Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 7479 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Dalla narrativa della sentenza impugnata (e del ricorso) si deduce che l’Associazione "Comunità della buona notizia", proprietaria di un fondo sito in (OMISSIS), proponeva innanzi al Tribunale di Milano, sezione distaccata di Rho, nei confronti di C.N. e di C.T., proprietari di un fabbricato vicino di recente ristrutturato e sopraelevato, azione di risarcimento del danno in forma specifica e per equivalente, ai sensi dell’art. 872 c.c., per la violazione sia di norme edilizie, sia di una convenzione stipulata con atto pubblico del 7.7.1980, nonchè un’azione di accertamento di una servitù di passaggio, esercitata attraverso un porticato, costituita per destinazione del padre di famiglia, anch’essa corredata da domanda di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

I convenuti resistevano a tutte le domande, che il Tribunale rigettava con sentenza, poi, confermata dalla Corte d’appello di Milano giusta pronuncia del 21.12.2004.

La Corte territoriale aderiva del tutto a quanto già argomentato dal giudice di prime cure, il quale aveva ritenuto infondata la domanda di rimessione in pristino dello stato dei luoghi per violazione delle norme di edilizia e dei "patti speciali" di cui all’atto pubblico 7.7.1980, non risultando violata alcuna norma sulle distanze legali tra costruzioni, di cui alla sezione 6^ seguente all’art. 872 c.c.; e che quella di risarcimento del danno per equivalente non potesse essere accolta per difetto di specifica allegazione del pregiudizio sofferto. Del pari condivideva il giudizio d’irrilevanza delle prove testimoniali dedotte per dimostrare l’esistenza della servitù di passaggio.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre l’Associazione "Comunità della buona notizia", formulando tre motivi di annullamento.

Gli intimati resistono con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce l’omessa, insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia, identificato nella violazione dei patti speciali di cui all’atto 7.7.1980 notaio Falzone, che avevano posto, si sostiene, a carico dell’immobile oggi di proprietà C.T. – C.N. di non sopraelevare i fabbricati già esistenti. Sia il giudice di primo grado, sia la Corte d’appello, afferma parte ricorrente, hanno esaminato, per poi respingerla, solo la domanda di rimessione in pristino dello stato dei luoghi ex art. 872 c.c. collegata alla violazione delle norme di edilizia, non anche quella basata sulla violazione dei patti di cui al contratto citato, avente natura di atto costitutivo di una servitù altius non tollendi.

1.1. – Il motivo è fondato.

1.1.1. – La decisione della Corte territoriale scaturisce da un difetto di qualificazione giuridica (verosimilmente indotto da un riflesso di stretta corrispondenza all’impostazione che la stessa parte attrice aveva dato alla complessiva pretesa azionata), che ha finito per ricondurre sotto l’esile ombrello normativo dell’art. 872 c.c. tutte le domande diverse da quella avente ad oggetto l’accertamento positivo della servitù di passaggio, per poi accomunare il diniego di tutela ripristinatoria sotto una medesima ratio decidendi, collegata alla negazione del carattere integrativo delle norme di edilizia che la parte attrice aveva sostenuto essere state violate.

1.2. – Dalla sentenza impugnata – non investita in parte qua da censure sulla tenuta motivazionale della ricostruzione dei fatti di causa – si ricava che l’associazione attrice ha agito per ottenere il risarcimento, in forma specifica e per equivalente, del danno cagionatole da una medesima attività edilizia svolta dai convenuti, deducendo quale causa petendi la violazione sia di norme di edilizia, sia dei "patti speciali" di cui all’atto pubblico del 7.7.1980, costitutivi a loro volta una servitus altius non tollendi, nonchè per l’accertamento di una servitù di passaggio, anch’essa con domanda accessoria di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

1.2.1. – Tali domande implicano una triplice azione: una di natura personale e obbligatoria, sostanziata dalla ricaduta ex se pregiudizievole, rispetto alla proprietà dell’associazione attrice, dell’attività edilizia svolta dai convenuti, e titolata con il richiamo all’art. 872 c.c. (sulla natura obbligatoria e non reale dell’azione proposta ai sensi di tale norma per ottenere il solo risarcimento del danno per equivalente, cfr. Cass. nn. 11525/99 e 5173/01); un’altra qualificabile come confessoria servitutis altius non tollendi basata su titolo negoziale; e una terza actio confessoria diretta all’accertamento di una servitù di passaggio costituita per destinazione del padre di famiglia. E a ciascuna delle azioni confessorie accede anche una richiesta di tutela ripristinatoria.

1.2.2. – Così (ri)qualificate le tre azioni proposte, va ulteriormente osservato che le due domande di risarcimento del danno per violazione delle norme di edilizia e per inosservanza della servitù altius non tollendi, mirano ad una sola utilitas e dunque ad uno stesso effetto di giudicato che predica la responsabilità dei convenuti per una medesima attività edilizia dedotta come illegittima, sicchè esse risultano tra loro cumulate in via alternativa.

