T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 11-02-2011, n. 273 Condono Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Sindaco del Comune di Monte Argentario, in data 26/6/1990, ha rilasciato concessione edilizia per la realizzazione di una vasca ad uso irriguo ed antincendio di metri 5 X 10, previo nulla osta idrogeologico.

In data 25/11/1994 il signor E.E. ha presentato al Comune di Monte Argentario domanda di condono edilizio ex art.39 della legge n.724/1994, stante l’avvenuta modifica di destinazione d’uso della vasca in piscina e modifiche esterne (ampliamento locale pompe, pavimentazioni, muretti e scalini di accesso).

In data 3/7/1996 l’istante ha altresì chiesto alla Provincia di Grossetto il parere di conformità al vincolo idrogeologico.

E’ seguito, in data 13/7/1998, il parere contrario della Provincia, impugnato con ricorso n.3425/98.

Con provvedimento del 24/1/2000 il Comune, considerato il carattere vincolante di tale parere, ha respinto la domanda di condono e ha ingiunto la demolizione.

Avverso tale provvedimento il ricorrente è insorto deducendo:

1) violazione dell’art.7 della legge n.241/1990; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento;

2) mancata acquisizione del parere della commissione edilizia;

3) illegittimità derivata dal presupposto parere contrario della Provincia;

in subordine, avverso l’ordine di demolizione:

4) violazione degli artt.7 e 10 della legge n.47/1985 in relazione all’art.7, comma 2, lettera a, del d.l. n.9/1982 (convertito nella legge n.94/1982);

5) in ulteriore subordine: violazione dell’art.7 della legge n.47/1985.

Con atto depositato in giudizio il 16/11/2010 è intervenuto ad adiuvandum il signor G.F.K., attuale proprietario dell’immobile oggetto del gravato provvedimento, divenuto tale in forza di contratto di compravendita stipulato il 12/2/2002.

All’udienza del 17 dicembre 2010 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

Con la prima censura il ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Il rilievo è infondato.

La parte del provvedimento impugnato costituita dal diniego di condono conclude, evidentemente, un procedimento attivato dall’interessato, con la conseguenza che non può trovare applicazione l’art.7 della legge n.241/1990.

La misura repressiva espressa, assieme al diniego, nella gravata determinazione costituisce un atto vincolato, consequenziale al diniego di condono, con la conseguenza che la partecipazione del privato al procedimento teso all’irrogazione della sanzione demolitoria, ai sensi degli artt. 7 e seguenti della legge n.241/1990, non avrebbe consentito alla parte interessata di dare alcun utile apporto al procedimento, in quanto la conclusione del medesimo non avrebbe potuto essere diversa.

La seconda doglianza è incentrata sulla mancata acquisizione del parere della commissione edilizia.

Il motivo non è condivisibile.

Il contestato diniego si fonda sul parere contrario (vincolante) dell’autorità preposta alla tutela del vincolo idrogeologico.

Orbene, a fronte di tale parere nessun effetto avrebbe potuto scaturire da una pronuncia della commissione edilizia, la quale è istituzionalmente chiamata ad esprimere valutazioni di conformità dell’opera rispetto alle norme urbanistiche ed edilizie, e non su questioni idrogeologiche demandate alla competenza della Provincia.

Con il terzo rilievo il ricorrente deduce l’illegittimità derivata dal presupposto parere contrario espresso ai fini della salvaguardia idrogeologica.

La censura è inammissibile.

Il predetto parere, essendo vincolante, è stato autonomamente impugnato con ricorso n.3425/1998, dichiarato perento con decreto presidenziale n.3919 del 6/8/2010. Pertanto esso è ormai inoppugnabile, e i suoi effetti non sono più sindacabili dal giudice.

Con il quarto mezzo di impugnazione l’esponente sostiene che il Comune non poteva ingiungere la demolizione, in quanto le opere in argomento, costituendo pertinenze, non sono sottopone a regime concessorio.

Il motivo non può essere accolto.

La nozione di pertinenza, quale risulta dall’art. 7, comma 2 lettera a, del d.l. n.9/1982, non coincide con la più ampia nozione descritta nell’art.817 c.c.. La prima tipologia identifica interventi edilizi minori, cosicchè il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione le opere che, dal punto di vista urbanistico ed edilizio, si pongono come ulteriori, in quanto occupanti aree e volumi diversi rispetto alla cosa principale.

Pertanto anche opere analoghe a quelle in argomento, nonostante la destinazione servente rispetto all’unità abitativa, sono state ritenute sottoposte a regime concessorio (Cons.Stato, II, 2/5/1990, n.1092; idem, 5/4/1989, n.205; idem, 11/10/1989, n. 1348).

Invero, la piscina e i relativi accessori, di dimensioni non irrisorie, comportano una trasformazione del territorio tale da richiedere la concessione edilizia (TAR Lazio, Roma, I, 11/12/2009, n.12820; TAR Campania, Napoli, VII, 21/4/2009, n.2088); né l’originario impatto di vasca ad uso irriguo o antincendio è assimilabile a quello attuale di piscina e opere complementari.

Il riferimento all’art.7 del d.l. n. 9/1982 non si attaglia peraltro al caso di specie, in quanto la norma prevede il regime autorizzatorio per immobili non assoggettati a vincolo paesaggistico, mentre invece le opere in questione interessano un’area sottoposta al vincolo stesso, oltre che al vincolo idrogeologico.

Con la quinta censura il ricorrente osserva che la contestata ingiunzione a demolire non indica l’area di sedime da trasferire al patrimonio comunale qualora il provvedimento non venga eseguito, mentre invece la misura repressiva postula necessariamente un’esatta individuazione del terreno da acquisire in caso di inadempienza.

L’assunto è infondato.

Non occorre, già in sede di ingiunzione a demolire, la delimitazione dell’area da acquisire in caso di inottemperanza all’ordine, giacchè la misura massima di superficie è stabilita per legge e la concreta individuazione deve essere operata, ove se ne verifichi il presupposto, con i successivi atti del Comune (Cons.Stato, IV, 26/9/2008, n.4659; TAR Toscana, III, 18/1/2010, n.35).

In conclusione, il ricorso va respinto.

Nulla per le spese di giudizio, non essendosi costituito il Comune di Monte Argentario.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *