Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-11-2010) 16-02-2011, n. 5829 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 22 marzo 2010 la Corte d’appello di Palermo, sezione terza penale, ha confermato la sentenza emessa il 5 agosto 2009 dal Tribunale di Termini Imerese, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato S.F. responsabile del delitto di incendio pluriaggravato ascrittogli nella forma tentata, e lo aveva condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti ed operata la diminuzione per il rito, alla pena finale di anni uno e mesi otto di reclusione, con la confisca di quanto in sequestro e la condanna al risarcimento dei danni in favore dell’Ente Parco delle Madonie, costituito parte civile, liquidati equitativamente nella complessiva somma di Euro 2.000,00. 2. In base alla contestazione formulata, S.F. il (OMISSIS), alle ore 1,50 circa, aveva compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco, a cagionare un incendio, appiccando il fuoco in due punti, in una zona caratterizzata dalla presenza, per una notevole estensione, di erba alta e secca, nel comune di Petralia Sottana, nei pressi della strada statale (OMISSIS) e nelle vicinanze della centrale ENEL e di alcune abitazioni.

L’intervento dei Carabinieri, che avevano ricevuto la segnalazione di incendio, aveva evitato che le fiamme determinassero conseguenze più gravi.

3. I giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità dell’imputato sulla base dei seguenti elementi:

– esito delle indagini di polizia giudiziaria svolte dai Carabinieri che, intervenuti sul posto, avevano notato due focolai di incendio a distanza di circa cento – centocinquanta metri, avevano assunto sommarie informazioni e avevano visto, dopo il secondo focolaio da poco appiccato, una persona lungo la strada, poi identificata nell’imputato, che aveva tra le mani, che odoravano di fumo, un pacchetto di fazzoletti e un accendino;

– sommarie informazioni rese da N.A., che aveva riferito di avere notato una persona che percorreva a piedi la strada, sul bordo della quale vi era un principio di incendio; di avere rilevato, dopo la segnalazione dell’incendio al custode del terreno interessato e ai Carabinieri, un secondo inizio di incendio a circa centocinquanta metri di distanza nella stessa direzione in cui si era allontanata la persona già vista, e di avere visto detta persona allontanarsi lungo una strada secondaria di campagna;

– identificazione della persona indicata dal N. con la persona individuata dai Carabinieri e arrestata in flagranza di reato in prossimità del secondo focolaio di incendio;

– lacunosita e genericità delle dichiarazioni rese dal S. non riscontrate da altre risultanze istruttorie.

4. Avverso la sentenza di secondo grado, che ha ritenuto infondato l’appello dopo aver ripercorso gli elementi di prova e le considerazioni svolte dal primo giudice, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, il quale lamenta, con unico motivo, la violazione dell’art. 606 c.p.p., per manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’affermazione della sua responsabilità penale.

Secondo il ricorrente la Corte d’appello non avrebbe analizzato tutte le argomentazioni difensive addotte con l’atto di appello e le tematiche poste alla sua attenzione in ordine alla mancanza di flagranza e quasi – flagranza di reato e alla mancanza della piena prova della sua colpevolezza, alla luce della ricostruzione dei fatti e del comportamento tenuto.

Si assume, in particolare, nel ricorso che la ricostruzione dei fatti proposta con l’atto di appello e in sede di discussione dal ricorrente, che ha escluso di avere fazzoletti di carta tra le mani, ha precisato di tenere in mano un accendino solo per farsi luce e di avere solo attraversato la strada statale (OMISSIS), ed ha negato di avere appiccato il fuoco, è compatibile con le risultanze del verbale delle sommarie informazioni rese dal N. e con il verbale di arresto, e che sono, invece, incompatibili con l’affermata responsabilità penale del ricorrente "i tempi e gli spazi" emergenti dagli atti, inverosimile l’odore del fumo sulle sue mani, contrario alla logica la sua intenzione di appiccare il fuoco nei pressi della sua campagna e probabile la presenza di un diverso autore dell’incendio, rimasto anonimo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione deve essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza la possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, e di procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944; e, tra le successive conformi, Sez. 1, n. 6383 del 13/11/1997, dep. 19/02/1998, Villani, Rv. 209787; Sez. 1^, n. 1685 del 19/03/1998, dep. 04/05/1998, Marrazzo, Rv. 210560;;

Sez. 1^, n. 12496 del 21/09/1999, dep. 04/11/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214567; Sez. 4^, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia e altri, Rv. 229369; Sez. 5^, n. 46124 del 08/10/2008, dep. 15/12/2008, Magliaro, Rv. 241997; Sez. 6^, n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, Capanna e altro, Rv. 248192).

Non integra, infatti, manifesta illogicità della motivazione, come vizio denunciabile in questa sede, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, nè la diversa ricostruzione degli atti ritenuta più logica, nè la minima incongruenza, nè la mancata confutazione di una deduzione difensiva.

L’illogicità della motivazione deve, invece, consistere in carenze logico – giuridiche, risultanti dal testo del provvedimento impugnato ed essere evidenti, e cioè di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. U, n, 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205621; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260 Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074; e tra le successive conformi, Sez., 3^, n. 40542 del 12/10/2007, dep. 06/11/2007, Marrazzo e altro, Rv. 238016, Sez. 3^, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Merja, Rv. 248698).

3. In questo contesto le censure di manifesta illogicità della motivazione formulate dalla difesa dell’imputato si profilano come doglianze di merito non consentite, in quanto la sentenza impugnata, con motivazione puntuale e logicamente articolata, ha diffusamente analizzato, alla luce dei rilievi formulati con i motivi di appello, le risultanze processuali (indicate nella prima parte della sentenza), illustrando e coerentemente giustificando la ricostruzione dei fatti sulla base degli elementi acquisiti con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (tra le altre, Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000, Moro G., Rv. 215745).

Nè possono trovare ingresso in questa sede gli inviti della difesa ad una ricostruzione alternativa dei fatti posti a fondamento della decisione o ad una rilettura in diversa prospettiva logica degli elementi probatori posti dai giudici di merito, con coerente iter argomentativo, a fondamento della ritenuta sussistenza degli estremi in concreto del reato contestato e della sua soggettiva riconducibilità al ricorrente.

Questa operazione trasformerebbe, infatti, questa Corte in ulteriore giudice del fatto e le impedirebbe di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito, cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza, non sia puramente assertiva o palesemente incongrua.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese e onorari della parte civile, relativi al presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese e onorari della parte civile liquidati in Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *