Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-03-2011, n. 7443 Diritti della personalità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono essere così ricostruiti sulla base della sentenza impugnata.

Con ricorso depositato in data 11 ottobre 2005 T.G. F., D.S., A.S.M. e T.O. convennero innanzi al Tribunale di Monza, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152 B.A., direttore del (OMISSIS), il giornalista C.M. nonchè Editrice Vimercate s.r.l., chiedendo la condanna dei convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 250.000,00, oltre rivalutazione e interessi, a titolo di risarcimento danni per violazione delle norme sul trattamento dei dati personali di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003.

Esposero che negli anni 1998-2002 erano stati amministratori del Comune di (OMISSIS); che nel mese di giugno del 2004 avevano ricevuto dalla Procura Regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Lombardia un invito a dedurre, in relazione a viaggi all’estero deliberati dalla Giunta comunale a sostegno delle imprese (OMISSIS); che malgrado il carattere non giudiziale dell’atto e la riservatezza con la quale esso era stato trasmesso, il predetto periodico, nell’edizione del giorno (OMISSIS), ne aveva pubblicato integralmente il testo, non esclusi nomi, luoghi e date di nascita, località di residenza e qualifica dei destinatari, dando alla notizia un risalto diffamatorio. Evidenziarono anche che le tesi del Procuratore non erano state condivise dal giudice contabile, perchè la Corte dei conti, con sentenza n. 467 del 30 giugno 2005, aveva rigettato la domanda risarcitoria della Procura, ritenendo che le deliberazioni assunte rientrassero nella competenza dell’ente locale; che, malgrado ciò, il (OMISSIS), nell’edizione del (OMISSIS), era tornato sulla tesi accusatoria, assumendo che la stessa era ancora al vaglio del decidente, senza dare, dunque, notizia alcuna della decisione emessa, in spregio al dovere deontologico di verificare la veridicità dei fatti.

Dedussero quindi la violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, in ragione sia della integrale pubblicazione dell’invito a dedurre, sia della divulgazione dei dati personali dei destinatari dello stesso. Denunziarono inoltre la strumentalizzazione della notizia, in vista della prospettazione dei fatti in chiave sensazionalistica e diffamatoria, in contrasto con i principi di essenzialità dell’informazione e di riservatezza.

I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono l’avversa pretesa.

Con sentenza del 24 gennaio 2006 il giudice adito ha rigettato la domanda.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione F. T.G., D.S., A.S.M. e T.O., formulando quattro motivi.

Resistono con controricorso B.A. ed Editrice Vimercatese.
Motivi della decisione

1.1 Col primo motivo gli impugnanti lamentano violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2, 11, 15, 22 e 27, art. 52, n. 7, artt. 136, 137 e 139 anche in relazione agli artt. 2043 e 2050 cod. civ., nonchè dell’art. 6 Codice deontologico dei giornalisti.

Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui il rispetto del codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica costituisce parametro di liceità dell’uso che il giornalista faccia di tali dati.

Secondo gli esponenti l’affermazione sarebbe sbagliata in quanto attribuirebbe al codice deontologico la capacità di derogare alle norme sulla privacy, laddove si tratta di fonte a questa gerarchicamente subordinata. Dall’equivoco del decidente sul regime e sulla forza delle norme disciplinanti la materia sarebbe scaturito il giudizio di liceità e della riproduzione del testo integrale dell’invito a dedurre e delle modalità con le quali la stessa era avvenuta.

Segnatamente, tenuto conto del disposto del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, n. 1, che, ammettendo, in via di principio, la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali, porrebbe, a contrario, il divieto di pubblicazione di qualsiasi atto non giudiziale, non poteva essere diffuso il contenuto dell’invito a dedurre, in quanto atto stragiudiziale, riservato al Procuratore generale della Corte dei conti, volto a sollecitare il destinatario a interloquire sulle questioni in esso prospettate. Conseguentemente, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, comma 2, la pubblicazione del predetto invito doveva ritenersi inibita anche nell’ambito dell’attività giornalistica, dato che il legislatore non aveva previsto deroghe in proposito. In tale contesto nessun rilievo poteva avere la rilevanza pubblica della notizia, richiamata dal giudice di merito nell’erroneo presupposto che il codice deontologico fosse fonte esclusiva di regolamentazione dell’attività giornalistica; nè le inesattezze che avevano accompagnato la comunicazione erano state sanate, come aveva mostrato di ritenere il giudice a quo, dalla integrale pubblicazione del documento, trattandosi anzi di un’ulteriore violazione della legge sulla privacy.

