T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 11-02-2011, n. 143 Legittimità o illegittimità dell’atto società

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

1. Il "consorzio A." s.c.r.l., con sede in Alessandria, è una società cooperativa attiva nel campo della formazione professionale e delle attività formative. Essa ha ottenuto, sin dal 2002, l’accreditamento presso la Regione Piemonte ai fini di organizzare corsi di formazione per lavoratori ed imprese con i finanziamenti pubblici di cui al decretolegge n. 148 del 1993 (recante "Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione"), convertito in legge n. 236 del 1993. La società è stata, pertanto, individuata quale "sede operativa di formazione professionale e orientamento" presso la Regione Piemonte, con l’attribuzione del "codice anagrafico" n. D7569.

Nell’ambito delle iniziative formative per l’anno 2003, approvate con bando della Provincia di Alessandria del 19 dicembre 2002, la società A. è stata ammessa ai finanziamenti per la realizzazione di due distinte attività formative (tecnicamente denominate "sportelli" o "finestre"), con relativi atti di autorizzazione rilasciati sia dalla Regione (con d.d. n. 994 del 18 ottobre 2002) sia dalla Provincia (con d.d. n. 155/70666 del 13 giugno 2003 e con d.d. n. 359/150219 del 19 dicembre 2003).

A seguito di alcune "criticità" riscontrate nello svolgimento dei corsi, tuttavia, già nel febbraio 2004 la Provincia di Alessandria provvedeva, in via provvisoria e d’urgenza, a sospendere le autorizzazioni concesse. In particolare, la società A. era stata sottoposta, all’inizio del 2004 (su segnalazione della stessa Provincia che aveva denunciato alcune "incongruenze riconducibili ad una non corretta gestione" delle attività di formazione), ad una perquisizione disposta dalla Procura della Repubblica di Alessandria (la quale indagava per il reato ex art. 640bis c.p.: truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e, nel mese di marzo 2004, il legale rappresentante del Consorzio è stato raggiunto da un provvedimento restrittivo della libertà personale.

Con provvedimento in data 17 marzo 2004, prot. n. 9232/15/15, la Regione Piemonte – Direzione Formazione ProfessionaleLavoro ha notificato alla società A. la "sospensione totale dell’accreditamento". Ne è seguito, in data 31 marzo 2004, il provvedimento della Provincia di Alessandria, prot. n. 4220748, con il quale – nel far corso alla precedente sospensione "provvisoria" – venivano sospese, in via definitiva, le autorizzazioni provinciali e si avviavano "le procedure per la revoca definitiva delle medesime autorizzazioni ed il conseguente recupero degli importi impegnati e liquidati".

2. Avverso i due atti così descritti la società A., in persona del proprio amministratore delegato, ha proposto ricorso dinnanzi a questo TAR, chiedendone l’annullamento.

Con riferimento al provvedimento emesso dalla Regione, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, a causa della mancata comunicazione di avvio del procedimento, nonché "la carenza assoluta di motivazione", posto che l’atto "non contiene una sola parola che consenta di comprendere le ragioni che giustificano la sua adozione". Viene dedotto anche l’eccesso di potere per "travisamento dei fatti", posto che – semmai le motivazioni della sospensione fossero da ravvisare nelle "criticità" individuate dalla Provincia nel mese di febbraio 2004 – in altri verbali di verifica provinciale (segnatamente, in quello del 12 gennaio 2004) era stato, al contrario, certificato un esito complessivamente positivo delle attività formative svolte dalla società. Viene anche contestata la violazione dell’art. 3, ultimo comma, della legge n. 241 del 1990, non essendo stati indicati, nell’atto regionale impugnato, i termini e l’autorità cui ricorrere.

Con specifico riguardo al provvedimento di sospensione adottato dalla Provincia di Alessandria, la ricorrente anche qui contesta – anzitutto – la mancata comunicazione di avvio del procedimento. Viene anche dedotta l’insufficienza e/o incoerenza della motivazione, essendo quest’ultima concentrata solo su "corsi affatto estranei dalle finestre sulle quali interviene il provvedimento, essendo corsi già conclusi nell’estate 2003"; in particolare – prosegue la ricorrente – le valutazioni negative derivanti dai controlli effettuati tra il dicembre 2003 ed il gennaio 2004 (controlli sui quali l’atto provinciale riferisce) sarebbero contrastanti "con le conclusioni cui la stessa Provincia era giunta in sede di ispezione eseguita su quei medesimi corsi". La legittimità dell’impugnato atto provinciale, poi, risulterebbe comunque travolta (per "illegittimità derivata") dai vizi che affliggono il provvedimento regionale di sospensione, in quanto atto presupposto. Infine, viene anche in questo caso dedotta l’illegittimità ex art. 3, ultimo comma, della legge n. 241 del 1990.

La ricorrente formula anche richiesta di risarcimento del danno, ritenendo sussistente il requisito della colpa della p.a., individuando anche la somma ritenuta di soddisfazione (euro 567.392,00), consistente "nelle componenti contabili negative dell’attività d’impresa riferite ai corsi attribuiti alla Società per la prima finestra già svolti (circa l’80% del monte ore) nonché i costi di progettazione dei corsi attribuiti alla Società per entrambe le finestre e le spese generali (stipendi, affitto e spese per i locali della sede, etc.) che la ricorrente ha continuato e continua a sopportare anche dopo il blocco totale della sua attività conseguente all’atto qui impugnato".

