Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 18-02-2011, n. 6162

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 27 agosto 2010, Tribunale del riesame di Lecce ha respinto l’appello proposto da G.U. avverso il provvedimento del 28 luglio 2010, con il quale il G.I.P. di quel medesimo Tribunale ha applicato nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato: – per il reato di cui al capo 1) della rubrica (del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74:

partecipazione ad un’associazione criminosa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti quali cocaina, eroina ed hashish, diretta ed organizzata dal proprio figlio G.G., con il ruolo di persona addetta all’esecuzione di azioni intimidatorie e violente per recuperare i crediti da spaccio); – per il reato di cui al capo 8) della rubrica ( artt. 110 e 629 c.p.: avere, in concorso con G. G. e D.J., con violenza e minacce da lui materialmente poste in essere, costretto GR.Do. a consegnargli un’autovettura di sua proprietà, in tal modo procurandosi un ingiusto profitto con pari danni per la parte offesa);

– per il reato di cui al capo 9) della rubrica ( art. 61 c.p., n. 2, artt. 110, 582 e 585 c.p., in riferimento all’art. 577 c.p., n. 3:

avere con premeditazione, in concorso con G.G., percosso S.V., procurandogli lesioni personali consistite in politrauma, trauma contusivo emitorace ed ipocondrio sinistro, trauma cranico ed altro).

2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza nei confronti di G. U. di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sua partecipazione ad una associazione criminosa intesa al traffico di stupefacenti, operante principalmente nel territorio di (OMISSIS), facente capo al figlio G. ed alla convivente di quest’ultimo D.J. e della quale erano altresì compartecipi B. V. ed il nipote L., oltre ad altri soggetti quali M.A., factotum della coppia G. – D., e S.F.. La D. fungeva da intermediaria fra il B. ed il L. ed il proprio convivente; e dalle intercettazioni telefoniche disposte era emerso che, per procurarsi sostanza stupefacente, G.G. e la convivente D. usavano recarsi a turno e frequentemente nelle zone di Valenzano e Carbonara, dove prendeva contatto con tale " F."; ed anche se il cognome di quest’ultimo non era stato mai pronunciato, tuttavia la p.g. era riuscita ad identificarlo in P.F..

Con specifico riferimento al ruolo svolto da G.U., il Tribunale ha innanzitutto disatteso la chiesta declaratoria di inefficacia della misura custodiale per non avere il P.M. prodotto tutti gli elementi a favore di esso indagato ed in particolare la trascrizione del verbale di interrogatorio. Il Tribunale ha ritenuto che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, non determinava l’inefficacia della misura cautelare la mancata trasmissione al Tribunale del riesame di atti che non erano stati prodotti dal P.M. al momento della presentazione della richiesta della misura cautelare al G.I.P., ovvero di atti successivi che non contenessero elementi favorevoli all’indagato; il Tribunale ha altresì ritenuto che tale inefficacia neppure si estendesse a quegli atti o documenti che erano già nella disponibilità della difesa e che avrebbero potuto da quest’ultima essere prodotti con la richiesta di riesame o nel corso della successiva udienza; d’altra parte l’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p. non era annoverato tra gli elementi favorevoli sopravvenuti, per i quali la norma di cui all’art. 329 c.p.p., comma 5 imponeva la trasmissione da parte dell’autorità giudiziaria precedente al Tribunale del riesame, atteso che la valenza oggettivamente favorevole all’indagato di tale interrogatorio doveva essere specificamente indicata nel ricorso al Tribunale del riesame, allorchè si fosse inteso sostenere che dalla mancata trasmissione del verbale d’interrogatorio potesse derivare la caducazione della misura cautelare; ed al riguardo neanche nei motivi di ricorso depositati all’udienza erano stati indicati gli eventuali elementi favorevoli all’indagato emersi nel corso del suo interrogatorio.

Gli indizi di colpevolezza ravvisati dal Tribunale a carico di G. U. erano correlati al ruolo attribuito al medesimo, ruolo che, sebbene solo marginale e di mero supporto e quindi non paragonabile a quello dominante e direttivo del figlio G., era pur sempre sufficiente a farlo ritenere partecipe al sodalizio criminoso, potendosi esso qualificare come quello di un soggetto disposto, all’occorrenza, a svolgere compiti operativi, finalizzati a fornire appoggio ed ausilio all’attività delittuosa dell’associazione criminosa. Nonostante l’esiguo numero delle conversazioni intercettate a suo carico il contributo dell’indagato al sodalizio criminoso era stato apprezzato con riferimento all’episodio delle lesioni cagionate a S.V., atteso che detta azione violenta aveva avuto come suo presupposto una contesa circa il predominio dell’organizzazione del G. nell’attività di spaccio di stupefacenti in quel particolare contesto territoriale; il che poteva altresì desumersi dalle conversazioni telefoniche intercorse tra l’odierno indagato e suo figlio prima dell’evento, atteso che da tali conversazioni era emerso come il figlio avesse impartito all’odierno indagato precise disposizioni senza incontrare obiezioni sorta ed anzi ricevendone un’incondizionata disponibilità. In tale chiave di lettura poteva altresì comprendersi l’intervento svolto dall’odierno indagato in occasione dell’estorsione posta in essere in danno di GR.Do., apparendo del tutto inverosimile la giustificazione addotta nell’interrogatorio, secondo la quale il GR. avrebbe venduto la macchina al figlio, versione che era stata palesemente contraddetta dalla successiva denuncia di furto sporta dal GR. e da una conversazione telefonica captata, dalla quale era emerso che il GR. si fosse rivolto proprio al odierno indagato per sistemare la faccenda.

Il Tribunale ha ritenuto infine la sussistenza di una prognosi cautelare ancora attuale, non ritenendo possibile superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, tenendo altresì conto dello stretto legame parentale che lo legava al capo dell’associazione criminosa, dei suoi precedenti penali e della mancanza di elementi dei quali poter desumere il venir meno del legame con l’associazione, si da ritenere sussistente il pericolo di reiterazione dei reati della medesima specie.

3. Avverso detto provvedimento del Tribunale di Lecce G.U. propone personalmente ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta violazione di legge, avendo sostenuto la perdita di efficacia nei suoi confronti della misura cautelare impugnata, poichè l’autorità giudiziaria precedente non aveva ottemperato all’obbligo previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 5 di trasmettere al Tribunale del riesame tutti gli atti, nessuno escluso, presentati al G.I.P. a norma dell’art. 291 c.p.p., comma 1.

Erroneamente il Tribunale del riesame aveva escluso la ricorrenza dell’effetto caducatorio previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 5, atteso che esso ricorrente in sede di interrogatorio di garanzia aveva fornito una serie di elementi nuovi ed ulteriori quanto alla sua posizione ed all’esatta dinamica dei fatti, si che in tal modo il Tribunale era incorso in violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5.

Neppure era condivisibile l’interpretazione della norma fornita dal Tribunale, laddove aveva ritenuto la sussistenza di un vero e proprio onere di produzione in capo ad esso ricorrente degli elementi favorevoli contenuti nella trascrizione integrale del verbale d’interrogatorio, atteso che tale onere o meglio tale obbligo era imposto all’autorità giudiziaria precedente.

Col secondo motivo lamenta violazione di legge e motivazione illogica e contraddittoria in quanto t giudici del riesame non avrebbero dato puntuale e logica contezza del percorso argomentativo seguito per giungere alla determinazione adottata.

L’ordinanza impugnata si basava su poche intercettazioni telefoniche, dalle quali non emergeva la sussistenza della cd. "affectio societatis" e la partecipazione di esso ricorrente all’associazione criminosa diretta dal figlio era basata su un quadro indiziario assai carente e poco chiaro, avendo il Tribunale ritenuto il coinvolgimento di esso ricorrente nelle attività delittuose dell’associazione sulla base di due soli elementi e cioè sui rapporti di parentela con il figlio G.G. e sull’episodio criminoso delle lesioni cagionate a S.V.; trattavasi peraltro di indizi incerti e privi di adeguata motivazione giuridica, avendo lo stesso Tribunale ammesso che sarebbe stato opportuno che le indagini avessero delineato meglio la figura del S.. Pertanto le deduzioni del Tribunale di riesame mal si conciliava con i principi indicati dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis in tema di gravi indizi di colpevolezza.

Parimenti non sussistevano a carico di esso ricorrente indizi di colpevolezza con riferimento al delitto di cui al capo 8) della rubrica, non essendo verosimile la ricostruzione dei fatti privilegiata dal Tribunale, secondo cui il G. si sarebbe rivolto ad esso ricorrente per sistemare la faccenda, in quanto il medesimo sarebbe rimasto debitore di somme nei confronti di suo figlio G. per l’acquisto di sostanza stupefacente e, per il recupero del credito, esso ricorrente avrebbe preso parte assieme al figlio ad un’azione estorsiva nei confronti del GR. medesimo; al contrario esso ricorrente non aveva avuto alcun ruolo nell’intera vicenda, che vedeva coinvolto solo suo figlio G. ed il GR.; ed invero dal tenore della captazione telefonica disposta emergeva che il GR. si era rivolto a lui in modo disteso, senza evidenziare preoccupazione o timore di alcun tipo nei suoi confronti; egli poi nulla sapeva dei rapporti commerciali tra il figlio ed il GR. ed il suo intervento era stato esclusivamente finalizzato a prelevare l’auto per conto del figlio; pertanto il Tribunale erroneamente aveva ritenuto esso ricorrente partecipe all’attività criminosa del sodalizio capeggiato dal figlio.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, in quando erroneamente Tribunale aveva ravvisato il pericolo di recidiva nei suoi confronti, desumendola dal vincolo parentale intercorrente con il capo del sodalizio e dai suoi numerosi precedenti penale, non avendo dato il giusto rilievo al tempo intercorso dalla commissione di fatti, trattandosi di eventi verificatisi nel (OMISSIS), mentre l’applicazione della misura custodiale era avvenuta nel luglio del 2010 e quindi a distanza di oltre tre anni, sicchè non era dato desumere il pericolo di reiterazione del reato, tenuto conto del lungo periodo di libertà nel quale esso ricorrente era nel frattempo vissuto.
Motivi della decisione

1. E’ infondato il primo motivo di ricorso proposto da G.U..

Con esso il ricorrente lamenta una pretesa violazione della norma di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, alla stregua del quale l’autorità giudiziaria procedente è tenuta a trasmettere al Tribunale del riesame tutti gli elementi sopravvenuti favorevoli alla persona sottoposta alle indagini; e fra tali elementi avrebbe dovuto essere ricompreso, secondo il ricorrente, altresì il verbale del suo interrogatorio di garanzia, dal quale sarebbero emersi elementi a favore della sua estraneità ai fatti contestati, verbale che invece non era stato esaminato nella sua interezza dal Tribunale, il quale aveva potuto soltanto esaminarle in forma riassuntiva.

La giurisprudenza di questa Corte è invece orientata nel senso di ritenere che, in tema di misure cautelari, l’interrogatorio reso dall’indagato in sede di convalida dell’arresto e di emissione dell’ordinanza coercitiva nei suoi confronti su richiesta del pubblico ministero non rientra, proprio in considerazione del momento in cui è assunto, fra quelli cui si riferisce l’art. 309 c.p.p., comma 5, sicchè la mancata trasmissione di esso non può comportare la perdita di efficacia della misura, sancita dall’art. 309 c.p.p., comma 10 (cfr. Cass. 4, 16.11.07 n. 1581, rv. 238574); e tale orientamento appare ancor più condivisibile nella fattispecie, essendo emerso dall’esame del provvedimento impugnato che detto verbale di interrogatorio era stato esaminato dal Tribunale anche se in forma riassuntiva; d’altra parte costituiva preciso onere del ricorrente indicare in modo specifico gli elementi dai quali avrebbe potuto desumersi la sua estraneità ai fatti; il che non risulta essere avvenuto nella specie.

2. E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso proposto da G. U.. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il provvedimento impugnato, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, ha indicato i validi indizi dai quali ha desunto la commissione, da parte sua, dei tre reati al medesimo ascritti.

L’appartenenza di un soggetto ad un’associazione a delinquere richiede: – l’accertamento dell’esistenza in sè di un sodalizio criminoso; – la verifica del ruolo svolto dal soggetto e delle modalità delle azioni da lui eseguite, tali da porre in rilievo la sussistenza di un vincolo stabile tra il soggetto e l’associazione;

– l’accertamento che il ruolo a lui affidato nell’ambito della compagine criminosa non sia occasionale, ma abbia i caratteri della stabilità e si sia protratto per un ragionevole spazio temporale (cfr., in termini, Cass. 9.12.02 n. 2838; Cass. 3 16.10.08 n. 43822).

L’associazione a delinquere prevista dall’art. 74 del d.p.r. 309/90 è una species del più ampio genus costituito dal delitto di associazione a delinquere, di cui all’art. 416 c.p., si che anch’essa richiede, oltre alla presenza di almeno tre persone, la sussistenza di un vincolo continuativo, scaturente dalla consapevolezza che ha ciascun associato di far parte del sodalizio criminoso, caratterizzato, rispetto a quello delineato in via generale dall’art. 416 c.p., dall’essere esso finalizzato alla commissione di più delitti fra quelli previsti dall’art. 73 del citato D.P.R. e di fornire, con il proprio contributo causale, un valido apporto al perseguimento del programma criminoso anzidetto, per realizzare il quale non è richiesta la predisposizione di una struttura complessa ed articolata, essendo sufficiente che essa sussista in via rudimentale, sia fornita dei mezzi finanziari necessari al perseguimento delle illecite finalità e sia infine destinata ad operare per un apprezzabile arco temporale (cfr. Cass. l’S 22.9.06 n. 34043, rv. 234800).