1.2 Col secondo mezzo i ricorrenti tornano a denunciare violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2, 11, 15, 22 e 27, art. 52, n. 7, artt. 136, 137 e 139 nonchè dell’art. 6 Codice deontologico dei giornalisti, anche in relazione agli artt. 2043 e 2050 cod. civ. Sostengono che, sempre nell’erroneo presupposto della prevalenza del codice deontologico su quello in materia di protezione di dati personali, che è invece fonte primaria, il Tribunale avrebbe ritenuto legittimi comportamenti del giornalista lesivi del comb. disp. del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2 e art. 137, comma 3.

Segnatamente non avrebbe considerato che nel bilanciamento di interessi tra diritto di cronaca e tutela della riservatezza attuato da tali norme, il legislatore fa espressamente prevalere quest’ultima, di talchè andava accertata la conformità con la disciplina di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2 del trattamento della notizia da parte del (OMISSIS).

Secondo gli esponenti, in definitiva, se è pacifico che l’art. 6 del codice deontologico autorizza la diffusione di notizie di rilevanza pubblica, il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, comma 3, vieta tuttavia di prospettarle in modo da travalicare il fine per cui sono pubblicate e da ledere la sfera personale del soggetto, espressamente richiamando il dovere del giornalista di rispettare nella sua attività i diritti e le libertà fondamentali, nonchè la dignità dell’interessato ( D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2).

Riportati ampi stralci dell’articolo in esame, sostengono gli impugnanti che esso contiene opinioni e commenti finalizzati soltanto a enfatizzare l’informazione, nonchè affermazioni del tutto false, come quella che di lì a poco sarebbe iniziato il dibattimento, o quella, divulgata nell’edizione del (OMISSIS), secondo cui la tesi accusatoria era ancora al vaglio del decidente, laddove in quel momento era già stata pubblicata la sentenza di assoluzione. Nè tali condotte potevano ritenersi scriminate, come erroneamente aveva fatto il giudice a quo, dalla rettifica intervenuta in data 12 luglio 2006, con la pubblicazione integrale dei contenuti e delle motivazioni della pronuncia di rigetto della Corte dei conti.

1.3 Col terzo motivo gli impugnanti deducono violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2 e 11. La critica riguarda quella parte della sentenza impugnata in cui il giudice di merito ha ritenuto lecita la pubblicazione, insieme all’invito a dedurre, delle generalità, delle cariche amministrative ricoperte e dei dati personali dei ricorrenti, richiamando il disposto dell’art. 5 codice deontologico e del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 136, u.c., che legittimano il trattamento di dati personali resi noti direttamente dagli interessati. E tanto con riferimento a un’intervista in cui A.S. aveva ammesso di avere ricevuto l’invito a dedurre. Non avrebbe il decidente considerato che tale condotta non autorizzava in nessun caso il trattamento di dati personali che nulla avevano a che fare con il fatto divulgato dalla persona, o che si riferivano ad altri soggetti.

Errato era anche il richiamo del giudice di merito all’art. 6 codice deontologico, e l’assunto che trattavasi di dettagli volti alla corretta individuazione dei soggetti pubblici destinatari delle richieste risarcitorie, così facendo illegittimamente prevalere, ancora una volta, la fonte secondaria rispetto al codice sulla privacy.

2 Osserva il collegio che tutte le esposte censure, le quali si prestano a essere esaminate congiuntamente, per la loro evidente connessione, muovono dal postulato di fondo che lo scrutinio in ordine alla liceità del trattamento – attuato, nello specifico, mediante diffusione dei dati personali degli attori nonchè del contenuto di un atto che riguardava, emesso dalla Procura della magistratura contabile della Lombardia – sia avvenuto utilizzando, come parametro esclusivo di valutazione, il codice deontologico.

La prima torsione interpretativa che i ricorrenti denunciano è dunque che la predetta diffusione, illegittima, in base alle norme primarie del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), sia stata invece valutata secundum ius, in applicazione delle disposizioni di una norma di grado inferiore, con conseguente violazione del sistema della gerarchia delle fonti.

3 Le critiche sono infondate per le ragioni che seguono.

Non è qui in discussione che l’efficacia normativa del codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero (comb. disp. del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 136 e 139), sia subordinata alla legge.