3. Si è costituita in giudizio la Provincia di Alessandria, in persona del Presidente pro tempore, depositando documenti e chiedendo, con memoria di stile, il rigetto del ricorso.

4. Nelle more del giudizio, la Regione Piemonte, con atto n. 30367/15.2 del 9 ottobre 2006, ha comunicato alla società A. di aver riscontrato, all’esito di "una azione di monitoraggio finanziario" condotta per n. 35 corsi tenuti nel quadriennio 20002004, "l’ingiustificata mancata presentazione dei relativi rendiconti". L’atto ha preannunziato, quindi, l’"avvio del procedimento finalizzato alla revoca dei corsi e del relativo finanziamento".

Con successiva nota del 13 giugno 2007, n. 18167/15.2, è stato quindi comunicato, alla società A., l’"avvio del procedimento di revoca dei corsi di formazione professionale approvati e finanziati con le determinazioni indicate in allegato. Anni di gestione 2000/2004".

Tale procedimento si è concluso con la determinazione n. 431 del 13 settembre 2007 che ha formalizzato la "Revoca dei corsi di Formazione Professionale non rendicontati dall’operatore CONSORZIO A. SCRL (Codice Operatore D7569) e relativo finanziamento. Anno di gestione 2002". Nella motivazione dell’atto, in particolare, l’amministrazione si è soffermata sulle controdeduzioni presentate dall’interessata, la quale aveva evidenziato l’impossibilità di disporre della documentazione necessaria alla rendicontazione "a causa di sequestro giudiziario" (disposto in data 4 febbraio 2004 all’esito della perquisizione della sede della società): secondo l’amministrazione, tale sequestro non costituirebbe "un impedimento oggettivo insuperabile che legittimi la mancata presentazione dei rendiconti".

4.1. Con motivi aggiunti depositati il 21 novembre 2007 la società A. ha impugnato tutti gli atti da ultimo indicati, denunciando vizi di eccesso di potere sotto diversi aspetti.

In particolare, con riferimento alla determinazione regionale n. 431 del 13 settembre 2007, la ricorrente deduce:

– violazione dell’art. 10bis della legge n. 241 del 1990, per omessa comunicazione di un "preavviso di revoca", sull’assunto che "quando la procedura di revoca incida su di un provvedimento assunto ad istanza di parte, essa deve rispettare il disposto della norma indicata in rubrica";

– difetto di motivazione, con riferimento alle argomentazioni ("ignorate" dall’amministrazione) che l’interessata aveva avanzato nel corso del procedimento;

– violazione di legge ed eccesso di potere, con riferimento a quella parte dell’atto che si riferisce al sequestro dei documenti necessari per la rendicontazione, posto che "sino al 2 ottobre 2007 tutti gli atti e tutti i documenti dell’inchiesta erano coperti dal segreto istruttorio".

5. Il successivo 21 luglio 2008, con determinazione n. 470, la Provincia di Alessandria ha provveduto, a sua volta, alla "revoca degli atti di autorizzazione alle attività corsuali nei confronti dell’operatore A. s.c.r.l.", con riferimento alle attività finanziate per l’anno 2003.

In motivazione si rileva che, "ad esaurimento delle indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria", è stata emessa, nei confronti del legale rappresentate del Consorzio, sig. Carlo Pizzala, la sentenza n. 227 del 2008 "di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 (cd. "patteggiamento’)". "Simili risvolti processuali, unitamente ai gravi e concordi elementi già raccolti dagli uffici provinciali" – precisa l’amministrazione – "forniscono sufficienti dati per concludere che la gestione dei corsi in questione (…) non è stata curata in modo corretto e regolare".

5.1. Con nuovi motivi aggiunti, depositati il 27 novembre 2008, la società A. (peraltro, ormai in stato di liquidazione) ha impugnato anche quest’ultimo provvedimento provinciale, sottoponendo a contestazione l’"elemento nuovo ed ulteriore" costituito dalla sentenza penale di condanna. Quest’ultima "non concerne il Consorzio ricorrente bensì la persona fisica del suo amministratore delegato Carlo Pizzala": nei confronti del consorzio, viceversa, l’autorità giudiziaria "non ha mai contestato alcunché" ai sensi dell’art. 59 del d.lgs. n. 231 del 2000 (che ha introdotto, nel nostro ordinamento, la responsabilità penale per le persone giuridiche), così restando dimostrato che dagli atti del procedimento penale "non emerge alcuna circostanza ulteriore rispetto a quelle raccolte dall’Amministrazione provinciale" e già poste a fondamento dei precedenti atti – parimenti impugnati – emessi dalla medesima amministrazione.

Si contesta, inoltre, l’eccessiva durata del procedimento posto in essere dalla Provincia, atteso che l’atto di revoca del 21 luglio 2008 costituisce – come si legge nel dispositivo – "conclusione del procedimento avviato mediante la D.D. 48/42207 del 31/03/2004" (ossia, avviato con l’iniziale provvedimento di "sospensione definitiva" delle autorizzazioni provinciali). Il mancato rispetto del termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento (prescritto dall’art. 2, comma 3, della legge n. 241 del 1990, vigente ratione temporis) imporrebbe "ineludibilmente l’annullamento dell’atto".

