Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 7481

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.= S.C. chiedeva al Presidente del Tribunale di Taranto il sequestro giudiziale dell’appartamento ad uso abitazione sito in (OMISSIS).

Esponeva di essere erede universale di tutti i beni relitti dalla madre R.C. unitamente ai propri germani S.D. S.L. e S.T., in virtù del testamento pubblico registrato in Taranto il 16 marzo 1960.

Esponeva altresì che detto fabbricato era stato di recente abbattuto ed era in corso la realizzazione di un nuovo fabbricato. Esaminata la concessione edilizia aveva appreso che la sorella S.L. aveva donato l’immobile alla figlia R.O. con atto pubblico.

Osservava che l’atto di donazione era nullo poichè la donante S. L. in comunione ereditaria per successione non aveva titolo di trasferire la proprietà dell’immobile in questione e la donataria non aveva titolo per procedere alla demolizione del fabbricato e alla costruzione di uno nuovo. Il Presidente del Tribunale con provvedimento del 20 novembre 1991 disponeva il sequestro giudiziario dell’immobile.

Con atto notificato il 9 dicembre 1991 S.C. instaurava giudizio di merito. Il Tribunale con sentenza del 6 gennaio 2001 ritenendo che non tutte le parti processuali erano intervenute nella fase cautelare revocava il sequestro giudiziale concesso ante causam, dichiarava improcedibile l’azione proposta. b) Proponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Lecce, S. C., il quale chiedeva che venisse riformata la sentenza di primo grado.

Resistevano all’appello S.L. e R.O., le quali riproponevano l’appello incidentale per la declaratoria dell’usucapione da parte di S.L. della quota ereditaria di S.C. in ordine all’immobile di cui era causa.

La Corte di appello di Lecce sezione distaccata di Taranto, con sentenza n. 144/05, accoglieva l’appello principale e dichiarava la nullità dell’atto di donazione de qua disponendo la riduzione in pristino dei luoghi a carico di R.O.. Rigettava l’appello incidentale. Per giungere a tale decisione la Corte di Appello territoriale riteneva:

a) che il contraddittorio andava integrato solo nei confronti di S.L., perchè il giudizio instaurato non aveva ad oggetto una divisione ereditaria ma la declaratoria della nullità dell’atto di donazione;

b) che la mancata partecipazione di tutte le parti nella fase cautelare non esimeva il giudice di primo grado dal dover di pronunciare sul giudizio di merito;

c) riteneva che ritualmente S.C., aveva riproposto la domanda di merito in grado di appello con l’unica precisazione che non poteva avanzare la domanda risarcitoria perchè rinunciata in primo grado;

d) escludeva l’acquisto per usucapione della quota ereditaria di S.C.. e) Per la cassazione di questa sentenza ricorrono congiuntamente S.L. e R.O. con due motivi consegnati ad un atto di ricorso notificato il 12 settembre 2005. Resiste S.C. con atto di controricorso notificato il 25 ottobre 2005.
Motivi della decisione

1 .= Con il primo motivo, le ricorrenti, S.L. e R. O., lamentano – come da rubrica – Violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 346 c.p.c., e art. 1421 c.c.. Con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di Appello di Lecce, secondo le ricorrenti – per aver ritenuto ritualmente proposta la domanda di nullità dell’atto di donazione del 22 ottobre 1984 con il quale S.L. ha donato alla figlia R.O. la casa in questione. Ritengono le ricorrenti, che S.C., in appello, non ha riproposto la domanda di nullità così come prevede l’art. 346 c.p.c., secondo cui "le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate". Se è vero ritengono le ricorrenti che il giudice del merito ha il potere dovere di individuare e qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti prospettati e dedotti dalla parte che li ha dedotti è altresì vero che tale potere dovere incontra, oltre a quello dell’osservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, il limite del divieto di sostituire d’ufficio una azione diversa a quella formalmente ed espressamente proposta. Per altro – sostengono ancora le ricorrenti – nel caso di specie non è possibile procedere all’interpretazione della domanda proposta con l’appello principale nè sostituire un’azione con un’altra stante la chiara ed univoca manifestazione di volontà di S.C. di "(…)non riproporre la questione relativa alla nullità della donazione (……)". 3.1.= La censura è fondata e merita di essere accolta perchè la Corte territoriale si è pronunciata su una domanda non formulata dall’appellante e, comunque, su una domanda non esaminata dal giudice di primo grado. Il giudizio di primo grado si era concluso, come pure evidenzia la Corte territoriale, con una dichiarazione di improcedibilità dell’azione proposta. A tale decisione il giudice di primo grado era pervenuto sul presupposto che il contraddittorio non era stato integrato nei confronti di tutti i soggetti interessati (di tutti i coeredi del bene di che trattasi). Non vi era stata, dunque, una pronuncia di merito, ma solo una pronuncia per un vizio processuale, cioè, una pronuncia di rito. S.C., l’appellante, nell’impugnare la sentenza non ha riproposto in appello la domanda di merito neppure in subordine cioè nella eventualità che l’impugnazione sulla improcedibilità della domanda giudiziale, unica statuizione del giudice di primo grado, fosse stata accolta.

Sicchè la Corte di Appello non avrebbe dovuto – come invece ha fatto – pronunciarsi su una domanda di merito che non risultava correttamente proposta.

3.2.= Va qui osservato che è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per: difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione. (sent. n. 12541 del 14/12/1998).

2 = Con il secondo motivo, le ricorrenti lamentano – come da rubrica – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1141, 1158, 2697, 2733 cod. civ. artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato La corte di Appello di Lecce, secondo le ricorrenti, per aver rigettato la domanda, avanzata in via riconvenzionale dalle stesse, di usucapione della quota ereditaria di S.C.. In particolare, riferiscono le ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che S.L. avrebbe goduto della casa materna (di cui chiedeva l’accertamento dell’avvenuta usucapione della quota di S. C.) in forza di un contratto di comodato e come tale ai fini dell’usucapione avrebbe dovuto – e non lo ha fatto – allegare e dimostrare l’interversione uti domini. Piuttosto, sempre a dire dalle ricorrenti – nel caso di specie non era necessaria nè la prova del mutamento della detenzione in possesso nè l’interversione del titolo del possesso dal momento che S.L. aveva iniziato a possedere il bene immobile oggetto di contestazione già prima della morte del genitore.

2.1.= Il motivo merita di essere accolto ma per una ragione diversa da quella espressa dalle ricorrenti. Il capo della pronuncia che le ricorrenti censurano, in verità, riguarda un profilo di merito che la Corte territoriale non avrebbe dovuto accogliere, considerato che neppure questo profilo era stato esaminato dal giudice di primo e sul quale, dunque, non esisteva una pronuncia di merito. In definitiva, il ricorso va accolto. Vi è ragione di compensare le spese del giudizio di secondo grado e quelle del giudizio legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata senza rinvio e pronunciandosi ai sensi dell’art. 382 c.p.c. dichiara inammissibile l’atto di appello. Compensa le spese del giudizio di secondo grado e quelle del giudizio di legittimità.

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