Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 30-03-2011, n. 7195 Procedimento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte:

osserva quanto segue:

Con ricorso in data 26/10/2010, F.G. ha impugnato la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva e la controversia e la controversia è stata decisa all’esito della pubblica udienza dell’8/3/2011.
Motivi della decisione

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge in fatto che in vista della promozione della Dott.ssa F.G. a magistrato di appello, il Presidente del Tribunale di Ascoli Piceno ha domandato a quello del Tribunale di Fermo, Dott. D.R.R., di inviargli una relazione informativa sul servizio ivi prestato dalla dott.ssa F..

Il Presidente D.R. ha espresso un sintetico giudizio di mediocrità ed alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dal Consiglio giudiziario di Ancona, ha precisato di aver avuto modo di conoscere la dott.ssa F. soltanto per un breve periodo di tempo, durante il quale la smessa era incorsa in gravi e ripetuti ritardi nel deposito delle sentenze, redigendole in maniere carente sotto il profilo qualitativo ed assentandosi per due mesi a causa di "un’asserita caduta" da cu "sarebbe, sempre asseritamente, derivato l’aggravamento delle conseguenze di un trauma" precedente.

La dott.ssa F. ha replicato con memoria del 2/5/2003, sottolineando che i ritardi a lei realmente ascrivibili erano stati, molto meno di quelli segnalati dal Presidente D.R., il quale aveva omesso di ricordare l’ottimo giudizio espresso nei suoi confronti dagli ispettor ministeriali e le aveva mosso delle accuse assolutamente ingiustificate, dopo che il suo lavoro non era stato inferiore a quello degli altri colleghi e la caduta si era verificata in udienza, producendole dei danni poi diagnosticati dai medici sia del pronto soccorso che dell’INAIL. All’esito della seduta del 25/05/2005, il Consiglio giudiziario ha dato parere favorevole all’avanzamento della Dott.ssa F., che il successivo 30/6/2005 ha presentato denuncia/querela nei confronti del dott. D.R. per i reati perpetrati ai suoi danni con le falsità e le "velenose insinuazioni" di cui si era servito per corroborare il suo rapporto.

Il Dott. D.R. è stato sottoposto a giudizio penale e disciplinare ed alla conclusione dei medesimi, terminati con formule ampliamente liberatorie, ha rappresentato l’accaduto al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

Analoga segnalazione è stata fatta anche dal Presidente della Corte di appello di Ancona e con nota del 27/10/2007, il Procuratore Generale ha promosso l’azione disciplinare nei confronti della dott.ssa F. perchè sebbene, dettata da "enfasi difensiva", la denuncia da lei sporta aveva costituito espressione, di cosciente superficialità e grave scorrettezza nei confronti di un altro magistrato.

Ultimata l’Istruttoria e fissata l’udienza per il dibattimento, la Sezione Disciplinare ha pronunciato sentenza con cui ha inflitto all’incolpata la sanzione dell’ammonimento. ha dott.ssa F. ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi, con il primo dei quali ha dedotto a "insufficienza e contraddittoriotà della motivazione sulla ritenuta sussistenza dell’incolpazione", in quanto per qualificare il suo comportamento come "sconsiderato" e, quindi, fonte di responsabilità disciplinare, la sezione avrebbe dovuto chiarire adeguatamente le ragioni per le quali il medesimo non poteva ritenersi in alcun modo provocato dal Dott. D.R. che, oggettivamente, conteneva invece delle accuse ed insinuazioni tali da giustificare ampiamente la sua reazione.

Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la "violazione e falsa applicazione di legge e segnatamente della norma incriminatrice" di cui al R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18, in quante la Sezione avrebbe dovuto riconoscere che la presentazione della denuncia/querela non aveva rappresentato una violazione del dovere di correttezza ma, tutt’al contrario, l’esercizio di un diritto "in una situazione certamente idonea a recare pregiudizio alla (sua) onorabilità", per difendere la quale non aveva altro strumento che non il ricorso al giudice penale al fine di contrastare "quelle inequivoche espressioni sulle quali" nemmeno "il Consiglio giudiziario, pur esprimendo parere favorevole", aveva ritenuto opportuno prendere posizione.

Così riassunte le prime censure del ricorso, da trattare congiuntamente per via della loro intima connessione, osserva il Collegio che la Sezione Disciplinare ha spiegato in maniera diffusa i motivi per i quali le affermazioni denunciate dalla F. non potevano essere riguardate come malevole insinuazioni o falsità, ma come semplici modi di dire od inesattezze derivante da errori altrui e non da rancori personali del Dott. D.R., che nel redigere il parere non si era abbandonato a valutazioni denigratorie, ma si era limitato ad esprimere un proprio convincimento a privo di valore provocatorio.

