Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 7475 Servitù coattive di passaggio

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 268/02 il Tribunale di Avezzano rigettò le domande con le quali le attrici B.P. ed I. richiesero accertarsi e dichiararsi il diritto di servitù di passaggio loro spettante sulla striscia di terreno largo metri 5 insistente al centro e per tutta la lunghezza del fondo originariamente di proprietà di S.D., dal medesimo frazionato in lotti, tra cui il proprio e quelli di proprietà dei convenuti. In particolare assumendo che a carico di ciascun lotto gravava detta servitù e che invece i coniugi L. e M., proprietari del lotto 410, aventi causa da Ci.Pa. e questo a sua volta dal S.D., e danti causa dei coniugi C. e D., chiamati in causa nel corso del giudizio, avevano occupato la striscia di m. 2,50 antistante il loro lotto e relativa al loro conferimento, mediante recinzione, ne avevano chiesto la restituzione alla servitù con il risarcimento del danno. Proposero appello B.P. ed I., resistettero L. e M., C. e D. e la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza 93/05, in parziale accoglimento del gravame, dichiarò che il diritto di servitù di passaggio in favore del fondo delle B., di cui alle particelle 409 e 559 foglio 34 N.C.T. (OMISSIS), si estendeva anche sulla striscia di terreno particella 563 foglio 34 per la larghezza di m. 2,50, con condanna delle controparti all’immediata rimozione di ogni ostacolo, rigettò la domanda di danni e compensò le spese.

La Corte territoriale richiamò la ctu e gli atti pubblici, in particolare l’atto 28 dicembre 1972 di acquisto delle particelle 409 e 559 da parte di B.L., dante causa delle attrici, l’atto del 17 giugno 1974 di acquisto di F.P. e quello del 31 dicembre 1966 in favore di Ci. ed altri.

Ricorrono C., D., L. e M. con tre motivi, non svolgono difese le altre parti.
Motivi della decisione

Col primo motivo si lamentano violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., degli artt. 1350, 1027, 1058, 1063 c.c., in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La corte di appello ha ritenuto rilevanti esclusivamente i rapporti tra i fondi alienati dal S.D. a terzi, tra cui le attrici e la residua proprietà S.D., reputando fosse comune intenzione delle parti costituire una servitù di passaggio, muovendo dall’atto 28.12.1972, in favore di B.L., in cui all’art. 3 "l’acquirente si obbliga a lasciare lungo tutto il lato del terreno acquistato che confina con proprietà L. e M., una striscia larga metri due e centimetri cinquanta, per tutta la larghezza del fondo, per la formazione di una strada privata sulla quale avranno incondizionato passaggio tutti gli aventi causa da S.D. nel comprensorio di cui la zona venduta è parte".

Invece emergeva la chiara volontà di conferire una striscia di m.

2,50 per la creazione di una strada e non già per la formazione di un passaggio di m. 5, situazione confermata da altre circostanze indicate.

Col secondo motivo si deducono violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, dell’art. 2644 c.c. perchè l’opponibilità di una servitù può conseguire solo da una specifica trascrizione idonea ad individuare in tutta la sua estensione la natura del vincolo con conseguenti vizi di motivazione.

Col terzo motivo si lamentano violazione degli artt. 2934, 2935, 2941, 1029 c.c. vizi di motivazione per non essere stata dichiarata la prescrizione del diritto, ritenendo che decorresse dal 28 dicembre 1972, data dell’atto, senza considerare che la recinzione dell’area risaliva a prima del 1971.

Osserva la Corte:

In ordine al primo motivo, il convincimento espresso dal giudice a qua risulta, in effetti, raggiunto mediante lo svolgimento d’attività interpretativa di atti pubblici ed in particolare non solo dell’atto in favore di B.L., in cui risulta l’obbligo di lasciare una striscia larga metri due e centimetri cinquanta per la formazione di una strada, ma anche di quelli in favore di F., Ci. ed altri in cui si fa riferimento ad una strada della larghezza di metri 5, donde l’esperibilità dell’azione confessoria non solo nei confronti del proprietario delle particelle interessate S.D. ma anche dei possessori sine titulo, per averle annesse al terreno di loro proprietà individuati in Ci.Pa. e nei successivi aventi causa, i coniugi L. – M. prima e i coniugi C. – D. poi.

Ne consegue che i ricorrenti avrebbero dovuto prospettare ogni questione al riguardo, anzi tutto, in relazione all’attività ermeneutica posta in essere dal giudice a quo, relativamente a ciascuno degli atti presi in considerazione nella motivazione della sentenza, con puntuale riferimento ai singoli criteri legali d’ermeneutica contrattuale, e solo successivamente, una volta idoneamente dimostrato l’errore nel quale fosse eventualmente incorso al riguardo il detto giudice, avrebbero potuto procedere ad un’utile prospettazione delle ulteriori questioni d’erronea od inesatta applicazione d’altre norme ed istituti, dacchè la disamina di tali questioni presuppone l’intervenuto accertamento dell’errore sull’interpretazione della volontà negoziale delle plurime parti alle quali è fatto riferimento in ricorso, e non può, pertanto, aver luogo ove manchi siffatto previo accertamento d’un vizio che inficerebbe, sul punto, ab origine l’impugnata pronunzia, costituendo tale interpretazione il presupposto logico – giuridico delle conclusioni alle quali il giudice del merito è pervenuto poi sulla base di essa (Cass. 21.7.03 n. 11343, 30.5.03 n. 8809, 28.8.02 n. 12596).

E’ ben vero che i ricorrenti hanno inteso in qualche modo censurare la valutazione degli atti de quibus effettuata dal giudice a quo ed hanno, all’uopo, svolto argomenti in senso contrario, tuttavia, quand’anche vi si volesse ravvisare una, se pure irrituale, denunzia d’errore interpretativo, questa sarebbe, comunque, inidoneamente formulata ed insuscettibile d’accoglimento.

L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi, come sembra dai ricorrenti, la mancata considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nel primo comma dell’art. 1362 c.c. – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c. per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2 che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).

Quanto, poi, al vizio di motivazione, devesi considerare come la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 debba essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice de merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nè può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, nè nel loro complesso nè nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidendi dell’impugnata sentenza sulle questioni de quibus, bensì a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a qua e più rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, ciò che non soddisfa affatto alla prescrizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto si traduce nella prospettazione d’un’istanza di revisione il cui oggetto è estraneo all’ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimità, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni.

In ordine al secondo motivo ed all’omessa pronuncia sull’eccezione di inopponibilità in mancanza di trascrizione , la questione prospettatavi, in vero, non risulta aver formato oggetto di trattazione nel giudizio d’appello, secondo quanto risulta dall’esame delle componenti essenziali dell’impugnata sentenza – conclusioni delle parti riportate nell’epigrafe ed, inoltre, motivi dell’impugnazione riportati all’inizio della motivazione; esposizione del fatto; motivazione – contro la quale non è stata formulata una rituale censura ex art. 112 c.p.c. per omesso esame delle stesse.

Come ripetutamente evidenziato da questa Corte, infatti, l’omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma già 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366).

Perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi;

ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di errar in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

Nella specie, i ricorrenti non hanno rispettato alcuna delle evidenziate condizioni, onde la censura di omessa pronunzia, quand’anche la si potesse ritenere proposta, sarebbe inammissibile.

Pertanto, poichè la questione prospettata con il motivo in esame introduce temi di dibattito completamente nuovi, implicando accertamenti in fatto non acquisiti agli atti e, comunque, decisione su elementi di giudizio pure in fatto che non hanno formato oggetto di contraddittorio nella fase di merito, stanti la natura ed i limiti del giudizio di legittimità, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto nello stesso già proposte, non può essere presa in considerazione.

In proposito questa Corte ha, infatti, avuto ripetutamente occasione d’evidenziare come i motivi del ricorso per cassazione debbano investire, a pena d’inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano già formato oggetto di gravame e che siano, dunque, già comprese nel thema decidendum del giudizio di secondo grado quale fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti, mentre non è consentita, a parte le questioni rilevabili anche d’ufficio, la prospettazione di questioni che modifichino la precedente impostazione difensiva ponendo a fondamento delle domande od eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nella fase di merito o questioni di diritto fondate su elementi di fatto nuovi o diversi da quelli dedotti in detta fase (e pluribus, da ultimo, Cass. 29.12.03 n. 1273, 22.10.02 n. 14905, 16.9.02 n. 13470, 21.6.02 n. 9097, ma già Cass. 9.12.99 n. 13819, 4.10.99 n. 11021, 19.5.99 n. 4852, 15.4.99 n. 3737, 15.5.98 n. 4910).

Non risulta , poi, censurata l’affermazione della sentenza, pagina sette, secondo cui "è vero che nessuno dei rispettivi atti di acquisto dei convenuti appellati, e neppure quello del loro dante causa Ci.Pa., contengono riferimenti oggettivi alla costituzione della servitù a carico del fondo, tuttavia è pur vero che nessuna parte del fondo dai medesimi acquistato avrebbe dovuto essere asservita al passaggio altrui, gravando detto passaggio sulle residue particelle 563 e 534 mai alienate loro, anzi rimaste di esclusiva proprietà del S." e l’altra, di pagina dieci che, "per indicazione stessa del ctu, risulta erronea l’indicazione del confine con proprietà L. e M., poichè poteva trattarsi solo di proprietà S.".

Quanto al terzo motivo la Corte territoriale ha correttamente statuito che la servitù prediale può estinguersi solo per prescrizione e non come effetto riflesso dell’usucapione da parte di un terzo, che la costituzione della stessa era avvenuta con l’atto 28.12.1972, per cui la citazione 8 marzo 1991 era tempestiva.

In ogni caso va osservato che era irrilevante la pretesa situazione di fatto preesistente, non invocabile ai fini dell’usucapione.

In definitiva il ricorso va rigettato, senza pronunzia sulle spese, attesa la mancata costituzione delle controparti.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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