente M diverso da quello previsto sarebbe dipesa unicamente dall’omessa comunicazione da parte delle imprese di distribuzione del coefficiente correttivo da applicare, sicché l’atto impugnato sarebbe stato adottato senza alcuna considerazione delle prescrizioni dettate dalla delibera A.E.E.G. 2004 n. 138.

Inoltre, mancherebbe l’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che – come evidenziato – proprio le erronee indicazioni ricevute dalle imprese concessionarie del pubblico servizio di distribuzione del gas sarebbero alla base dell’applicazione di un coefficiente M non corrispondente ai valori fissati dall’A.E.E.G..

La ricorrente evidenzia, inoltre, che la violazione non ha comportato un concreto vantaggio economico per la società, né un reale pregiudizio per gli utenti.

I motivi sono infondati.

In relazione al primo dei profili dedotti, occorre considerare l’irrilevanza della delibera 2004 n. 138 rispetto alle violazioni commesse dalla società.

Invero, la delibera n. 138 disciplina la adozione di garanzie per il libero accesso al servizio di distribuzione del gas naturale e di norme per la predisposizione dei codici di rete, quindi ha un ambito oggettivo di applicazione che non incide sul dovere della società ricorrente di applicare i coefficienti M individuati dall’Autorità.

In particolare, l’art. 8 della delibera n. 134, cui fa riferimento la ricorrente, individua solo una serie di dati, informazioni e documenti che le imprese di distribuzione del gas devono tenere a disposizione dell’Autorità.

Viceversa, l’art. 13 – nella versione integrata della delibera n. 138 in vigore dal 30 luglio 2009 e, quindi, da epoca successiva all’adozione del provvedimento impugnato – impone ai distributori di comunicare agli utenti (venditori) "…la classe del contatore e l’eventuale coefficiente correttivo dei volumi".

Si tratta di un previsione diretta a favorire l’accesso per l’attivazione della fornitura in relazione ai punti di riconsegna dell’impianto di distribuzione che interessano il venditore richiedente, ma che non incide sull’obbligo di quest’ultimo di applicare i valori del coefficiente M stabiliti nelle tabelle allegate alla deliberazione AEEG 237/00 in relazione alle zone climatiche e ai valori altimetrici delle diverse località.

In altre parole, l’obbligo del distributore di fornire al venditore alcuni dati – tra cui l’eventuale coefficiente correttivo dei volumi – non esclude, né condiziona l’obbligo del venditore di applicare il coefficiente M relativo a ciascuna località servita, né attenua il dovere di diligenza gravante sul venditore medesimo in ordine all’accertamento dell’effettivo valore M da applicare.

Tali considerazioni consentono di superare anche la doglianza afferente alla mancanza di colpa.

L’art. 3 della legge 1981 n. 689 prevede che "Nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa".

La giurisprudenza consolidata considera che, ai sensi del citato art. 3 della legge n. 689 del 1981, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, sia essa dolosa o colposa, senza che occorra la concreta dimostrazione da parte dell’amministrazione del dolo o della colpa, in quanto la norma pone una presunzione di colpa, in ordine al fatto vietato, a carico di colui che lo abbia commesso, con la conseguenza che grava su quest’ultimo l’onere di provare di aver agito senza colpa.

Del resto, è pacifico che la buona fede, quale causa di esclusione della responsabilità in base al secondo comma dell’art. 3, si configura quando la violazione è dipesa da un errore sul fatto non determinato da colpa e cioè non evitabile neppure con l’ordinaria diligenza (cfr. sul punto Cassazione, Sezioni Unite, 06 ottobre 1995, n. 10508; Cassazione Civile 08 marzo 2000, n. 2642; Cassazione Civile 28 agosto 2003, n. 12391; Cassazione Civile 28 aprile 2006, n. 9862; Cassazione Civile 07 luglio 2006, n. 15580; Cassazione Civile 11 giugno 2007, n. 13610).

Nel caso di specie la ricorrente si limita ad allegare che l’utilizzo di un coefficiente diverso da quello prescritto è dipeso dalle erronee indicazioni ricevute dalle imprese concessionarie del servizio di distribuzione del gas; tuttavia, tale allegazione non vale a configurare una falsa rappresentazione della realtà non evitabile con l’impiego della dovuta diligenza, sicché non integra l’esimente della buona fede prevista dall’art. 3, comma 2, della legge 1981 n. 689, né incide – come già evidenziato – sull’obbligo delle imprese venditrici di applicare i valori corretti del coefficiente M.