L’atto qui in esame, infine, sarebbe affetto anche da illegittimità derivata, per i vizi propri della determinazione n. 42207 del 31 marzo 2004, impugnata col ricorso principale.

6. Ancora nelle more del giudizio, con determinazione n. 6 dell’11 gennaio 2010, la Regione Piemonte – Direzione Istruzione, Formazione Professionale e Lavoro ha, a sua volta, revocato l’autorizzazione e il finanziamento dei corsi assegnati all’operatore A., già autorizzati con la d.d. n. 994 del 18 ottobre 2002, con contestuale richiesta di restituzione delle somme erogate ed ammontanti a complessivi euro 34.270,56.

Nella motivazione la Regione dà atto che "sono falliti i tentativi di contattare il sig. Pizzala Carlo Giuseppe in qualità di ultimo liquidatore, realizzati da funzionari addetti al controllo al fine di verificare la spesa rendicontata del Consorzio A." e che "il sig. Perrero Gianfranco, funzionario regionale incaricato al controllo in data 24 luglio 2009, a causa dell’irreperibilità dell’operatore consorzio A., dichiarava l’impossibilità di verificare i rendiconti afferenti ai corsi di formazione". La revoca viene, pertanto, disposta (con richiamo agli artt. 21octies, comma 1, e 21nonies della legge n. 241 del 1990) a causa della "mancata produzione dei documenti giustificativi della spesa", produzione che costituiva un "onere" per l’interessata al fine "di provare il legittimo uso dei finanziamenti ricevuti". Richiamato, peraltro, anche l’"interesse pubblico attuale" alla revoca (interesse individuato nella necessità di "contrastare, in tempi brevi, qualsiasi violazione del principio della libera concorrenza sul mercato"), l’atto si premura di specificare che la revoca è esercitata entro un termine "ragionevole", "in considerazione del fatto che l’amministrazione procedente poteva verificare solo in data 15/10/2009 la mancata produzione della documentazione giustificativa della spesa, tenuto conto che l’operatore inviava informaticamente il rendiconto da verificare, dichiarando in tal modo la propria disponibilità a produrre i documenti giustificativi di tali rendiconti".

6.1. La ricorrente ha presentato motivi aggiunti di ricorso anche avverso l’atto regionale da ultimo descritto, con deposito in data 27 aprile 2010.

Questa volta le censure sono le seguenti:

– violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per mancata comunicazione di avvio del procedimento. Non corrisponderebbe al vero, infatti, che la comunicazione sia stata regolarmente inviata (come si sostiene nell’atto impugnato), posto che essa è stata spedita al sig. Carlo Pizzala (il quale "già nell’ottobre 2009 non rivestiva più alcuna carica nella Società ricorrente") e non anche alla società in persona dell’attuale rappresentante: sicché "la Società ricorrente mai ha avuto notizia dell’avvio del procedimento";

– carenza di istruttoria, in quanto la produzione dei "documenti giustificativi" indicati nell’atto "non è mai stata richiesta dalla Regione alla Società ricorrente";

– violazione del principio di buon andamento della p.a., posto che la revoca deriverebbe "dal fatto che la Regione ha omesso per anni di effettuare i necessari controlli e si è risolta ad attribuire, in qualche modo, la responsabilità di ciò alla ricorrente";

– "ultronea ed inconferente applicazione" degli artt. 21octies, comma 1, e 21nonies della legge n. 241 del 1990, posto che tali norme "non riguardano in alcun modo la fattispecie che qui interessa – revoca per ragioni sopravvenute – bensì le iporesi di annullabilità d’un atto per profili di illegittimità coevi alla sua assunzione (art. 21 ocites, comma 1) ovvero le condizioni richieste per procedere all’annullamento d’ufficio ovvero alla convalida dell’atto ab origine viziato";

– contraddittorietà dell’atto, posto che non corrisponderebbe al vero "che solo il 15 ottobre 2009 la Regione stessa avrebbe potuto verificare la mancata produzione della documentazione giustificativa della spesa, atteso che nello stesso atto si afferma che il 24 luglio precedente un funzionario della stessa Regione avrebbe cercato di contattare la ricorrente per esaminare i documenti: dunque è la stessa amministrazione a smentirsi".

7. Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, depositando documenti e chiedendo, con memoria di stile, che il ricorso sia rigettato.

8. Le amministrazioni resistenti hanno poi presentato, entrambe in data 14 maggio 2010, nuove memorie a sostegno delle proprie tesi.

La Regione Piemonte ha, tra l’altro, anche eccepito la carenza di interesse in capo alla società ricorrente (essendo essa ormai in liquidazione, sicché l’eventuale pronuncia giurisdizionale "verrebbe ad avere effetti sulla sfera giuridica di un soggetto non più esistente"), nonché l’inammissibilità di tutti i motivi aggiunti perché gli impugnati provvedimenti di revoca "non sono conseguenza diretta o indiretta del provvedimento impugnato con il ricorso principale".

La società ricorrente ha replicato con memoria depositata il 20 dicembre 2010, con ulteriori repliche depositate dalle amministrazioni nei giorni immediatamente successivi.

Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. La società cooperativa ricorrente, già accreditata presso la Regione Piemonte per lo svolgimento di attività formative finanziate con contributi pubblici, ha impugnato i seguenti atti:

– determinazione regionale, n. 9238 del 17 marzo 2004, di "sospensione totale" dell’accreditamento;

– determinazione provinciale, n. 42207 del 31 marzo 2004, di "sospensione definitiva" delle attività formative già autorizzate per l’anno 2003, con contestuale avvio del recupero delle somme erogate;

– nota regionale, n. 30367/15.2 del 9 ottobre 2006, che ha preannunziato l’"avvio del procedimento finalizzato alla revoca" di alcuni corsi tenuti nel quadriennio 20002004 e del relativo finanziamento;

– nota regionale, n. 18167/15.2 del 13 giugno 2007, che ha comunicato l’avvio del procedimento già preannunziato;

– determinazione regionale, n. 431 del 13 settembre 2007, che ha revocato i corsi, con i relativi finanziamenti, sopra citati;

– determinazione provinciale, n. 470 del 21 luglio 2008, che ha revocato le autorizzazioni già rilasciate per i finanziamenti relativi all’anno 2003;

– determinazione regionale, n. 6 dell’11 gennaio 2010, che ha revocato le autorizzazioni ed i finanziamenti per l’anno 2003, con contestuale richiesta di restituzione delle somme erogate.

2. Va, anzitutto, sgombrato il campo dalle eccezioni di inammissibilità formulate dalla Regione Piemonte nella memoria difensiva depositata il 14 maggio 2010, in quanto infondate.

Eccepisce la Regione, anzitutto, la carenza di interesse "in capo all’odierno ricorrente" per essere il consorzio A. ormai "in liquidazione e conseguentemente, cancellato dal registro della camera di commercio", trattandosi in definitiva di "soggetto non più esistente". Va, in contrario, rilevato che una società di capitali non può dirsi "non più esistente" solo perché sottoposta alla procedura di liquidazione; viceversa, in base alle regole generali, fintanto che perdura tale fase, ossia fino all’approvazione del bilancio finale di liquidazione (evento, nella fattispecie, non documentato), la società non è cancellata dal registro delle imprese ( art. 2495 c.c.) ma vi rimane iscritta con la medesima denominazione sociale alla quale va unicamente aggiunta l’indicazione che trattasi di società in liquidazione (art. 2487bis, comma 2, c.c.). Ne consegue la sicura permanenza dell’interesse alla decisione delle cause già pendenti al momento dell’avvio della procedura di liquidazione, come accade nella presente fattispecie.

In secondo luogo, la Regione eccepisce l’inammissibilità di tutti i motivi aggiunti, via via depositati dalla società ricorrente, sull’assunto che gli atti ivi impugnati "non sono conseguenza diretta o indiretta del provvedimento impugnato con il ricorso principale". Va, in contrario, evidenziato che – anche a voler ritenere esatta quest’ultima affermazione – con i motivi aggiunti, in base all’art. 43 cod. proc. amm., possono essere fatte valere anche domande nuove "purché connesse a quelle già proposte": nel caso, non vi è dubbio che le successive impugnazioni introdotte, in corso di causa, dalla ricorrente siano non solo soggettivamente ma anche oggettivamente connesse all’impugnazione principale (essendo contestati atti sopravvenuti che hanno innegabilmente riguardato la stessa problematica già oggetto degli originari provvedimenti di sospensione e di revoca), con ciò senz’altro integrandosi la condizione richiesta dalla legge.

Ciò, in disparte l’ulteriore argomentazione, pacificamente sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’impugnativa con la forma dei motivi aggiunti, nell’ottica di favorire il simultaneus processus insieme ad evidenti ragioni di economia processuale, può comunque essere intesa, sotto il profilo sistematico e processuale, come un autonomo gravame purché connesso, almeno dal punto di vista oggettivo, con il gravame principale (cfr., di recente, ex multis, TAR Sicilia, Palermo, sez. I, n. 1866 del 2010; Cons. Stato, sez. V, n. 4697 del 2008).

3. Passando ora al merito delle proposte impugnazioni, giova esaminarle seguendo il criterio temporale della loro presentazione, passando via via in rassegna gli atti che sono stati portati alla valutazione di questo Giudice.

3.1. Il ricorso principale, nella parte in cui è diretto avverso la determinazione regionale in data 17 marzo 2004, prot. n. 9232/15/15, è fondato.

Coglie nel segno, in proposito, la censura di difetto di motivazione, posto che il provvedimento si è limitato a richiamare le norme regionali che astrattamente regolamentano la misura della "sospensione totale", senza evidenziare perché, nel caso di specie, esse dovessero trovare applicazione per la società interessata. Né può dirsi sufficiente, in proposito, l’accenno compiuto ai "verbali del Nucleo regionale di valutazione per l’accreditamento", posto che tali verbali non risultano acclusi all’atto e non è quindi dato conoscere il loro contenuto.

Fondata è, peraltro, anche la censura di mancata comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, comunicazione che è mancata nella specie.

Non sono convincenti, in proposito, le repliche formalizzate dalla Regione.

Per un verso, si incorre in un’evidente contraddizione allorché si sostiene a) che la società ricorrente già conoscesse, sostanzialmente, le ragioni della sospensione, in quanto tra di essa "e le Amministrazioni intimate si (era) realizzata una forte interlocuzione" (in sostanza, si richiama la previa conoscenza, da parte della società A., dei motivi che avevano già spinto la Provincia di Alessandria, con il provvedimento del precedente febbraio 2004, prot. n. 13222, a sospendere i finanziamenti), e b) che l’atto di sospensione integri un mero atto endoprocedimentale all’interno "di un più complesso iter amministrativo destinato a sfociare o nella revoca dell’accreditamento o nella sua nuovamente piena vigenza". Sennonché è la stessa Regione a sostenere (allorché ha eccepito l’inammissibilità dei motivi aggiunti) che la propria determinazione non ha alcun collegamento (né diretto né indiretto) con gli altri atti impugnati nel presente giudizio, dal che deve quindi discendere che ciascun provvedimento della complessiva vicenda che ha coinvolto la società A. deve dirsi "separato" dagli altri, e come tale richiedente non solo una specifica ed autonoma motivazione, ma anche una sua propria comunicazione di avvio del procedimento (salvo quanto, al par. n. 3.2, si dirà con riferimento ai due provvedimenti di sospensione, definiti "provvisorio" e "definitivo", adottati dalla Provincia di Alessandria).

Per altro verso, non giova alla resistente richiamare l’art. 21octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, atteso il contenuto discrezionale dell’atto che dispone la sospensione dell’accreditamento, di fronte al quale sicuramente proficua avrebbe potuto essere la partecipazione procedimentale della società interessata.

Non è fondata, invece, l’ulteriore censura – di stampo sostanziale – avanzata dalla ricorrente, incentrata sull’asserito travisamento dei fatti commesso dalla Regione a fronte del contenuto del verbale di verifica provinciale del 12 gennaio 2004 (doc. n. 7). In tale occasione, infatti, i funzionari provinciali, pur avendo certificato un complessivo esito "positivo" dell’ispezione, avevano nondimeno evidenziato numerose irregolarità nella gestione dei corsi, annotando che "… l’iter formativo proposto a progetto non sembra essere pienamente conferente o quantomeno, correttamente delineato a registro. Non essendo la prima volta che ciò accade…" e segnalando irregolarità sia nella tenuta dei registri sia nella distribuzione del materiale didattico ai partecipanti ai corsi.

L’atto impugnato va, in ogni caso, annullato per le ragioni formali prima indicate.

3.2. Nella parte in cui il ricorso principale è diretto avverso la determinazione provinciale n. 4220748 del 31 marzo 2004 ("sospensione definitiva" delle attività corsuali per l’anno 2003), invece, esso è da respingere.

In disparte l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Provincia (eccezione non fondata, perché l’atto in questione non può dirsi privo di lesività: la disposta sospensione, infatti, già paralizzava le attività formative programmate, in attesa del successivo provvedimento di revoca), non fondate sono tutte le censure avanzate dalla ricorrente.

Quanto alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, è sufficiente rilevare che, già con determinazione n. 13222 del 4 febbraio 2004, la Provincia di Alessandria aveva comunicato all’interessata la sospensione (poi ribattezzata come "provvisoria") delle attività corsuali: la società A., pertanto, già era stata messa al corrente dei profili sostanziali che potevano giustificare la misura de qua, onde nessuna pregiudizievole situazione di "mancata conoscenza" può, sotto il profilo evocato, essa lamentare. In proposito, è appena il caso di rilevare che tra i due provvedimenti provinciali di sospensione (quello "provvisorio" e quello "definitivo") vi è un’assoluta continuità, tale da giustificare la derivazione del secondo dal primo, una volta che fossero risultate confermate le ragioni già poste a base della sospensione originaria.

Quanto al dedotto vizio di insufficienza della motivazione, va in contrario ribadito che l’evocato verbale di verifica del 12 gennaio 2004 aveva esplicitato diverse irregolarità nella gestione dei corsi, analoghe a quelle evidenziate nella motivazione del provvedimento qui in esame. Né può giovare alla ricorrente la circostanza – da essa evidenziata – che le "allarmanti criticità" segnalate in motivazione non afferissero ai corsi oggetto del provvedimento: pur sempre di irregolarità (sia pur pregresse), infatti, si trattava, come tali sicuramente idonee a fondare un giudizio di non affidabilità dell’operatore, ai fini – come si legge nell’atto – di "bloccare il proseguimento di una gestione irregolare e non trasparente dell’attività formativa".

Nessuna illegittimità derivata, poi, è possibile riscontrare nell’atto qui in esame, rispetto al provvedimento regionale di sospensione dell’accreditamento. Quest’ultimo provvedimento, infatti, è bensì richiamato nella determinazione provinciale, ma non costituisce la ragione unica ed essenziale di essa: al contrario, il dirigente dà atto di ulteriori ed autonome cause giustificative, ciascuna delle quali – peraltro – va a costituire un consistente substrato motivazionale che invece era del tutto assente (come già visto) nella decisione della Regione.

Non è fondata, infine, l’ultima doglianza sollevata, in ordine alla violazione dell’art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990. E’ pur vero che l’atto è stato del tutto impreciso in ordine all’indicazione dell’autorità e del termine entro il quale era possibile fare ricorso (par. n. 8 del dispositivo), ma è anche vero – come pacificamente sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa – che una tale mancanza non può ridondare in ragione di annullamento dell’atto, costituendo al più un vizio di mera irregolarità dal quale può discendere, eventualmente, la concessione del beneficio dell’errore scusabile o della rimessione in termini (cfr., di recente, tra le tante, TAR Puglia, Lecce, sez. I, n. 2660 del 2010; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 22291 del 2010; Cons. Stato, sez. VI, n. 6596 del 2008).

4. L’impugnazione proposta con il primo atto per motivi aggiunti, avverso la nota della Regione Piemonte n. 30367/15.2, del 9 ottobre 2006, è inammissibile per carenza di interesse.

L’atto in questione, infatti, si è limitato a preannunziare l’avvio del procedimento finalizzato alla "revoca dei corsi e del relativo finanziamento" con riferimento agli anni di gestione 2000/2004. Così facendo, esso non ha determinato, di per sé, alcun attuale effetto lesivo nei confronti della ricorrente, limitandosi a preavvertire la possibile revoca, ossia il futuro atto finale del procedimento, unico in grado di radicare l’interesse a ricorrere in capo alla società interessata (cfr., del tutto analogamente, TAR Piemonte, sez. II, n. 2398 del 2010).

Analogamente è a dirsi per la successiva comunicazione, parimenti impugnata, n. 18167/15.2 del 13 giugno 2007: trattandosi (in questo caso) della comunicazione di avvio del procedimento per la revoca dei corsi suddetti, ossia di un atto meramente endoprocedimentale non avente ex se efficacia lesiva.

4.1. L’impugnazione diretta contro la determinazione regionale n. 431 del 13 settembre 2007 (con la quale, all’esito del suddetto procedimento, la Regione ha infine revocato i corsi ed i relativi finanziamenti) non è fondata.

Manifestamente infondata è, anzitutto, la censura ex art. 10bis della legge n. 241 del 1990, l’atto gravato costituendo un provvedimento ad iniziativa d’ufficio (e non, evidentemente, ad istanza di parte), peraltro anche preceduto – come si è avuto modo di rilevare – da comunicazione di avvio del procedimento. Nessuna lesione di carattere partecipativo può, pertanto, essere avanzata dalla ricorrente.

Quanto alla censura di difetto di istruttoria e di motivazione, essa deve essere parimenti rigettata perché il parametro di riferimento evocato dalla ricorrente (ossia, le controdeduzioni da essa prodotte in data 27 luglio 2007) presentava un contenuto del tutto generico, tale da non poter essere preso in utile considerazione da parte dell’amministrazione procedente. E’ pur vero, infatti, che il consorzio aveva segnalato che "per 17 degli 84 corsi oggetto della procedura "aveva già rimesso alla Regione Piemonte tutti i dati, gli elementi e i documenti necessari alla rendicontazione’", ma è anche vero che nella nota non si specificava di quali corsi si trattasse. Non era, pertanto, possibile per l’amministrazione apprezzare la rilevanza di siffatto, generico apporto, sicché deve concludersi che del tutto legittimamente il procedimento è proseguito senza tenerne conto.

Non ha pregio neanche l’ultima censura avanzata, con la quale la ricorrente ha opposto l’impossibilità di consegnare all’amministrazione i documenti occorrenti per la rendicontazione in quanto sequestrati, in data 4 febbraio 2004, dall’autorità giudiziaria in seguito alla perquisizione ordinata dalla Procura della Repubblica di Alessandria. L’avvenuto "sequestro probatorio" ( art. 253 c.p.p.) di quella documentazione (doc. n. 10 della Provincia), infatti, ai sensi dell’art. 258 c.p.p., non precludeva alla società di richiederne copia all’autorità giudiziaria, e conseguentemente di poterne disporre in modo idoneo ad evadere le richieste provenienti dall’amministrazione. Quanto rappresentato dalla ricorrente – ossia che fosse "improbabile" o addirittura "sicuramente impossibile" che il p.m. avrebbe autorizzato il rilascio di copia – non esime da responsabilità il consorzio, il quale non ha nemmeno rivolto al p.m. (come pure, teoricamente, avrebbe potuto) alcuna istanza di rilascio di copie: unica giustificazione plausibile, semmai, poteva essere quella di aver ottenuto risposta negativa ad una legittima richiesta di copia.

5. I secondi motivi aggiunti, proposti avverso la determinazione provinciale n. 470, del 21 luglio 2008 (con la quale sono state revocate le autorizzazioni per i finanziamenti dell’anno 2003), non sono fondati.

Non sussiste, anzitutto, il denunciato travisamento dei fatti, asseritamente commesso dall’amministrazione allorché ha basato la propria determinazione sulla sentenza penale di condanna emessa, nel 2008, nei confronti dell’amministratore delegato della società Carlo Pizzala. Il provvedimento qui in esame, infatti, è intervenuto a seguito del precedente atto di "sospensione definitiva" delle autorizzazioni, disponendone la revoca: come è dato evincere dallo stesso contenuto dell’atto, le sue motivazioni sono nella sostanza da rinvenire in quelle già precedentemente esplicitate dalla Provincia, cui è andato a sommarsi l’ulteriore elemento dell’intervenuta condanna penale. Come non irragionevolmente viene illustrato, infatti, la sopravvenuta condanna si è andata ad affiancare "ai gravi e concordi elementi già raccolti dagli uffici provinciali", così consentendo di raccogliere "sufficienti dati per concludere che la gestione dei corsi in questione da parte dell’operatore D7569 Consorzio A. S.c.r.l., non è stata curata in modo corretto e regolare".