E’ infatti a dir poco ovvio che tale codice, adottato dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti su proposta del Garante o, in via sostitutiva, direttamente da questo, abbia natura e forza di atto di normazione secondaria. Esso, chiamato a integrare i precetti legislativi affinchè l’ampiezza della possibilità di trattamento riconosciuta al giornalista avvenga con le misure e gli accorgimenti dettati dall’ente esponenziale della categoria, a garanzia degli interessati in rapporto alla natura dei dati, in particolare per quanto riguarda quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale (art. 139), contiene certamente norme di diritto a rilevanza esterna: il che significa che per esse vale il principio iura novit curia e che la loro violazione o falsa applicazione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3. Le relative disposizioni, tuttavia, in ragione della fonte secondaria che le ha generate, non possono mai incidere nel corpo legislativo, e cioè sul sistema delle norme dettate da fonti di carattere primario (confr. Cass. civ. 24 aprile 2008, n. 10690).

In realtà, l’affermazione secondo cui l’osservanza delle norme deontologiche costituisce condizione di liceità del trattamento che del dato personale faccia il giornalista individua un presupposto necessario, ma non sufficiente ai fini del positivo apprezzamento di tale liceità. Valga al riguardo considerare che le predette disposizioni appaiono segnatamente volte a disciplinare le modalità di formazione di archivi o di divulgazione di dati personali, senza che il rispetto di quelle modalità valga comunque a rendere legittima un’archiviazione o una divulgazione non consentita dalla legge.

4 Si tratta allora di accertare se il giudice di merito abbia effettivamente valutato la vicenda solo in base alle norme deontologiche; se, per questa via, abbia erroneamente ritenuto legittimi comportamenti che invece contrastavano con le disposizioni del D.Lgs. n. 196 del 2003; se, in definitiva, le denunciate violazioni siano effettivamente riscontrabili nella fattispecie.

Tale verifica esige alcune precisazioni sulla portata e sulla funzione della relativa disciplina.

Mette conto all’uopo evidenziare che l’adozione di normative sulla protezione dei dati personali, affacciatasi nel nostro ordinamento giuridico con la L. n. 675 del 1996, in attuazione della direttiva 46/95/CE, è stata propiziata dalla metabolizzazione dei rischi connessi allo sviluppo delle tecnologie informatiche in punto di elaborazione dei dati. Ciò spiega il rilievo che, soprattutto nell’impianto di tale fonte (ove è percepibile anche visivamente, nella sistematica dell’art. 1), riveste la nozione di banca dati, frutto della presa di coscienza che il trattamento di notizie relative alle persone, anche già pubbliche o pubblicate, possa, attraverso operazioni di accostamento, comparazione, incrocio e quant’altro, produrre un valore aggiunto informativo potenzialmente pericoloso per la riservatezza e la dignità degli interessati (confr. Cass. civ. 25 giugno 2004, n. 11864).

E svela altresì le ragioni dell’errore prospettico in cui, nelle prime applicazioni della nuova disciplina, caddero alcuni giudici di merito, allorchè ritennero l’area della tutela accordata dalla legge circoscritta ai soli dati destinati all’archiviazione, con esclusione dunque, di quelli semplicemente diffusi. Con la sentenza 30 giugno 2001, n. 8889, questa Corte ebbe tuttavia modo di chiarire che i presidi apprestati dalla L. n. 675 del 1996 erano incentrati sul dato personale – definito come qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente, associazione identificata o identificabile, anche indirettamente mediante riferimento ad altre informazioni – indipendentemente dal fatto che esso fosse o meno strutturato in un archivio, e miravano a garantire, più in generale, che il trattamento si svolgesse nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, della dignità, della riservatezza dell’interessato ( L. n. 675 del 1996, art. 1; D.Lgs. n. 196, art. 2 del 2003). Ed è assolutamente incontestabile che siffatti approdi ermeneutici, formulati con riferimento alla L. n. 675 del 1996, siano spendibili anche in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, posto che tale fonte, con l’icastica enunciazione di apertura chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano (art. 1) – depurata dal legislatore del 2010 di ogni eccezione riguardante gli addetti a una funzione pubblica, precedentemente introdotta ( L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 4, comma 9, soppresso dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 14, comma 1), ha semmai inteso rimarcare l’ampiezza della tutela apprestata, definitivamente fugando i dubbi interpretativi insorti al riguardo.

