Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 17-02-2011, n. 5870 Infrazioni, contravvenzioni e reati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli – Sezione 10^, con ordinanza dell’11 maggio 2010 confermava il decreto di sequestro del G.I.P. presso il Tribunale di Nola, dell’8 febbraio 2010, relativo a tre container contenenti, complessivamente, 113.130 capi di abbigliamento che D. Z., quale legale rappresentante della Fashion Import – Export srl, aveva avviato, previa richiesta in dogana, in un deposito IVA all’interno del porto di (OMISSIS), prelevandola contestualmente all’introduzione e venendo così denunciato per il reato di contrabbando aggravato di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292 e art. 295, u.c..

Avverso tale provvedimento il D. proponeva ricorso per cassazione tramite il suo difensore deducendo, in un unico motivo, la violazione dell’art. 321 c.p.p. per insussistenza del fumus commissi delicti del reato contestatogli.

Richiamata la disciplina introdotta dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis in materia di depositi IVA, rilevava che l’utilizzazione del deposito era stata effettuata nel rispetto dei canoni legislativi e che la introduzione e contestuale estrazione della merce nel deposito stesso era del tutto legittima, in quanto la normativa di settore non richiede una durata minima di permanenza, con la conseguenza che, nella fattispecie, era ravvisabile una ipotesi di introduzione "in libera pratica" di merce proveniente da deposito IVA. Rilevava, altresì, che il Tribunale del Riesame aveva erroneamente rinvenuto, nell’attività compiuta dal ricorrente, una strumentalizzazione del regime fiscale di favore e non aveva tenuto conto del disposto del D.L. n. 185 del 2008, art. 18, comma 5bis, il quale forniva interpretazione autentica del menzionato D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. h).

Ritenendo, pertanto, che l’immissione "in libera pratica" di merce destinata all’introduzione in deposito IVA non possa considerarsi importazione nè ai fini doganali nè, tantomeno, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, insisteva per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va premesso che la configurabilità, in astratto, del reato di contrabbando in presenza di condotte poste in essere in violazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis, convertito, con modificazioni, nella L. 29 ottobre 1993, n. 427 non viene posta in contestazione, poichè nel ricorso si assume l’insussistenza del reato sul presupposto della corretta osservanza di quanto disposto dalla norma menzionata.

Del resto, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Sez. 3, n. 3617, 23 marzo 1998), il reato previsto dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 292 non prescrive condotte specifiche, prevedendo esclusivamente l’introduzione nel territorio nazionale di merci estere in evasione dei diritti di confine per la protezione della potestà tributaria dello Stato.

Tenendo quindi conto delle molteplici modalità con le quali può concretarsi il contrabbando, è stata prevista, con il menzionato art. 292, una ipotesi residuale e sussidiaria di tale reato a forma libera che indica esclusivamente l’evento, consistente nella sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine, con la conseguenza che l’integrazione dell’illecito è possibile attraverso qualsiasi condotta idonea a produrlo.

La sussistenza del reato è stata ritenuta anche con riferimento alla ipotesi di sottrazione dell’I.V.A. all’importazione, in quanto sottrazione a un diritto doganale di confine (Sez. 3, n. 13102, 24 marzo 2003; n. 1298, 1 agosto 1992).

Ciò posto, si osserva che l’impugnato provvedimento appare immune da censure.

Va preliminarmente ricordato che il D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis riguarda l’istituzione, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, di speciali depositi fiscali, denominati "depositi IVA", adibiti alla custodia di beni nazionali e comunitari che non siano destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi medesimi e gestiti da soggetti abilitati specificamente indicati. La movimentazione dei beni viene evidenziata in un apposito registro.

Il comma 4 della disposizione in esame stabilisce che determinate operazioni, specificamente indicate, sono effettuate senza pagamento dell’imposta sul valore aggiunto.

Alla luce di quanto evidenziato dalla disposizione menzionata, emerge che i giudici del riesame, richiamando legittimamente il decreto di sequestro, hanno correttamente osservato come la configurabilità del reato contestato fosse ravvisabile nella condotta posta in essere dal ricorrente, il quale ha utilizzato le agevolazioni previste dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis attraverso un contratto del quale il Tribunale ha correttamente ritenuto l’inesistenza causale.

Invero, risulta che, nella fattispecie, si è in presenza di una delle operazioni previste dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4 e, secondo quanto indicato dallo stesso ricorrente, di quella prevista alla lett. b), relativa all’immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA senza il pagamento dell’IVA all’importazione, sulla base della dichiarazione resa dall’importatore circa la destinazione delle merci e comprovata dal documento doganale dal quale risulta l’avvenuta presa in carico delle merci nel prescritto registro di cui all’art. 50 bis cit., comma 3.

L’introduzione fisica dei beni nel deposito conclude l’operazione doganale.

Tutte le operazioni indicate sono state, nella fattispecie, formalmente compiute, procedendo però al deposito ed alla successiva estrazione delle merci in maniera contestuale.

Il ricorrente sostiene, nel silenzio del legislatore circa tempi minimi di permanenza delle merci nel deposito, che l’operazione eseguita sia conforme al dettato normativo e, conseguentemente, il reato contestato non sarebbe sussistente.

Ciò posto, deve osservarsi che correttamente il Tribunale ha ritenuto l’irregolarità della procedura posta in essere in quanto fittizia e priva di altra utilità per l’operatore se non quella di poter beneficiare del regime agevolato, non avendo altrimenti senso l’introduzione delle merci in un deposito e la loro contestuale estrazione.

Una siffatta operazione si risolve in una mera finzione, sostanzialmente equiparabile alla presa in carico documentale dei beni, mentre risulta evidente dal contenuto della disposizione in esame nel suo complesso e, segnatamente, dal primo comma, che la funzione dei depositi fiscali ai fini IVA è appunto quella di custodia e magazzinaggio, con la conseguenza che il contratto di deposito deve avere un sensato fondamento economico e giuridico e non può ritenersi valido ai fini della disposizione in esame se, come nella fattispecie, risulta simulato quindi la tesi del ricorrente sulla non necessità di un termine per il deposito è del tutto irrilevante.

La tesi prospettata dal ricorrente non può peraltro trovare conferma neppure nel contenuto del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 16, comma 5bis convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14 che il Tribunale del Riesame ha correttamente interpretato.

Il menzionato articolo stabilisce, infatti, testualmente "il D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50-bis, comma 4, lett. h), convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA".

Il riferimento, esplicito, riguarda dunque le operazioni indicate nella sola lettera h) che si riferisce alle "prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, anche se materialmente eseguite non nel deposito stesso ma nei locali limitrofi semprechè, in tal caso, le suddette operazioni siano di durata non superiore a sessanta giorni".

Come correttamente osservato dal Tribunale, si tratta di norma riguardante il depositario e non anche il depositante.

Entrambe le disposizioni si riferiscono, peraltro, a "beni consegnati al depositario" ed a "beni custoditi in un deposito IVA" presupponendo, pertanto, la esistenza effettiva e non solo fittizia di un valido contratto di deposito.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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