In definitiva, lungi dal costituire l’unico elemento posto a base dell’atto di revoca, la condanna penale ha rafforzato l’intendimento che – in base ai riscontri già in possesso dell’amministrazione – stava maturando negli uffici della Provincia. Ciò, peraltro, a tacere di un’ulteriore aspetto qui dirimente, ossia che il sig. Pizzala è stato condannato dal GIP presso il Tribunale di Alessandria in qualità di legale rappresentante della società A.: i fatti per i quali egli è stato riconosciuto colpevole hanno riguardato, per l’appunto, le riscontrate irregolarità commesse nella gestione dei corsi tenuti dal consorzio A. (si veda, in particolare, la sentenza depositata in giudizio dalla Provincia: doc. n. 15, pagg. 2 ss.), sicché del tutto ragionevolmente essa è stata considerata nel provvedimento qui impugnato come ulteriore conferma (valida, all’occorrenza, anche come ragione giustificativa autonoma) delle già acquisite irregolarità.

Non è, poi, fondata neanche l’ulteriore censura formulata dalla ricorrente, in ordine alla prolungata durata del procedimento conclusosi con l’atto di revoca. In proposito, è sufficiente rilevare che la violazione del termine entro il quale concludere il procedimento amministrativo, di cui all’art. 2, comma 3, della legge n. 241 del 1990, non costituisce causa di annullamento dell’atto terminale ma può, al più, comportare le conseguenze risarcitorie di cui all’art. 2bis della medesima legge: ciò, perché si tratta di termine meramente acceleratorio la cui scadenza, in assenza di previsioni di perentorietà, non comporta la decadenza della potestà amministrativa né l’illegittimità del provvedimento adottato (cfr., da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. VI, n. 2758 del 2009).

6. Passando ora all’esame del terzo atto per motivi aggiunti, deve essere riconosciuta la fondatezza del gravame ivi proposto avverso la determinazione regionale n. 6 dell’11 gennaio 2010 (con la quale sono state revocate l’autorizzazione ed il finanziamento dei corsi assegnati al consorzio A. nell’anno 2002).

La motivazione di quest’ultimo atto di revoca poggia, sostanzialmente, "sulla mancata produzione dei documenti giustificativi della spesa, fatto sopravvenuto all’erogazione dell’acconto e che pertanto rende indebito il finanziamento erogato" (così, letteralmente, il provvedimento impugnato). Tale asserzione dipende, come spiega la Regione nel medesimo atto, dal fatto che "il sig. Perrero Gianfranco, funzionario regionale incaricato al controllo in data 24 luglio 2009, a causa dell’irreperibilità dell’operatore consorzio A., dichiarava l’impossibilità di verificare i rendiconti afferenti ai corsi di formazione indicati in allegato". Quindi, come è dato desumere, la Regione rimprovera al consorzio A. il fatto di non aver prodotto i documenti giustificativi delle spese: circostanza, per un verso, confermata anche nelle memorie difensive dell’amministrazione, dove vien detto che "… l’erogazione del finanziamento risultasse indebito, per violazione di legge, non essendo stata prodotta la documentazione che giustificasse l’autorizzazione ed il finanziamento dei corsi" (memoria del 27 dicembre 2010, pag. 5).

Questa rappresentazione dei fatti, però, risulta contraddetta da altre indicazioni, parimenti provenienti dalla stessa Regione ed esplicitate sia nella motivazione del provvedimento qui in esame sia nella memoria depositata in giudizio il 14 maggio 2010. Nel provvedimento si legge: "l’amministrazione procedente poteva verificare solo in data 15/10/2009 la mancata produzione della documentazione giustificativa della spesa, tenuto conto che l’operatore inviava informaticamente il rendiconto da verificare, dichiarando in tal modo la propria disponibilità a produrre i documenti giustificativi di tali rendiconti". E, soprattutto, nella memoria citata si legge (pag. 22): "attraverso comunicazione informatica il Consorzio aveva presentato i rendiconti dei corsi, e l’erogazione a titolo d’acconto delle risorse pubbliche era garantita da polizza fideiussoria, pertanto, tenuto conto del procedimento penale in cui era coinvolto il Sig. Pizzala, l’amministrazione sospendeva la verifica dei rendiconti. L’amministrazione acquisiva consapevolezza dell’assenza di documenti giustificativi della spesa solo attraverso le controdeduzioni conseguenti alla comunicazione di avvio del procedimento del 15/9/2010 (recte: 15/10/2009: cfr. intervento di correzione nella memoria del 27 dicembre, pag. 5, ove la data precedentemente indicata è definita "un mero refuso"), dove veniva richiesta la presentazione dei documenti giustificativi della spesa".

Ora, a prescindere dallo stile piuttosto confuso ed involuto delle affermazioni che precedono, le stesse lasciano nell’ombra alcuni rilevanti aspetti. In primo luogo, non è del tutto chiaro l’evento che si è prodotto in data 15 ottobre 2009: da un lato, sembra questa la data della comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla revoca (come, del resto, risulta confermato dal relativo atto: doc. n. 16 della Regione), dall’altro lato sembra che solo in quel giorno la Regione abbia potuto "verificare" l’assenza dei documenti giustificativi (come si desume dal testo riportato nell’atto). Ma quest’ultima affermazione è smentita sia da quanto l’atto di revoca riferisce in altra sua parte (laddove vien detto che fu in data 24 luglio 2009 che risultò l’impossibilità di verificare i rendiconti, a seguito di apposita "dichiarazione" resa dal competente funzionario regionale), sia dalla dichiarazione contenuta nella memoria difensiva, secondo la quale fu soltanto a seguito delle "controdeduzioni" conseguenti alla comunicazione datata 15 ottobre 2009 (e, dunque, in un momento ancora diverso) che l’amministrazione riuscì a compiere siffatta verifica.

Quali siano, poi, tali "controdeduzioni" non è dato evincere dalla documentazione versata in atti, posto che la Regione ha bensì depositato le "controdeduzioni inviate da Pizzala 18.11.2009" (doc. n. 17), ma in tale documento non si fa cenno alcuno alla questione delle rendicontazioni, limitandosi il deducente a escludere qualsiasi suo collegamento con la società A.. Non si comprende, pertanto, in base a quali elementi la Regione possa affermare di avere acquisito "consapevolezza dell’assenza di documenti giustificativi della spesa solo attraverso le controdeduzioni conseguenti alla comunicazione di avvio del procedimento del 15/9/2010 (recte: 15/10/2009)".

Al contrario, il decisivo elemento dell’"assenza di documenti giustificativi" appare smentito sia da quanto la Regione ha dichiarato nella memoria del 14 maggio 2010 (pag. 22), laddove si legge che "attraverso comunicazione informatica il Consorzio aveva presentato i rendiconti dei corsi", sia da quanto lo stesso atto di revoca riferisce ("l’operatore inviava informaticamente il rendiconto da verificare"). Delle due l’una: o quei documenti erano veramente "assenti", e allora l’atto di revoca si sorregge su una motivazione adeguata; oppure, quei documenti erano stati resi disponibili all’amministrazione mediante "comunicazione informatica" effettuata dall’operatore A., ma allora la motivazione della revoca, fondata sulla "mancata produzione dei documenti giustificativi", è palesemente contraddittoria.

Ve n’è quanto basta per ritenere fondata la censura di "illogicità, irrazionalità e contraddittorietà" formulata, con l’ultimo gravame dedotto, nel terzo atto per motivi aggiunti.

L’atto di revoca regionale n. 6 dell’11 gennaio 2010 va, pertanto, annullato, con assorbimento dei restanti motivi.

7. Stante l’annullamento degli atti regionali n. 9232/15/15, del 17 marzo 2004, e n. 6, dell’11 gennaio 2010, va adesso considerata, in parte qua, la domanda risarcitoria formulata dalla società ricorrente. Va da sé che la riscontrata legittimità degli atti adottati dalla Provincia di Alessandria esclude quest’ultima amministrazione da qualsivoglia coinvolgimento in responsabilità risarcitoria, essendo quest’ultima teoricamente individuabile solo in capo alla Regione Piemonte.

Le considerazioni che precedono consentono di ritenere illegittime sia la sospensione dell’accreditamento della società ricorrente presso la Regione (per difetto di motivazione: cfr. par. n. 3.1), sia la revoca delle autorizzazioni e dei relativi finanziamenti per i corsi già assegnati all’operatore ricorrente "Anno 2002" (per contraddittorietà intrinseca dell’atto: cfr. par. n. 6). Va tuttavia notato che – per quanto qui ha rilevanza – la ricorrente ha formulato ed ha argomentato la domanda risarcitoria solo nell’atto introduttivo del presente giudizio, dunque (anche) con riferimento all’atto di revoca della Regione del 17 marzo 2004, ma non anche nel terzo atto per motivi aggiunti (dove è stato impugnato l’atto di revoca dell’11 gennaio 2010). Lo scrutinio della domanda risarcitoria, pertanto, in base al principio processuale della domanda, è da limitarsi alla sola sospensione dell’accreditamento disposta nel 2004.

Così individuato l’ambito della pronuncia sul risarcimento del danno, la relativa domanda va in ogni caso dichiarata non fondata. Le somme domandate da parte ricorrente (ammontanti a complessivi euro 567.392,00) si riferiscono, infatti, alle sole spese di "progettazione e esecuzione" di alcuni dei corsi che erano stati autorizzati nell’ambito delle attività formative per l’anno 2003, relativi sia alla "prima finestra" (autorizzata con determinazione provinciale n. 155/70666 del 13 giugno 2003) sia alla "seconda finestra" (autorizzata con determinazione provinciale n. 359/150219 del 19 dicembre 2003). Si tratta, però, precisamente di quei corsi che, con i successivi atti provinciali e regionali (pur impugnati in questa sede, ma dei quali non è stata riscontrata la illegittimità), sono stati oggetto di sospensione e/o di revoca: è evidente, pertanto, che nessun danno può essere lamentato a seguito della loro (infruttuosa) progettazione ed esecuzione.

8. In considerazione della portata delle questioni trattate, nonché dell’esito non pienamente satisfattorio per il ricorrente delle impugnative proposte, il Collegio rinviene giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando:

a) accoglie parzialmente il ricorso introduttivo, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla il provvedimento della Regione Piemonte prot. n. 9232/15/15 del 17 marzo 2004;

b) accoglie il terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 27 aprile 2010, e, per l’effetto, annulla il provvedimento della Regione Piemonte n. 6 dell’11 gennaio 2010;

c) respinge, per il resto, il ricorso introduttivo e tutti gli altri motivi aggiunti, nei sensi di cui in motivazione;

d) respinge la domanda risarcitoria formulata dalla società ricorrente;

e) compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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