5 Peraltro, per quanto attiene al trattamento dei dati personali effettuati nell’esercizio dell’attività giornalistica, la normale blindatura assicurata dal decreto subisce considerevoli aggiustamenti. L’art. 137 stabilisce invero che al relativo uso non si applicano varie disposizioni del codice tra cui quelle, previste dall’art. 26, relative al consenso dell’interessato e all’autorizzazione del Garante in materia di dati sensibili, e quelle, stabilite dall’art. 27, in materia di garanzie per i dati giudiziari; si applicano invece, in ogni caso, i limiti del diritto di cronaca a tutela delle libertà fondamentali, della dignità, della riservatezza e della identità, e cioè, in definitiva, delle posizioni soggettive degli interessati presidiate dall’articolo 2 e, in particolare, il limite dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Con l’ulteriore e conclusivo corollario che possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico.

In definitiva, nell’impianto della legge, il giornalista, in considerazione dell’importante funzione assolta, non ha l’onere di ottenere il consenso delle persone alle quali si riferiscono le informazioni raccolte, elaborate e divulgate, purchè rispetti sia i limiti al legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica, sia le norme deontologiche.

6 Tale impianto normativo che in buona parte disloca la disciplina del trattamento dei dati personali da parte del giornalista fuori della sedes materiae sua propria, attraverso il ripescaggio dei principi elaborati dal diritto vivente in tema di diritto di cronaca e di critica, chiarisce le ragioni della previsione di un Codice deontologico promosso dal Garante relativo, specificamente, al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica: ammorbidita la relativa tutela, in nome dell’interesse generale alla informazione, pur con le cautele innanzi evidenziate, la probità, in concreto, dell’uso del dato, astrattamente lecito, è stata dal legislatore affidata al rispetto delle misure e degli accorgimenti raccomandati dalle Autorità del settore, Garante, da un lato, Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, dall’altro. Il che ne convalida il carattere, innanzi evidenziato, di fonte sussidiaria ai fini del positivo apprezzamento della liceità del trattamento.

7 Così ricostruite le linee essenziali del sistema, riesce agevole la confutazione di una delle principali argomentazioni critiche, segnatamente svolta nel primo e nel terzo motivo di ricorso:

l’asserita violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 per essere stato diffuso il contenuto di un atto stragiudiziale, non catalogabile nè come sentenza, nè come provvedimento giurisdizionale, dei quali soltanto, secondo gli impugnanti, sarebbe consentita la pubblicazione integrale.

A ben vedere la prospettazione artificiosamente estrapola dal contesto generale di riferimento il disposto dell’art. 52, u.c. e cioè la norma di chiusura del Capo 3^, specificamente destinato – nell’ambito del Titolo 1^ del Codice, dedicato al Trattamento in ambito giudiziario – all’Informatica giuridica.

Ora, l’art. 52 disciplina le modalità attraverso cui l’interessato può, per motivi legittimi, avanzare richiesta volta a criptare, in caso di riproduzione della sentenza o del provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste specializzate, supporti elettronici o in rete, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi che lo riguardano.

La norma ha dunque a che fare con la divulgazione, per scopi scientifici o didattici, dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria, mirando a tutelare la privacy dei protagonisti del processo che abbiano ritenuto di avvalersi della relativa facoltà e, per converso, stabilendo l’ammissibilità tout court della diffusione, anche integrale, del loro contenuto, fuori di tale ipotesi.

Ne deriva che, non essendo mai stato neppure dedotto che gli impugnanti avessero chiesto di schermare le loro generalità, in caso di riproduzione dell’ invito a dedurre, del tutto inutile è disquisire in questa sede della natura giuridica di tale atto e men che mai della configurabilità di preclusioni derivanti dalla norma innanzi riportata sull’esercizio dell’attività giornalistica.

8 Quanto fin qui detto assorbe, a giudizio del collegio, anche le critiche relative alla pubblicazione, insieme all’invito a dedurre, delle generalità e delle cariche amministrative ricoperte dai ricorrenti.

Non è superfluo peraltro aggiungere che, a prescindere dalle osservazioni del giudice di merito in ordine alla ricorrenza della scriminante di cui all’art. 137, comma 3, ultima parte, del Decreto, per essere la notizia già diventata nota, dopo la pubblicazione di un’intervista rilasciata da uno dei destinataci del provvedimento, la divulgazione di quei dati – generalità e cariche, con omissione solo degli indirizzi – avvenuta, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, in dipendenza della riproduzione integrale del testo dell’invito spedito dalla Procura contabile, in cui essi erano contenuti, costituì legittimo esercizio del diritto di cronaca, in quanto funzionale alla esatta individuazione dei soggetti destinatari delle richieste risarcitorie.

