T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 12-02-2011, n. 310 Avvocato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente ha partecipato alla sessione 2008/2009 degli esami di abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato, presso la Corte di Appello di Lecce, sostenendo le relative prove scritte.

Una volta appresa la mancata inclusione del suo nominativo tra quelli dei candidati ammessi a sostenere le successive prove orali, il ricorrente ha effettuato accesso agli atti e ha così potuto sapere di avere conseguito il complessivo punteggio di 73/150, avendo riportato, nelle tre prove scritte, il voto di 24/50, per la prova di diritto civile; 24/50 per il parere in materia penale;25/50 per l’atto giudiziario in materia penale.

La sottocommissione esaminatrice ha formulato i giudizi negativi sopra ricordati in termini esclusivamente numerici,non essendo rintracciabile alcuna correzione o nota integrativa della motivazione numerica attribuita agli elaborati.

Il ricorrente ha, così, portato all’attenzione di giuristi esperti nelle materie oggetto di prova scritta i propri elaborati, ricevendone la stesura di pareri pro veritate, dal cui esame si desume che la Commissione sarebbe incorsa in un errore di valutazione.

L’interessato si rivolge al TAR al quale prospetta la illegittimità delle valutazioni espresse nei suoi riguardi sotto numerosi profili che, tuttavia, possono racchiudersi nella violazione dell’obbligo di motivare il provvedimento, di cui all’art 3 della legge 241/90, e nella violazione delle norme che disciplinano l’attività valutativa della commissione di esame sotto i profili: della necessità di distinguere la correzione dal successivo giudizio; della esigenza di assicurare congruità nei tempi di correzione dei singoli elaborati; della esigenza di garantire la presenza, all’ interno della commissione, di un docente universitario, della esigenza di conformare l’attività valutativa ai criteri precedentemente predeterminati a livello ministeriale

Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Giustizia, la Commissione esami per avvocato, sessione 2008/2009 presso la Corte di Appello di Lecce, la IV sottocommissione esami per avvocato, sessione 2008/2009, presso la Corte di Appello di Reggio Calabria per resistere al ricorso del quale hanno chiesto il rigetto nel merito.

La controversia è passata in decisione alla udienza pubblica del 13 gennaio 2010
Motivi della decisione

Il ricorso è meritevole di accoglimento.

La Sezione ha ribadito, in sede di concessione della tutela cautelare, l’obbligo di motivare i giudizi formulati con riferimento agli elaborati dei candidati all’esercizio della professione di avvocato ai sensi dell’art 3 della legge 241/90, rendendo note le ragioni della valutazione sul versante lessicale e non solo numerico.

Il principio dell’obbligo di motivare espressamente il provvedimento amministrativo, cui non sembra possa sottrarsi con ragione il giudizio formulato dalla commissione di esame nel caso di specie, acquista un particolare significato in questa materia, nel cui ambito si è più volte affermata la possibilità di sovvertire la valutazione complessivamente espressa dalla commissione di esame attraverso la produzione di pareri pro- veritate.

Detti pareri vanno ricondotti, sotto il profilo squisitamente processuale, a principi di prova meritevoli di apprezzamento da parte del giudice che può senz’altro utilizzarli per far emergere l’eventuale errore valutativo in cui sia incorsa la commissione di esame.

Il principio ha particolare rilevanza nei casi in cui la Commissione esaminatrice si limita alla formulazione di un giudizio esclusivamente numerico, come è accaduto nella fattispecie concreta, pur se esso appare dotato di una valenza sua propria anche con riguardo alle ipotesi in cui, pur in presenza della non ammissione alle prove orali sorretta da motivazione extranumerica, l’apparato linguistico impiegato per motivare si fonda sull’uso di formule eccessivamente sintetiche.

La rilevanza processuale dei pareri pro veritate è ancor più evidente se si rammentano le conclusioni – decisamente in antitesi rispetto ai voti riportati dal ricorrente – cui sono pervenuti gli autorevoli esperti consultati dal medesimoricorrente proprio al fine di meglio comprendere quali fossero le ragioni di una valutazione così negativa,e, più in particolare, se la valutazione medesima fosse rappresentativa di specifiche lacune nella preparazione, ovvero se potesse ascriversi ad errori di giudizio della commissione.

Il ricorrente ha fornito la prova persuasiva di un evidente errore di valutazione della commissione perché la stima che i suoi elaborati fossero meritevoli di un voto non inferiore a 30/50 per il diritto civile, non inferiore a 32/50 per il diritto penale e, addirittura, degno di una votazione di 34/50 per l’atto giudiziario in materia penale appare dimostrativa di un considerevole margine di scostamento che può spiegarsi solo in chiave di valutazione erronea della commissione di esame.

Non è condivisibile, sotto tale peculiare aspetto, l’affermazione giurisprudenziale secondo cui " In un concorso o in un esame di abilitazione, invece, la commissione ha solo la funzione di esprimere un giudizio, non di aiutare il candidato ad apprendere come emendarsi per il futuro" (vedi Tar Toscana, sez II, 3 marzo 2010,), alla stregua della quale si è ritenuto di poter sorvolare sulla esigenza di ogni candidato di conoscere le criticità della preparazione.