1.3. – Ciò posto, la Corte milanese, con riguardo alla domanda confessoria servitutis altius non tollendi, avrebbe dovuto motivare in ordine (a) all’esistenza e (b) al contenuto della servitù stessa, come assertivamente costituita in base al titolo convenzionale dedotto (l’atto notaio Falzone del 7.7.1980), per poi valutare (c) la compatibilità o non con essa della modifica dei luoghi posta in essere dai convenuti, mentre per le ragioni anzi dette ha omesso del tutto tale indagine, esaurendo all’interno del solo paradigma normativo dell’art. 872 c.c. la questione controversa. Di qui la necessità di una nuova analisi di fatto su tali punti decisivi.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi enunciati in materia di risarcimento dei danni per violazione di norme urbanistiche e "di patti aventi natura di obbligo reale", affermando che secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema la violazione del diritto di servitù altius non tollendi attribuisce al proprietario del fondo dominante, oltre alla tutela in forma specifica, anche il diritto al risarcimento del danno, che deve ritenersi in re ipsa, senza bisogno di una specifica attività probatoria, poichè alla violazione di detta servitù consegue la riduzione di luce, aria e vista in pregiudizio del fondo dominante.

La medesima considerazione, prosegue parte ricorrente, vale con riferimento alla violazione delle norme di edilizia.

2.1. – Il motivo è in parte assorbito e in parte infondato.

2.1.1. – Assorbito dall’accoglimento del primo, quanto alle conseguenze dell’omessa motivazione sulla violazione della servitù altius non tollendi, non potendosi discutere della risarcibilità di una violazione ancora impregiudicata nel merito.

2.1.2. – Infondato quanto alla seconda proposizione, secondo cui il danno risarcibile sarebbe in re ipsa nell’accertamento delle violazioni di norme di edilizia, per la semplice ragione che, come esattamente affermato sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello, la risarcibilità per equivalente del danno prodotto dalla violazione di norme di edilizia non integrative di disposizioni civili sulle distanze tra costruzioni richiede pur sempre l’allegazione e la prova di una specifica compromissione del proprio diritto di proprietà. 2.1.2.1. – Ed infatti, questa Corte ha avuto modo di precisare che la realizzazione di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in materia di distanze, non comporta immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l’accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l’effettivo pregiudizio subito, e che, pertanto, la prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo preciso, con riferimento alla sussistenza del danno ed all’entità dello stesso (Cass. nn. 24387/10 e 7909/01).

Affermazione di principio, questa, che non contrasta affatto con quella che, nel diverso caso della servitù di non sopraelevazione, sostiene per contro la risarcibilità in re ipsa dell’inosservanza del dovere di astensione a carico del proprietario del fondo servente. Infatti, il concetto di utilitas può comprendere ogni vantaggio, anche di natura non economica, come quello di assicurare semplicemente una maggiore amenità e, pertanto, va tutelata da ogni forma di compressione o ingerenza da parte di chiunque, con il solo limite del divieto di atti emulativi e salva l’eventuale rilevanza dell’entità dei pregiudizio al solo fine della quantificazione del risarcimento del danno ove richiesto (così Cass. n. 8151/01).

Inoltre, nell’ipotesi di servitù costituita per contratto, a differenza di quanto accade nel caso di esercizio di un’azione risarcitoria a carattere personale ai sensi dell’art. 872 c.c., l’interesse al mantenimento dello status quo ante forma oggetto di un interesse negoziato tra le parti, e come tale non comprimibile, nè riducibile, nè subordinatele all’esistenza di un concreto pregiudizio derivante dall’attività lesiva posta in essere dal proprietario del fondo servente (cfr. Cass. n. 21629/09).

3. – Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c. riguardante la costituzione di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, lamentando che la Corte d’appello ne abbia insufficientemente motivato il rigetto, con riguardo alla mancata analisi degli elementi documentali prodotti dalla parte attrice (relazione tecnica di parte e relative planimetrie allegate) e alla reiezione dell’istanza di prova testimoniale, finalizzata a dimostrare che di fatto il portico consentiva il (ed era destinato al) collegamento tra le due aree cortilizie.

3.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto – a parte la manifesta discrasia rispetto alla titolazione enunciata – è diretto a sollecitare una nuova valutazione degli elementi istruttori emersi, e dunque una caratteristica indagine di fatto, preclusa al giudice di legittimità, piuttosto che a isolare un determinato passaggio della motivazione, per poi criticarne in maniera specifica e perspicua, congruità e/o logicità. 4. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, in parte assorbito e in parte respinto il secondo motivo, e respinto il terzo, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo, in parte assorbito e in parte respinto il secondo e respinto il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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