Del resto tra i criteri che devono conformare la libertà di stampa in materia di trattamento dei dati personali l’unico concretamente rilevante è proprio l’interesse pubblico o sociale alla conoscenza di determinate notizie.

Infine, quanto alla legittimità della divulgazione alla luce anche delle prescrizioni degli artt. 5 e 6 Codice deontologico, del tutto condivisibile è che tali norme, proibendo il riferimento a congiunti o ad altri soggetti non interessati dalla notizia, consentono la divulgazione dei dati relativi ai diretti interessati, in quanto necessaria alla completezza dell’informazione.

Per le ragioni esposte il primo e il terzo motivo di ricorso sono destituiti di fondamento.

9 Gli ulteriori rilievi svolti dagli impugnanti, segnatamente nel secondo mezzo, si sostanziano nella denuncia di malgoverno dei limiti propri del diritto di cronaca e, in particolare, del mancato rispetto e della verità oggettiva della notizia, e di quello della continenza. Secondo i ricorrenti, invero, il giudice di merito avrebbe ingiustamente sottovalutato la chiave sensazionalistica in cui era stata diffusa l’informazione, nonchè il corredo di imprecisioni e inesattezze, quando non di autentiche falsità, che l’avevano accompagnata.

10 Anche tali critiche non colgono nel segno.

Il Tribunale ha motivato il suo convincimento rilevando che la pubblicazione dell’invito a dedurre non integrava una illegittima violazione della riservatezza dei destinatari, in ragione della rilevanza pubblica della notizia. In sostanza, l’interesse della collettività locale alla conoscenza della vicenda – relativa alla apertura di un procedimento giudiziario amministrativo-contabile nei confronti dei membri dell’ex Giunta comunale di (OMISSIS) e di alcuni funzionari comunali avente ad oggetto missioni all’estero finalizzate alla promozione delle piccole e medie imprese locali – giustificava l’integrale pubblicazione del provvedimento, estesa anche ai dati anagrafici dei soggetti che ne erano destinatari. Ha aggiunto, con riferimento al preteso superamento del limite della continenza, che l’incisività del linguaggio e il risalto dato alla notizia costituivano legittima espressione della libertà di opinione e di manifestazione del pensiero; e, con riguardo alla pretesa inveridicità della stessa, che l’aver dato per scontata l’apertura del dibattimento, in realtà solo ipotetica, costituiva imprecisione in un dettaglio procedimentale, inidonea a inficiare la sostanziale correttezza dell’informazione.

Quanto poi alla nota pubblicata nell’edizione del (OMISSIS), ha considerato scusabile l’inesattezza in cui era caduto l’articolista, essendo stata la sentenza di assoluzione pubblicata solo da cinque giorni. In ogni caso l’imprecisione, immediatamente emendata con la pubblicazione, la settimana successiva, della motivazione della sentenza di rigetto e dei commenti degli interessati, era inidonea a giustificare un risarcimento.

11 A giudizio del collegio tale percorso motivazionale, che non tralascia il confronto con alcuno dei paletti fissati dalla giurisprudenza di legittimità per il riconoscimento della legittimità dell’esercizio del diritto di cronaca, segnatamente richiamato nel D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137, comma 3 specularmente circoscrivendo la diffusione dei dati personali consentita all’articolista, resiste alle censure formulate in ricorso. E’ sufficiente al riguardo considerare che dell’esito del suo scrutinio, soprattutto per quanto attiene al superamento dei limiti della verità e della continenza, il giudice di merito ha fornito ampia ed esaustiva motivazione, non essendo nè apodittica, nè implausibile la positiva valutazione dell’interesse pubblico all’informazione, al pari della sostanziale irrilevanza delle marginali e incolpevoli inveridicità che l’avevano caratterizzata.

12 In definitiva non risponde al vero nè che il giudice di merito abbia scrutinato l’attività giornalistica – in relazione alle violazioni di legge denunciate – esclusivamente in base a una fonte secondaria, giungendo per questa via a considerare legittimo il trattamento dei dati personali degli attori attuato dal (OMISSIS), trattamento che era invece contrario ai precetti del D.Lgs. n. 196 del 2003; nè che il Tribunale abbia omesso di bilanciare i valori costituzionalmente protetti dei quali è necessario tener conto in caso di divulgazione degli stessi, a mezzo stampa, essendo piuttosto meramente assertivo l’assunto della mancata comparazione tra gli interessi in gioco.

13 Il ricorso deve in definitiva essere rigettato.

I ricorrenti rifonderanno alle parti vittoriose le spese di giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.200 (di cui Euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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