Tanto puntualizzato, la Sezione è poi passata ad esaminare la reazione avuta dalla Dott.ssa F., evidenziando innanzi tutto che la denuncia si era concretizzata "nella prospettazione di fatti per un verso palesemente non riconducibili al reato di falso e, per altro verso, frutto di evitabile equivoco sul significalo in realtà non diffamatorio – dei termini "asserito" e "asseritamente" adoperati dai dott. D.R..

Ne derivava un giudizio ex ante di "estrema leggerezza", che trovava "riscontro ex post" nell’esito del giudizi promossi contro il denunciato.

Lo status di magistrato implicava, infatti, una serie di doveri che ricomprendevano anche quelle di valutare "con estrema attenzione, proprio in forza dell’esperienza e del particolare bagaglio di conoscenze giuridiche, il possibile rilievo penale dei fatti che (s’intende porre all’attenzione della competente Autorità, e ciò anche al fine di non gettare discredito alla magistratura, che non può apparire all’esterno come un corpus di soggetti litigiosi, che utilizzano sconsideratamente proprio lo strumento giudiziario per risolvere questioni connesse allo svolgimento delle loro funzioni giurisdizionali".

Il magistrato che denunciava un altro magistrato utilizzando "espressioni di cosciente superficialità senza "valutare adeguatamente la possibile rilevanza penale dei fatti esposti", commetteva, pertanto, un’indubbia violazione dei doveri di correttezza, sancito anche da previgente sistema disciplinare.

Se, poi, la denuncia/querela era sporta e pervicacemente coltivata "nei confronti del presidente del tribunale di appartenenza in conseguenza di una relazione integrativa di un rapporto informativo da lui espresso nell’ambito di una procedura di valutazione di professionalità", la violazione del dovere di correttezza risultava ancora più grave, per cui doveva senz’altro riconoscersi la responsabilità disciplinare della Dott.ssa F., che nel mancare al predetto dovere, aveva determinato una compromissione del prestigio dell’Ordine giudiziario, in quanto aveva offerto il quadro di un ambiente dominato da "contrasti aspri e senza esclusioni di colpi tra magistrati dello stesso ufficio che non esita(va)no a trasferire impropriamente nella sede penale le proprie divergente invece di circoscriverlo nell’ambito" in cui erano nate ed avrebbero dovuto rimanere confinate.

Trattandosi di considerazioni prive di vizi logici o giuridici, i primi due motivi debbono essere pertanto rigettati perchè finiscono per risolversi in un diverso apprezzamento dei fatti che questa corte non può fare proprio solo perchè più suggestivo di quello espresso dal giudice di merito, che, com’è noto, non può essere sindacato in sode di legittimità nel caso in cui, come nella specie, abbia giustificato in modo coerente la sua scelta.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato insufficienza della motivazione in ordine alla mancata applicazione del D.Lgs. n. 1209 del 2006, art. 3 bis, in quanto la sezione disciplinare aveva escluso la scarsa rilevanza della vicenda e della colpa della Dott. F. con "argomentazioni meramente assertive" ed assolutamente inappaganti.

A questo proposito, si deve tuttavia premettere che trattandosi, nella specie, di giudizio promosso dopo il 19/6/2006 per fatti, commessi prima, la Sezione si è innanzitutto interrogata su quale fosse in concreto la disciplina più favorevole, ravvisando la stessa in quella fissata dal R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18.

Accertata, in seguito, la responsabilità disciplinare dell’incolpata, la Sezione si è preoccupata di verificare se per ipotesi non ci fosse spazio per l’applicazione del D.Lgs. n. 1209 del 2006, art. 3 bis, non perchè fosse possibile miscelare la vecchia e la nuova disciplina ma, tutt’al contrario, perchè proprio in conseguenza della loro alternatività, la risposta positiva al quesito l’avrebbe messa nelle condizioni di riesaminare la perdurante validità del Giudizio precedentemente espresso in ordine alla individuazione della disciplina più favorevole.

In considerazione di quanto sopra, ha pertanto proceduto all’indagine, dando conto in modo congruo e coerente del suo risultato negativo per l’incolpata.

Nemmeno il terzo motivo può essere quindi accolto, non soltanto perchè la Sezione ha illustrato adeguatamente le ragioni per cui doveva escludersi la particolare tenuità del fatto, ma anche perchè non vi è stata a monte nessuna impugnazione sul punto relativo all’applicabilità della vecchia disciplina, che impedendo in radice la possibilità d’invocare l’art. 3 bis della nuova legge, rende superfluo qualunque accertamento sulla bontà o meno della motivazione adottata al riguardo dalla Sezione.

Il ricorso è, quindi, rigettato.

Nulla per le spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministro della Giustizia.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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