3. Conforme ai principi giurisprudenziali sopra richiamati appare il provvedimento impugnato, con il quale il Tribunale del riesame di Lecce ha ritenuto l’odierno ricorrente partecipe di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, col ruolo di soggetto disponibile ad intervenire, qualora fosse stato necessario, a titolo di supporto del sodalizio criminoso ed ha altresì ritenuto tale ruolo, pur defilato e subalterno, pur sempre idoneo a farlo ritenere partecipe dell’ipotizzata associazione malavitosa. Il sodalizio era operante principalmente nel territorio di (OMISSIS) e faceva capo al figlio G.G. ed alla convivente di quest’ultimo D.J. ed aveva come compartecipi altresì B.V. ed il nipote L., oltre ad altri soggetti quali M.A., vede proprio factotum della coppia G. – D., e S.F..

La D. fungeva da intermediaria fra il B. ed il L. ed il proprio convivente; e dalle intercettazioni telefoniche disposte era emerso che, per procurarsi sostanza stupefacente, G. G. e la convivente D. usavano recarsi frequentemente nelle zone di (OMISSIS), dove prendeva contatto con tale " F.", poi identificato in P.F.. In tale contesto il Tribunale ha ritenuto che il ruolo svolto dal ricorrente fosse quello di fungere da supporto al proprio figlio G., capo dell’organizzazione criminosa, qualora ciò si fosse reso necessario per preservare la struttura dell’associazione criminosa; ed ha richiamato al riguardo la partecipazione dell’odierno indagato all’episodio di estorsione nei confronti di GR.Do. ed all’episodio di pestaggio avvenuto in danno di S.V., avendo rilevato come entrambi detti episodi criminosi fossero da collegare strettamente all’associazione criminosa ipotizzata, avendo essi come propria matrice l’esigenza di assicurare e rafforzare il predominio sul territorio dell’associazione criminosa medesima.

Pienamente condivisibile appare poi la motivazione addotta dal Tribunale del riesame per ritenere inverosimile quanto rappresentato dal ricorrente in sua difesa, al fine di escludere la sua partecipazione all’episodio estorsivo in danno di GR.Do., avendo in particolare il Tribunale correttamente rilevato la palese ambiguità di una conversazione telefonica intercorsa fra l’odierno ricorrente ed il GR., dalla quale era emerso che quest’ultimo si fosse rivolto al primo per "sistemare" la faccenda.

4. E’ altresì infondato anche il terzo motivo di ricorso proposto da G.U.. L’ordinanza impugnata risulta invero adeguatamente motivata anche in ordine alla sussistenza di attuali esigenze cautelari, tali da giustificare la permanenza in carcere del ricorrente, avendo fatto riferimento sia alla sua personalità, trattandosi di soggetto già gravato di numerosi e gravi precedenti penali, sia allo stretto legame parentale che lo legava al capo dell’associazione criminosa, sia alla mancanza di elementi dei quali desumere il venir meno del legame con l’associazione, si da far ritenere concreto ed attuale il pericolo di reiterazione della condotta antigiuridica (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4, 8.6.07 n. 22500).

Il Tribunale ha altresì fatto riferimento alla presunzione iuris tantum fissata dall’art. 275 c.p.p., dettato in tema di criteri di scelta delle misure cautelari da applicare.

E’ noto che tale norma è stata modificata, al D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2, comma 3 convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 33; e secondo tale ultima normativa, anche per il reato associativo contestato all’odierno ricorrente (cfr. art. 51 c.p.p., comma 3 bis) sussiste la presunzione di adeguatezza della misura cautelare inframuraria, presunzione superabile solo se il ricorrente provi la completa insussistenza di esigenze cautelari nei suoi confronti; e, nella specie, detta prova non è stata fornita dal ricorrente, non potendo valere in tal senso il mero decorso del tempo tra il compimento dei fatti (anno (OMISSIS)) e l’epoca in cui è stata emessa la custodia cautelare (luglio del 2010).

Il criterio fissato dal legislatore è dunque riferito alla completa inesistenza di esigenze cautelari, in tal modo non consentendo all’interprete di graduare diversamente la misura cautelare da irrogare, qualora pure ritenesse le esigenze cautelari in qualche modo ridotte o diminuite.

5. Il ricorso in esame va pertanto respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

6. Si provveda all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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