Sul punto è sufficiente notare che la delibera n. 237/00 (cfr. doc. 9 di parte resistente) contiene delle tabelle che definiscono in modo chiaro e preciso i valori del coefficiente M da applicare in relazione alle zone climatiche e ai valori altimetrici, sicché la semplice consultazione del documento consente di individuare il fattore M da applicare nelle diverse ipotesi.

Del resto, a fronte dell’immediata percepibilità dei valori da applicare, non è dato rilevare – in base alla documentazione versata in atti – alcun comportamento, indicazione o interpretazione da parte dell’Autorità idoneo ad indurre in errore la società interessata e tale da fondare uno stato soggettivo di buona fede.

Sotto altro profilo, si è già rilevato che la buona fede non può correlarsi ad un errore evitabile mediante l’impiego dell’ordinaria diligenza, che, nel caso di specie, non è quella del buon padre di famiglia, ma quella propria del soggetto che svolge un’attività professionale, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., visto che la società ricorrente esercita professionalmente l’attività di fornitura di gas, sicché la diligenza cui è tenuta deve essere valutata secondo la natura dell’attività esercitata e si traduce nella doverosa predisposizione delle cautele necessarie a garantire anche la scrupolosa osservanza dei parametri di calcolo delle tariffe.

Nel caso di specie tale dovere di diligenza non può ritenersi rispettato, in quanto la violazione non ha assunto carattere del tutto sporadico, ma ha riguardato due distinte località e si è protratta per l’intero anno 2006; pertanto, è del tutto coerente ritenere che la società non abbia serbato una condotta parametrata ai doveri di diligenza propri dell’attività svolta.

Del resto, la circostanza che successivamente la società si sia attivata per restituire ai clienti le somme indebitamente percepite integra solo l’adempimento di una specifica obbligazione restitutoria, ma non è indice di buona fede, perché non si traduce in un dato oggettivo che consenta di configurare come scusabile l’errore precedentemente commesso.

Parimenti, non vale ad escludere la sussistenza della violazione contestata dall’Autorità la circostanza che gli utenti finali abbiano sopportato un esiguo pregiudizio economico e che la società non abbia conseguito un concreto vantaggio in conseguenza della violazione.

In proposito, è sufficiente osservare che ai sensi dell’art. 2.1 lett. c) e d) dell’Allegato A della delibera A.E.E.G. 144/08 – recante le "linee guida sull’applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’autorità per l’energia elettrica e il gas ai sensi dell’art. 2, comma 20, lett. C), della legge 14 novembre 1995, n. 481" – sia l’eventuale pregiudizio cagionato agli utenti, sia l’eventuale vantaggio, anche economico, conseguito dall’autore della violazione, rilevano solo ai fini della gravità dell’illecito, ossia per la quantificazione della sanzione, ma non sono degli elementi costitutivi dell’illecito medesimo.

Invero, l’illecito di cui si tratta prescinde dalla concreta produzione di un danno agli utenti essendo diretto a realizzare una tutela anticipata di interessi di particolare rilievo, alla cui protezione tende la predeterminazione dei criteri tariffari da parte dell’Autorità, quali gli interessi dei consumatori, che acquistano energia elettrica e gas, nonché l’interesse alla realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato (sul carattere anticipato della tutela nei casi in esame si consideri Tar Lombardia Milano, sez. III, 01.07.2009, n. 4248).

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dei motivi in esame.

3) Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce il travisamento dei fatti, in quanto il calcolo del coefficiente M da applicare in relazione alla località Ponteranica sarebbe dipeso dall’errata applicazione del d.p.r. 1993 n. 412 nella parte in cui individua l’altitudine delle diverse località, ossia uno degli elementi di cui tenere conto al fine dell’esatta determinazione del valore del coefficiente M da applicare in concreto.

In particolare, si evidenzia che mentre il d.p.r. 1993 n. 412 indica per tale località un’altitudine pari a metri 300, al contrario l’A.E.E.G. ha valorizzato un’altitudine di 381 metri.

La censura non merita condivisione.