Il Collegio ritiene invece che, in definitiva, privilegiando l’opzione della sufficienza del voto numerico, in caso di giudizio di non ammissione alle prove orali di un esame di abilitazione, risulta fortemente compromesso il diritto del candidato a migliorare lo standard delle performances intellettuali ance e soprattutto in vista del positivo superamento di prove di esame.

Detto standard costituisce, proprio all’atto della sottoposizione a prove di esame, strumento di cui il candidato medesimo si serve per rappresentare adeguatamente la misura del proprio valore e delle proprie qualità.

Siffatto ordine di argomentazioni appare sorretto, come già si è messo in risalto, dalla lettura dei cd pareri pro- veritate, ossia dalla formulazione di giudizi espressi da soggetti in possesso di specifica competenza professionale in ognuna delle materie oggetto di prova di esame.

La produzione di detti pareri, che gli estensori redigono assumendosi la responsabilità derivante da eventuali dichiarazioni mendaci, in un campo in cui si registra il primato della discrezionalità tecnica della P.a., offre al G.a. un metro alternativo di giudizio e, al tempo stesso, la misura della legittimità dell’operato della P.a., il quale deve risultare esente da censure di illogicità o di irrazionalità.

La messa a disposizione dei pareri in questione, da parte del ricorrente, permette di esaltare la categoria dell’opinabilità del risultato e della soggettività degli esiti valutativi compiuti dalla commissione di esame, che pure rappresenta la sfera entro la quale la discrezionalità tecnica può essere, per così dire, sindacata con successo dal giudice, in quanto espressione di giudizi che sono il portato di scienze discutibili, ossia di scienze nel cui ambito i problemi dibattuti sono aperti ad almeno due diverse soluzioni.

La discrezionalità tecnica può essere appunto sottoposta a sindacato del giudice nella parte in cui essa rifluisce nell’apparato motivazionale.

Il ricorrente coglie dunque nel segno quando affronta la questione della violazione dell’art. 3 della legge 241/90.

La norma richiamata estende l’obbligo della motivazione anche ai provvedimenti concernenti lo svolgimento dei pubblici concorsi, senza che si possa immaginare una specifica area di esenzione tale da comprendere appunto le procedure di conseguimento della abilitazione all’esercizio di una professione come quella di avvocato.

Le ragioni di speditezza nelle operazioni di correzione da parte delle commissioni di esame, pur meritevoli di considerazione in una prospettiva di buon funzionamento della P.a., non permettono di derubricare l’esigenza di una motivazione adeguata, specie al cospetto di un atto destinato a incidere negativamente nella sfera del destinatario, a mera facoltà per la P.a. che procede.

Non è senza significato, in questa prospettiva, la recente riproposizione della questione di incostituzionalità delle norme che disciplinano la materia della ammissione alle prove orali dell’ esame di abilitazione all’esercizio della professione forense, per come sollevata dal TAR Lombardia, Milano.

La questione è stata posta nei seguenti termini:" E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale degli artt. 23, quinto comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, 24, primo comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione; 17bis, secondo comma, del R. D. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal D. L. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, nella parte in cui, essi, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, costituente diritto vivente, consentono che i giudizi di non ammissione dei candidati che partecipano agli esami di abilitazione alla professione forense possano essere motivati con l’attribuzione di un mero punteggio numerico. In particolare, è dubbio che la suddetta disciplina sia compatibile con gli artt. 97, 3, 4, 41 e 24 della Carta Costituzionale, nonché con l’art. 253 del Trattato Costitutivo della CE (ndr: dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona v. versione consolidata del Trattato sul funzionamento delle UE art 296) il quale, costituendo "patrimonio costituzionale comune dei paesi europei", assurge al rango di norma costituzionale interposta ai sensi dell’art. 117 Cost.(T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 06 aprile 2010, n. 63)

Il Tribunale meneghino chiede al Giudice delle Leggi di sottoporre a scrutinio le norme in argomento sotto il profilo della ritenuta contrarietà, in particolare, all’art 97 della Cost, cioè alla norma che, consacrando il principio di buon andamento della P. a., sembra esigere, nella specifica materia, il necessario ricorso ad un uniforme modello di comportamento da parte delle commissioni di esame operanti in tutto il territorio nazionale.

Si tratta della ennesima dimostrazione di come la normativa da applicare, specie alla luce del cd diritto vivente formatosi sul punto, si presti a rilievi critici di non poco momento e richieda una parola chiara ed inequivoca da parte dei Giudici della consulta.

Le considerazioni sopra riportate, sebbene calibrate con riguardo ad un ricorso in cui le doglianze mirano a dimostrare la tesi della inadeguatezza della motivazione utilizzata dalla commissione di esame sono sufficienti per accogliere il ricorso.

Ne consegue l’annullamento degli atti impugnati, nella parte in cui essi recepiscono il giudizio di non ammissione alle prove orali del ricorrente per mezzo di una motivazione inadeguata e contraria alla legge.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale per la Puglia, sezione Prima di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna il Ministero della Giustizia alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore di parte ricorrente nella misura di Euro 2.500,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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