In primo luogo, va osservato che la contestazione non è supportata da un interesse concreto ed attuale, atteso che concerne solo una delle località per le quali è stato applicato un coefficiente M diverso da quello stabilito con la delibera n. 237/00, sicché, considerato che la sanzione è stata applicata in misura pari al minimo edittale, l’eventuale accoglimento della doglianza non condurrebbe ad una riduzione della sanzione.

Inoltre, va osservato – sempre in relazione ai profili inammissibilità della censura di cui si tratta – che i valori correttivi da applicare in ciascuna località dipendono da due fattori, ossia l’altitudine e i gradi giornalieri, entrambi indicati nella delibera 237/00, così come il coefficiente M relativo alla località in contestazione, ma, ciò nonostante, tale delibera non è stata oggetto di impugnazione.

In ogni caso, ai fini della completezza dell’esame della doglianza di cui si tratta, va osservato che non coglie nel segno il richiamo al d.p.r. 1993 n. 412 ai fini dell’individuazione dell’altitudine delle diverse località.

Invero, l’art. 1 della delibera n. 237 rinvia al d.p.r. 1993 n. 412 solo ai fini dell’individuazione della zona climatica e non della zona altimetrica, individuata, invece, mediante il riferimento ad una specifica indagine Istat.

In particolare l’art. 1 specifica alle lettere ff) e GG9 che: "ff) zona altimetrica è la zona di attribuzione dei comuni italiani in relazione all’orografia del territorio, indicata dall’Istat nell’indagine "Popolazione e movimento anagrafico dei Comuni. Anno 1999", pubblicata su supporto magnetico; gg) zona climatica è la zona di attribuzione dei comuni italiani in relazione al clima, definita all’allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Supplemento ordinario, Serie generale n. 242 del 14 ottobre 1993".

Ne deriva che il riferimento al d.p.r. 1993 n. 412 non è decisivo nel caso di specie atteso che esso riguarda la individuazione delle zone climatiche e non le zone altimetriche.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza della censura in esame.

4) La ricorrente prospetta poi l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 20 lett. c), della legge 1981 n. 689 se inteso come diretto a stabilire un minimo edittale della sanzione non ulteriormente decurtabile dall’Autorità.

La questione di costituzionalità, sollevata in relazione agli artt. 3, 41 e 97, comma 1, Cost. e prospettata in termini di irragionevolezza della fissazione per legge di un minimo edittale, non ulteriormente decurtabile, della sanzione pecuniaria, è manifestamente infondata.

La scelta del minimo edittale è espressione di un’ampia discrezionalità del legislatore, fermo restando che il principio di ragionevolezza, fondato sull’art. 3 della Cost., richiede che il minimo sia fissato in coerenza con la finalità afflittiva e dissuasiva che è propria delle sanzioni pecuniarie, anche in un’ottica di prevenzione speciale, nonché tenendo conto della rilevanza degli interessi che possono essere pregiudicati dalle violazioni commesse nel particolare settore di riferimento.

Ecco allora che, in relazione al particolare settore della regolazione dell’energia elettrica e del gas, entro il quale si esplica il potere sanzionatorio dell’A.E.E.G., appare ragionevole la fissazione di un limite edittale minimo pari a circa 25.000,00 Euro, tenendo conto, in primo luogo, della rilevanza degli interessi dei consumatori, imprese e privati, cui si rivolge la somministrazione dell’energia elettrica e del gas, nonché della correlazione che intercorre tra il rispetto dei criteri tariffari stabiliti dall’Autorità e la realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato.

D’altro canto, proprio prendendo come riferimento la posizione della società ricorrente, che presenta un fatturato di circa 7,2 milioni di Euro (cfr. come risulta dalla deliberazione n. 75/2008, non contestata sul punto), pare evidente che, in relazione al settore cui si riferisce il potere sanzionatorio dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, il minimo edittale stabilito dall’art. 2, comma 20 lett. c), della legge 1995 n. 481, nel testo vigente alla data di emanazione del provvedimento sanzionatorio (pari a circa 25.000,00 Euro), è coerente con la ratio afflittiva e dissuasiva della sanzione pecuniaria (su tali profili il Tribunale si è già espresso con la sentenza Tar Lombardia Milano, sez. III, 24 novembre 2009, n. 5131).

Va, pertanto, ribadita la manifesta infondatezza della censura di incostituzionalità sollevata dalla ricorrente.

5) In definitiva, il ricorso è infondato nei limiti dianzi esposti e deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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